7 Febbraio 2017

Il giudice italiano ha giurisdizione sul risarcimento dei danni derivanti da “delicta imperii” commessi da Stati esteri.

di Stefano Nicita Scarica in PDF

Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 13 gennaio 2017, n. 762   – Pres. Rodorf – Est. Ragonesi

 Giurisdizione civile – ­ Stati esteri ed enti extraterritoriali ­ – Risarcimento “delicta imperii” ­ – Giurisdizione giudice nazionale  -­ Configurabilità ­  – Fondamento

 (Art. 10 Cost. ;  Art. 1 c.p.c.; art. 77, comma 4, Trattato di Pace del 1947 n. 1430; art 2 Accordo italo-tedesco di Bonn del 2­ giugno ­1961, reso esecutivo con D.P.R. 14 aprile 1962, n. 1263; L. 14 gennaio 2013, n. 5, art. 3)

 [1] La norma consuetudinaria di diritto internazionale generalmente riconosciuta ­ che impone agli Stati l’obbligo di astenersi dall’esercitare il potere giurisdizionale nei confronti degli Stati stranieri per gli atti “iure imperii” ­ non ha carattere incondizionato, ma, quando venga in contrapposizione con il parallelo principio, formatosi nell’ordinamento internazionale, del primato assoluto dei valori fondamentali della libertà e dignità della persona umana, ne rimane conformata, con la conseguenza che allo Stato straniero non è accordata un’immunità totale dalla giurisdizione civile dello Stato territoriale, in presenza di comportamenti di tale gravità da configurarsi quali crimini contro l’umanità che, in quanto lesivi di quei valori universali di rispetto della dignità umana che trascendono gli interessi delle singole comunità statali, segnano il punto di rottura dell’esercizio tollerabile della sovranità.
 Cass. civ. Sez. Unite, 29 luglio 2016, n. 15812 (rv. 640605)   – Pres. Rodorf – Est. Amendola

 Giurisdizione civile – ­ Stati esteri ed enti extraterritoriali ­ – Risarcimento “delicta imperii” ­ – Giurisdizione giudice nazionale  -­ Configurabilità ­  – Fondamento

 (Art. 10 Cost. ;  Art. 1 c.p.c.; art. 77, comma 4, Trattato di Pace del 1947 n. 1430; art 2 Accordo italo-tedesco di Bonn del 2­ giugno ­1961, reso esecutivo con D.P.R. 14 aprile 1962, n. 1263; L. 14 gennaio 2013, n. 5, art. 3)

 [2] L’immunità dalla giurisdizione civile degli Stati esteri per atti “iure imperii” costituisce una prerogativa (e non un diritto) riconosciuta da norme consuetudinarie internazionali, la cui operatività è preclusa nel nostro ordinamento, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 238 del 2014, per i “delicta imperii”, per quei crimini, cioè, compiuti in violazione di norme internazionali di “ius cogens”, in quanto tali lesivi di valori universali che trascendono gli interessi delle singole comunità statali.

CED Cassazione, 2016

CASO

[1-2]. Con atto di citazione, l’attore conviene in un Tribunale italiano la Repubblica Federale di Germania per ottenerne la “condanna al risarcimento dei danni patiti, in relazione al trattamento (lavoratore coatto civile) subìto come prigioniero di guerra, per le enormi sofferenze psicofisiche che gli avevano impedito di condurre una vita normale anche dopo la liberazione.”

La Repubblica Federale di Germania si costituisce in giudizio ed eccepisce il difetto di giurisdizione del giudice italiano, nonché l’improponibilità o l’improcedibilità della domanda ai sensi del combinato disposto dell’art. 77, comma 4, del Trattato di Pace del 1947 n. 1430 e dell’art 2 dell’accordo italo tedesco di Bonn del 2­ giugno ­1961, reso esecutivo con D.P.R. 14 aprile 1962, n. 1263 e, infine, chiama in causa la Repubblica Italiana per essere manlevata da ogni pretesa avanzata nei propri confronti. A sua volta, la Presidenza del Consiglio dei Ministri eccepisce l’inammissibilità della domanda di garanzia.

Con sentenza del febbraio ­2011, il Tribunale rigetta la domanda. La parte del soccombente propone appello. Con sentenza del novembre 2013, la Corte d’appello di Firenze, a norma dell’art. 3, l. 14 gennaio 2013, n. 5– di ratifica della Convenzione di New York 2 dicembre 2004, recante “adesione dell’Italia alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni”, dichiara il difetto di giurisdizione del giudice italiano.

Avverso tale sentenza il soccombente ricorre per Cassazione. Resiste con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

SOLUZIONE

[1-2] La Suprema Corte, in riforma di quanto deciso dal giudice a quo, risolve le questioni  giurisdizionali poste secondo quanto riportato nelle massime.

QUESTIONI

[1-2] Le decisioni in commento si conformano a quanto stabilito dalla Corte costituzionale, con sentenza del 22 ottobre 2014, n. 238. In tale pronuncia, il Giudice delle leggi aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 14 gennaio 2013, n. 5, art. 3, nonché delle norme di adeguamento dell’ordinamento interno e aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 17 agosto 1957, n. 848, art. 1 (Esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945), limitatamente all’esecuzione data all’art. 94 della Carta delle Nazioni Unite, esclusivamente nella parte in cui obbligava il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della Corte internazionale di giustizia dell’Aja (CIG) del 3 febbraio 2012, che gli imponeva di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l’umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona.”

In vero, già, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione con la c.d. sentenza Ferrini (Cass.S.U., 11 marzo 2004, n. 5044; ma v. anche Cass.S.U., 29 maggio 2008, n. 14201; Cass., 20 maggio 2011, n. 11163­) avevano ritenuto esistere giurisdizione del giudice italiano, in quanto la tutela dei diritti fondamentali è ormai «affidata a norme inderogabili che si collocano al vertice dell’ordinamento internazionale, prevalendo su ogni altra norma, sia di carattere convenzionale che consuetudinario […] e quindi anche su quelle in tema di immunità».

Contro siffatto orientamento, però, la CIG invocata dalla Repubblica Federale di Germania, con sentenza del 3 febbraio 2012, ritenne di dover comunque qualificare tali condotte come atti iure imperii, in quanto, nella prassi internazionale, non potevano essere rinvenuti “elementi sufficienti a far desumere l’esistenza di una deroga alla norma sull’immunità degli Stati per gli stessi, benché commessi in violazione del diritto internazionale umanitario, concretando crimini di guerra” (cfr. SALVATO, Danni da crimini di guerra, ridimensionata l’immunità degli Stati esteri dalla giurisdizione italiana, in www.quotidianogiuridico.it, 24 ottobre 2014).

La Corte dell’Aja condannò la Repubblica Italiana per violazione della norma sull’immunità e stabilì che il nostro Paese si adoperasse affinché fosse evitata l’esecuzione delle sentenze già pronunciate e fosse assicurato il futuro rispetto della norma internazionale sull’immunità da parte dei giudici italiani.

Tale orientamento aveva visto il conformarsi della giurisprudenza di legittimità, da prima (Cass. S.U., 2 marzo 2012, n. 3239), e del legislatore italiano, poi. Infatti, la L. n. 5 del 2013, art. 3,  stabilì che, quando la CIG (con sentenza che abbia definito un procedimento di cui è stato parte lo Stato italiano) esclude l’assoggettamento di specifiche condotte di altro Stato alla giurisdizione civile (nazionale), il giudice davanti al quale pende la controversia relativa alle stesse deve rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo (anche quando avesse già emesso sentenza non definitiva passata in giudicato che avesse riconosciuto la sussistenza della giurisdizione). Inoltre, la norma aveva previsto che le sentenze passate in giudicato in contrasto con la pronuncia della CIG potessero essere impugnate per revocazione, oltre che nei casi previsti dall’art. 395 c.p.c. anche per difetto di giurisdizione civile.

Contro la legge n. 5/2013 è, poi, intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale del 2014, n.238, dichiarando l’illegittimità dell’art. 3 nei termini citati. La Corte ha ritenuto che la norma in esame, pur di rango equivalente a quello costituzionale (in virtù del rinvio di cui all’art. 10, comma 1, Cost.), fosse “in conflitto con i principi qualificanti e irrinunciabili dell’assetto costituzionale dello Stato e, quindi, con i principi che sovraintendono alla tutela dei diritti fondamentali della persona” (cfr. GIRARDI, Immunità statale dalla giurisdizione civile – immunità e diritti umani fondamentali: la responsabilità civile dello stato tedesco, in Giur. It., 2016, 12, 2635; MOLINARI, Il risarcimento del danno non patrimoniale ai deportati nei campi di concentramento nazisti, in Danno e Responsabilità, 7, 2016, 752 ss.; FARAGUNA, La sentenza costituzionale n. 238/2014: tra illecito internazionale e controlimiti, in Studium Iuris, 3, 2015).

D’altronde, la giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale, già da tempo, ammoniva che «il limite che segna l’apertura dell’ordinamento italiano all’ordinamento internazionale e sovranazionale è costituito […] dal rispetto dei principi fondamentali e dei diritti inviolabili dell’uomo, elementi identificativi dell’ordinamento costituzionale» (così, C.Cost., 26 novembre 2009, n. 311, in materia di CEDU; cfr., poi: C.Cost. 13 luglio 2007, n. 284 e C.Cost., 8 giugno 1984, n. 170, in riferimento alle norme comunitarie; C.Cost., 2 febbraio 1982, n. 18 del 1982, in merito al Concordato con la Santa Sede).

In conclusione, secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale: “fra i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale vi è il diritto di agire e di resistere in giudizio a difesa dei propri diritti riconosciuto dall’art. 24 Cost., in breve il diritto al giudice. A maggior ragione, poi, ciò vale quando il diritto in questione è fatto valere a tutela dei diritti fondamentali della persona”.
Coerentemente, nelle pronunce in esame, le Sezioni Unite stabiliscono che sussiste “la giurisdizione italiana in relazione alla domanda risarcitoria promossa, nei confronti della Repubblica federale di Germania, dal cittadino italiano che lamenti di essere stato catturato a seguito dell’occupazione nazista in Italia durante la seconda guerra mondiale e deportato in Germania per essere utilizzato quale mano d’opera non volontaria al servizio di imprese tedesche, atteso che sia la deportazione che l’assoggettamento ai lavori forzati devono essere annoverati tra i crimini di guerra e, quindi, tra i crimini di diritto internazionale.”

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