28 Maggio 2024

Il giudizio di cognizione del creditore e la protezione del patrimonio del debitore

di Mario Furno, Avvocato e Professore a contratto di International Business Law presso l'Università degli Sudi di Verona Scarica in PDF

Sentenza del 03 ottobre 2022, Tribunale di Venezia, Sezione Specializzata in materia di Impresa; Giudice dott.ssa Liliana Guzzo

Parole chiave: azione sociale di responsabilità, improcedibilità, sovraindebitamento, azioni esecutive, azioni cautelari, misure protettive, misure cautelari, composizione negoziata

Massima: “I giudizi di cognizione, quale sia la natura della domanda, dichiarativa, costitutiva o anche di condanna, devono ritenersi ammissibili e non impediti dall’avvenuto deposito della proposta di accordo o di piano del consumatore di cui alla disciplina introdotta dagli art. 9 e 10 della Legge 3/2012”.

Riferimenti normativi: art. 2392 cc; art. 2394 cc; art. 43-52 L.F.; art. 146 L.F.; art. 9 L. 3/2012; art. 10 L. 3/2012 art. 14 ter L. 3/2012; art. 2 lett. q) CCI; art. 8 CCI; art. 17 CCI; art. 18 CCI; art. 19 CCI.

CASO 

La Curatela della società Alfa evocava in giudizio Tizio e Caia, già amministratori della società in bonis, lamentando plurimi profili di responsabilità gestoria che avevano causato, tra l’altro, un aggravamento del dissesto e un deterioramento del patrimonio netto della società; il Fallimento chiedeva quindi la condanna degli amministratori.

Si costituivano gli amministratori asserendo, nel merito, che alcuna contestazione all’attività gestoria poteva essere loro sollevata anche in forza del principio della Bussiness Judgment Rule. Sottolineavano inoltre gli amministratori che, in pendenza della procedura di sovraindebitamento che li vedeva coinvolti, ogni credito vantato nei loro confronti avrebbe dovuto essere accertato unicamente nell’ambito della composizione della crisi del sovraindebitato; per tale ragione eccepivano l’improcedibilità della domanda attorea.

SOLUZIONE

Il Tribunale di Venezia, investito della questione, ha ritenuto infondata l’eccezione di improcedibilità, affermando l’ammissibilità dei giudizi di cognizione, qualunque sia la natura della domanda, e la conseguente sottrazione di tali giudizi dal divieto di iniziare e/o proseguire le azioni esecutive individuali o disporre sequestri conservativi. Ciò in quanto, analogamente al concordato preventivo, la Legge n. 3/2012 non richiama le norme della Legge Fallimentare disciplinanti il concorso tra creditori.

QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA

Seppur riferita alla Legge n. 3/2012 e nonostante i richiami relativi alle previsioni di cui agli art. 43-52 della Legge Fallimentare, la sentenza in esame merita particolare attenzione in quanto i principi in essa espressi risultano applicabili anche alla vigente normativa in materia di Crisi di impresa e di esdebitazione.

Nella specie, la difesa degli amministratori voleva paralizzare l’azione sociale di responsabilità promossa dalla Curatela sul presupposto che anche l’azione di accertamento fosse attratta all’interno del divieto previsto dalla normativa sul sovraindebitamento avente ad oggetto il divieto, appunto, di iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari nei confronti del debitore.

La questione a suo tempo era già stata affrontata in materia di concordato preventivo; come ben ricorda la sentenza in commento, la disciplina del concordato preventivo non richiamava la disciplina espressamente normata dalla legge fallimentare sull’accertamento del credito.

In definitiva: in sede di procedura fallimentare il creditore poteva soddisfare il proprio credito solo ottemperando alle previsioni della Legge Fallimentare disciplinanti il concorso tra i creditori per la soddisfazione dei rispettivi crediti e quindi formulando istanza di insinuazione al passivo; con la conseguenza che il rimanere inadempiente a tali previsioni impediva al creditore il potersi soddisfare del credito.

In sede di concordato preventivo, mancando la prescrizione normativa che imponeva l’accertamento endoprocessuale, la giurisprudenza aveva ritenuto che il creditore fosse libero di promuovere le azioni volte all’accertamento del proprio diritto, rimanendo impedito al poter porre in esecuzione eventuali sentenze di condanna.

Vale la pena sul punto ricordare che bene ha precisato la Corte di Cassazione “L’ammissione del debitore a una procedura di concordato preventivo con cessione dei beni (sia o meno previsto un termine per l’adempimento) non costituisce un impedimento giuridico per il creditore a far valere il proprio diritto, non essendovi alcun ostacolo a, formulare nei confronti del debitore in concordato istanze, solleciti e atti cautelativi di costituzione in mora. Non può, infatti, ritenersi che a seguito della ammissione alla procedura e nel corso della stessa il debitore sia liberato dall’obbligo del pagamento dei propri debiti. Nella procedura di concordato preventivo, in particolare, a differenza che in quella di fallimento – nella quale, ai sensi dell’articolo 94 della legge Fallimentare la presentazione della domanda di ammissione al passivo determina la interruzione della prescrizione del credito, con effetto permanente, sino alla chiusura della procedura – non vi è una verifica del passivo e pertanto nell’ambito della procedura di concordato non vi è una domanda cui possano riconoscersi gli effetti di quella di cui all’articolo 94 della legge Fallimentare, con la conseguenza che ove i creditori intendano ottenere l’accertamento di una loro pretesa obbligatoria, devono ricorrere al giudizio di cognizione ordinaria. Non viene quindi precluso l’esercizio del diritto attraverso le ordinarle azioni di cognizione, sicché non trova applicazione l’articolo 2935 del codice civile.” (Cassazione civile sez. I, 05/08/2019, n. 20889; in senso conforme Tribunale Velletri sez. lav., 02/10/2020, n.996).

Nel merito, si segnala la sentenza resa dal Tribunale Spoleto che, rimanendo nel solco della Cassazione sopra riportata, sottolinea che “il principio dell’accertamento del passivo non trova applicazione nel concordato preventivo, ove non vi è lo spossessamento del debitore, né vi è un giudizio di accertamento dei crediti. Pertanto nulla impedisce al creditore di agire in via di cognizione ordinaria – sommaria o monitoria – per l’accertamento del suo credito (fermo restando che, una volta ottenuto il titolo giudiziale, pur se esecutivo o provvisoriamente esecutivo, non potrà essere portato in esecuzione atteso il divieto di cui all’art. 168 legge fall.)” (Tribunale di Spoleto, Sez. I, 01.03.2022 n. 107).

La sentenza resa dal Tribunale lagunare, che qui si commenta, evidenzia altresì come l’inibitoria attinente alle azioni esecutive individuali ed ai sequestri conservativi, protegge e preserva il patrimonio del debitore per la successiva esecuzione dell’accordo e risponde ad una tutela della garanzia generica dei creditori anche per il caso in cui non intervenga l’omologazione così riaprendosi le strade per altre procedure.

Il principio trova espressa applicazione in sede di composizione negoziata nella previsione degli articoli 18 e 19 del D.Lgs 12 gennaio 2019 n. 14. La lettura congiunta degli articoli, infatti, evidenzia come l’imprenditore può chiedere già con l’istanza di nomina dell’Esperto l’applicazione di misure protettive del patrimonio, la cui efficacia, impeditiva per le azioni esecutive e cautelari sul patrimonio, ha luogo con la pubblicazione nel Registro delle Imprese.

È noto che la protezione del patrimonio in sede di composizione negoziata è volta anche a garantire la continuità dell’attività d’impresa, onde per cui dette misure devono essere confermate dal Tribunale su richiesta dell’imprenditore e successivamente possono anche essere prorogate tenendo conto del parere dell’Esperto.

La protezione del patrimonio attuata attraverso i provvedimenti cautelari e le misure proattive è infatti finalizzata ad “assicurare il raggiungimento dell’obbiettivo del risanamento rendendosi necessarie per condurre a termine le trattative (art. 19 co. 1 CCII e art. 7 co. 1 D.L. 118/2021)” (Tribunale di Imperia, Ordinanza del 20.02.2024).

Vale sul punto di osservare come in modo preciso il Tribunale di Imperia distingua le misure protettive da quelle cautelari, sottolineando comunque come entrambe tendono alla protezione del patrimonio.

Tuttavia, mentre le misure protettive costituiscono “un ombrello generalizzato a garanzia del patrimonio del creditore nella fase iniziale delle trattative”, la formula utilizzata dal Legislatore per definire le misure cautelari all’art. 2 lett. q) del CCI è ampia e generica.

Il Tribunale ritiene quindi che il Legislatore si riferisca a misure cautelari evidentemente atipiche, a contenuto conservativo od anticipatorio: i provvedimenti cautelari sono selettivi, con destinatari determinati “dal contenuto vario ed atipico connotati esclusivamente dal loro scopo: assicurare provvisoriamente l’esito delle trattative (nel procedimento di composizione negoziata di crisi ex art. 19 CCI) e gli effetti degli strumenti di regolazione della crisi e delle procedure di insolvenza (nel caso di misure attivate ai sensi dell’art. 54 CCII)”.

In tal senso, quindi, la previsione del termine perentorio per le sole misure protettive non stride con la possibilità che oltre questo termine possano essere applicate misure cautelari: essendo le seconde di carattere atipico e selettivo, con destinatari specifici, sfuggono al carattere generale della misura protettiva prevista dall’art. 8 del CCI.

Detta differenza pare dedursi anche dalla statuizione del Tribunale di Sondrio secondo il quale “la lettura dell’art. 8 CCI […] nel determinare la durata complessiva delle misure protettive in dodici mesi prevede non solo l’istituto della proroga ma anche quello del rinnovo delle medesime” (Tribunale Sondrio, Decreto 22.11.2023).

In definitiva quindi il Tribunale di Sondrio, nel trattare l’istituto della proroga/rinnovo sottolinea come la durata complessiva prevista da tale articolo di legge riguardi solo ed esclusivamente le misure protettive.

A conclusione, va quindi sottolineato lo sforzo del Legislatore di trovare il giusto punto di equilibrio tra la protezione del patrimonio del debitore in quanto destinato all’esecuzione dell’accordo e comunque al soddisfo dei creditori e le necessità dei creditori di agire per recuperare il proprio credito.

Tale punto di equilibrio è da identificarsi proprio nella possibilità riconosciuta nella sentenza del Tribunale di Venezia in commento che i creditori hanno di agire nei confronti del debitore con giudizio di cognizione, rimanendo tuttavia limitato in sede di esecuzione o di sequestro dall’efficacia delle misure protettive generalizzate o da misure cautelari di contenuto atipico ma che possano riguardare in modo selettivo la posizione di quel creditore.

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

International commercial contracts