15 Ottobre 2024

Il giudice dell’esecuzione non può rilevare la vessatorietà delle clausole dopo la vendita o l’assegnazione del bene pignorato

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 20 giugno 2024, n. 17055 – Pres. De Stefano – Rel. Valle

Esecuzione forzata – Titolo esecutivo – Decreto ingiuntivo non opposto – Omessa motivazione sul carattere non abusivo delle clausole – Controllo officioso del giudice dell’esecuzione – Limiti

Se l’esecuzione è fondata su un decreto ingiuntivo non opposto e il giudice del monitorio ha omesso di esaminare l’eventuale abusività delle clausole contenute nel contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, la natura abusiva delle pattuizioni contrattuali dev’essere rilevata, anche d’ufficio, dal giudice dell’esecuzione, ma entro il limite dell’avvenuta vendita del bene (o dell’assegnazione del credito) pignorato, non potendo opporsi all’aggiudicatario vizi del processo esecutivo che non siano stati fatti valere con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi.

CASO

Avviata un’espropriazione immobiliare in forza di un decreto ingiuntivo non opposto e intervenuta l’aggiudicazione dell’immobile staggito, l’esecutato proponeva opposizione agli atti esecutivi, nella quale interveniva anche il coniuge non debitore e comproprietario del bene pignorato.

Questi sosteneva che, data la sua estraneità al rapporto negoziale da cui era scaturito il credito oggetto dell’ingiunzione e portato dal titolo esecutivo, non aveva potuto fare valere la vessatorietà di alcune clausole contenute nel contratto concluso dal coniuge esecutato con la società che aveva promosso il pignoramento in suo danno; l’esecuzione, di conseguenza, doveva essere dichiarata illegittima, perché fondata su un titolo esecutivo illegittimamente formatosi, dal momento che né il giudice del monitorio né il giudice dell’esecuzione avevano rilevato l’invalidità di dette clausole.

L’opposizione agli atti esecutivi veniva rigettata con sentenza impugnata mediante ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha respinto il ricorso, affermando che, una volta intervenuta l’aggiudicazione del bene pignorato, l’acquisto dell’aggiudicatario resta intangibile e non può essere messo in discussione a causa della mancata attivazione, da parte del giudice dell’esecuzione, del potere officioso di rilevare la vessatorietà delle clausole contenute nel contratto in forza del quale il creditore procedente ha conseguito il decreto ingiuntivo – posto a fondamento dell’espropriazione forzata – divenuto definitivo per mancata opposizione e non sorretto da alcuna motivazione circa detta vessatorietà.

QUESTIONI

[1] Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la sentenza n. 9479 del 6 aprile 2023, hanno dettato un vero e proprio decalogo per il giudice del procedimento monitorio (in prima battuta) e per il giudice dell’esecuzione (in seconda battuta), affinché sia assicurata al consumatore un’adeguata tutela contro le clausole vessatorie contenute nei contratti conclusi con un professionista, rendendo così effettiva la disciplina di protezione dettata in proposito dalla normativa comunitaria, come interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.

La suddetta pronuncia ha, dunque, stabilito che il giudice dell’esecuzione, se il decreto ingiuntivo posto a fondamento dell’espropriazione forzata non reca alcuna motivazione in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole contenute nel contratto concluso tra un professionista e un consumatore, ha il dovere di verificarne l’eventuale presenza e, all’esito di tale controllo, di avvisare il debitore esecutato che, nel termine di quaranta giorni, può proporre opposizione tardiva avverso il decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c., per fare accertare – solo ed esclusivamente – l’eventuale abusività delle clausole; tale potere-dovere del giudice dell’esecuzione, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite, può essere esercitato fino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito.

La sentenza che si annota, in conformità con tale principio di diritto, ha respinto la doglianza con cui era stato lamentato il mancato rilievo officioso, da parte del giudice dell’esecuzione, di alcune clausole vessatorie contenute nel contratto da cui originava il credito azionato in via monitoria e poi in via esecutiva, in forza di decreto ingiuntivo non opposto, proprio perché la questione era stata sollevata dopo che era intervenuta l’aggiudicazione del bene pignorato.

Secondo la Corte di cassazione, infatti, se è vero che la mancata attivazione del giudice del monitorio in ordine al profilo della vessatorietà delle clausole comporta che il decreto ingiuntivo non è idoneo a dare vita al giudicato, consentendo, anche nella successiva fase esecutiva, una riattivazione del contraddittorio sulla questione pregiudiziale pretermessa, è altrettanto vero che, per comprensibili ragioni di tutela della sicurezza degli acquisti effettuati in sede giudiziaria (che rappresenta uno degli elementi su cui si gioca l’efficacia e l’efficienza delle vendite esecutive), l’iniziativa (anche) officiosa del giudice dell’esecuzione trova – nello schema delineato dalle Sezioni Unite – un limite invalicabile nell’intervenuta messa in vendita del bene.

L’intangibilità del trasferimento coattivo immobiliare avvenuto prima che sia stata proposta un’opposizione risulta coerente con il principio sancito dall’art. 2929 c.c., che rende inopponibili all’aggiudicatario i vizi del processo esecutivo che non siano stati fatti valere nel corso di esso con il rimedio specifico – l’opposizione esecutiva – apprestato dall’ordinamento; così, le nullità del processo esecutivo che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non hanno effetto nei confronti dell’aggiudicatario, la cui posizione è svincolata dalla validità degli atti del procedimento di vendita dei quali non è stato parte.

La posizione espressa nella sentenza annotata, oltre che nell’autorevole pronuncia delle Sezioni Unite, trova sponda in un altro precedente (Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2023, n. 8911), secondo cui è la stessa giurisprudenza comunitaria a somministrare la regola dell’insussistenza di un residuo spazio per il rilievo officioso dell’abusività di una clausola in danno del consumatore nella fase successiva alla vendita del bene pignorato: la Corte di Giustizia dell’Unione europea, infatti, ha affermato che non è in contrasto con il diritto comunitario una norma nazionale che preclude al giudice di esaminare l’eventuale carattere abusivo di clausole contrattuali quando il bene staggito sia stato venduto e la sua proprietà sia stata trasferita a un terzo (a condizione, peraltro, che il consumatore sia legittimato a fare valere i suoi diritti in un procedimento successivo per conseguire il risarcimento dei danni subiti), dal momento che ciò significherebbe rimettere in discussione la certezza giuridica del trasferimento già avvenuto.

Pertanto, secondo questa impostazione, la questione dell’abusività di una clausola non può trovare ingresso, sia in via di eccezione che per effetto di rilievo officioso, una volta conclusa la fase liquidatoria dell’espropriazione forzata, per il tramite di un’opposizione esecutiva, non potendosi rimettere in discussione gli effetti della vendita forzata, mentre il debitore potrà eventualmente fare valere i suoi diritti in un separato giudizio risarcitorio.

Questa soluzione, fatta propria anche dalla sentenza che si annota, non appare del tutto convincente.

In primo luogo, sollevare o rilevare la questione della vessatorietà di una clausola in un momento successivo alla vendita non significa metterne in discussione gli effetti e pregiudicare l’acquisto dell’aggiudicatario: se è pacifico che, in virtù dei principi espressi dagli artt. 2929 c.c. e 187-bis disp. att. c.p.c., le vicende del processo esecutivo successive all’aggiudicazione non possono inficiarlo, è altrettanto pacifico che, se il decreto ingiuntivo azionato in via esecutiva dovesse essere caducato a seguito di opposizione tardiva, il creditore verrebbe privato del titolo che gli consente di partecipare alla distribuzione del ricavato, che, di converso, potrebbe essere reclamato dal e attribuito al debitore (a quel punto) ingiustamente escusso (fermi restando, ovviamente, i diritti di eventuali altri creditori intervenuti e muniti di titolo esecutivo non colpito da analoga caducazione).

Questa soluzione, all’evidenza, non genera alcuna ripercussione nei confronti dell’aggiudicatario acquirente in sede esecutiva, non penalizza gli altri creditori dell’esecutato che dispongano di un valido titolo esecutivo e non obbliga il debitore che sia riuscito a fare accertare la vessatorietà della clausola a promuovere, una volta conclusa l’esecuzione, un’ulteriore azione volta a conseguire il risarcimento del danno subito.

Anche perché, in secondo luogo, è nota la granitica – seppure aspramente criticata – posizione che la giurisprudenza ha assunto in merito alla possibilità di rimettere in discussione il risultato dell’esecuzione forzata attraverso rimedi attivati dopo la sua conclusione, nel caso in cui non siano stati tempestivamente utilizzati quelli propri del processo esecutivo (vale a dire, l’opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi).

Ebbene, poiché, nel caso che si sta esaminando, il danno del debitore (illegittimamente) esecutato verrebbe di fatto a coincidere con la somma ricavata dalla vendita del bene pignorato che fosse stata assegnata al creditore che ha agito in forza di un decreto ingiuntivo successivamente caducato in ragione della rilevata vessatorietà di una clausola contrattuale, non vi è chi non veda come, stando al succitato orientamento giurisprudenziale, non vi sarebbe spazio per una successiva azione risarcitoria (o forse, a questo punto, sarebbe meglio dire restitutoria o ripetitoria), qualora la questione non fosse stata veicolata all’interno del processo esecutivo attraverso l’opposizione distributiva.

Si coglie, dunque, la difficoltà che si incontra nel conciliare e armonizzare il nostro ordinamento processuale (e i principi cardine che lo governano) con quello comunitario – così come interpretato in maniera sostanzialmente vincolante dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea – senza compromette oltremisura la coerenza del sistema, nonostante lo sforzo profuso dalle Sezioni Unite per individuare una soluzione che, tuttavia, non ha dissipato tutte le perplessità.

In effetti, sono numerose le questioni sollevate al riguardo negli uffici giudiziari e dagli operatori del processo esecutivo: non è mancato, per esempio, chi ha sostenuto la possibilità di rilevare in via officiosa l’abusività delle clausole anche in fase distributiva (il riferimento è a un’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione del Tribunale di Napoli il 30 dicembre 2023, che ha motivato la propria posizione evidenziando come, se così non fosse, il consumatore rischierebbe di non essere mai adeguatamente informato in ordine agli strumenti mediante i quali fare valere i propri diritti e di essere costretto a instaurare un giudizio per recuperare le somme alle quali ha diritto avanti a un giudice diverso da quello del proprio foro).

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