20 Aprile 2022

Giudicato sulla giurisdizione e rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia

di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di Parma Scarica in PDF

Cass., Sez. Un., 4 aprile 2022, n. 10860 Pres. Curzio – Rel. Stalla

Regolamento preventivo di giurisdizione – Contrarietà della decisione alla normativa UE in tema di riparto tra le giurisdizioni nazionali – Rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia – Ammissibilità – Emancipazione del giudice di merito dagli effetti vincolanti della decisione resa in sede di regolamento – Limiti (C.p.c. artt. 41, 382; Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea [TFUE] art. 267; Reg [CE] n. 1346/2000 art. 3)

[1] A séguito di statuizione sulla giurisdizione da parte della Suprema Corte adita in sede di regolamento, il giudice nazionale non di ultima istanza avanti al quale il processo prosegua è ammesso a sollevare questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE avanti alla Corte di Giustizia qualora dubiti della conformità di questa statuizione al diritto UE; in tal caso la vincolatività della statuizione interna sulla giurisdizione viene meno soltanto all’esito della decisione della Corte di Giustizia dalla quale si evinca l’effettiva contrarietà di questa statuizione al diritto Ue, e nei limiti della contrarietà così emergente.

CASO

[1] Avverso la sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata dal Tribunale di Bari nei confronti di una società che risultava, già alla data di avvio dell’istruttoria prefallimentare, aver trasferito la propria sede statutaria in Bulgaria, con annessa, e sempre precedente alla domanda di fallimento, cancellazione dal registro delle imprese, era proposto reclamo ex art. 18 l. fall. innanzi alla Corte d’appello competente, la quale ordinava la sospensione del giudizio in attesa degli esiti del regolamento preventivo di giurisdizione sollevato dalla società convenuta, quando ancora il procedimento si trovava nella fase davanti al tribunale, deducendo la carenza della potestas iudicandi in capo all’autorità giurisdizionale italiana, quale effetto dell’avvenuto trasferimento oltre i confini nazionali di quel «centro degli interessi principali del debitore» che costituiva, a norma dell’art. 3, § 1, Reg. (CE) n. 1346/2000, ratione temporis applicabile, il criterio di radicamento, in àmbito UE, della competenza giurisdizionale in materia di procedure concorsuali.

Nel pronunciare su detto regolamento, la Cassazione respingeva l’eccezione appena illustrata, affermando che sussistessero, nella fattispecie, sufficienti elementi per sconfessare la presunzione di corrispondenza, posta da detto art. 3, § 1, tra sede statutaria della società e ubicazione del centro degli interessi principali del debitore. Ma una volta riassunto il giudizio di merito presso la sede originariamente individuata, l’adita Corte d’appello ne disponeva nuovamente la sospensione, a séguito della scelta, dallo stesso organo giudiziario effettuata, di percorrere le vie del rinvio pregiudiziale, ex art. 267 TFUE (nella versione entrata in vigore il 1° dicembre 2009), innanzi alla Corte di Giustizia UE, chiamata a statuire sulla corretta interpretazione del predetto art. 3 Reg. (CE) n. 1346/2000 e della presunzione ivi fondata, in particolare, se suscettibile di prova contraria  – e, se sì, in forza di quali ulteriori riscontri probatòri – anche in situazioni, come quella in discussione, caratterizzate dall’assenza di dipendenze operative in Stati membri diversi da quello ove la sede statutaria fosse stata fissata. Dopo di che, esaurito l’incidente in forza della pronuncia (emessa in data 24 maggio 2016, C-353/2015) con cui la CGUE aveva dato risposta sostanzialmente affermativa al quesito – ammettendo, per l’esattezza, che la presunzione su cui lo stesso verteva possa essere esclusa anche quando, a séguito del trasferimento della sede statutaria in altro Stato membro, la società non abbia conservato alcuna dipendenza operativa nello Stato d’origine, purché la persistente presenza in quello Stato del centro effettivo di direzione e controllo della società possa evincersi da altri elementi obiettivi e riconoscibili dai terzi -, il giudizio poteva rimettersi definitivamente in cammino per sfociare nella sentenza con cui la Corte di merito, assumendo che quanto stabilito dai giudici del Lussemburgo richiedeva una verifica ex novo dell’effettiva ubicazione, se in Italia o in Bulgaria, del centro di direzione e controllo della società fallita, perveniva alla conclusione che esso centro direttivo non si trovasse più entro i confini nazionali, così da dover decretare il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana e la revoca del fallimento da quest’ultima dichiarato.

La sentenza non ha, però, segnato l’epilogo della tormentata vicenda. Nei suoi confronti, difatti, tanto la curatela fallimentare che uno dei creditori coinvolti nel giudizio hanno proposto ricorso ordinario in cassazione, denunciandone, in primis, la violazione dei vincoli di giudicato promananti dall’ordinanza resa dalla Suprema Corte all’esito del pregresso incidente di giurisdizione ex art. 41 c.p.c.: e la Prima Sezione della Corte, ravvisando nella questione profili di massima di particolare importanza,  ne ha disposto la rimessione alle Sezioni unite, che si sono pronunciate nei termini di cui immediatamente diremo.

SOLUZIONE

[1] Preoccupazione primaria, nell’occasione, del giudice di legittimità è stata quella di esattamente delineare la questione su cui era chiamato a spiegare il proprio intervento nomofilattico.

A tal fine, esso ha preso le mosse dalla constatazione di come non vi sarebbe più margine, allo stato attuale, per mettere in discussione la potestà del giudice di merito di sottrarsi a un vincolo di giudicato interno attraverso la devoluzione, in via di rinvio pregiudiziale, alla Corte di Giustizia UE dell’interpretazione delle norme unionali di cui la pronuncia fonte del giudicato avrebbe fatto erronea applicazione: ciò alla luce del principio, saldamente radicato nella giurisprudenza della stessa CGUE, come risulta dalle sentenze 5 ottobre 2010, C-173/09, Elchinov, e 20 ottobre 2011, C-396/09, Fall. Interedil (per il cui commento v. Panzani, La nozione di COMI nella disciplina comunitaria dell’insolvenza transfrontaliera: i casi Interedil e Rastelli, in Int’l Lis, 2012, 31), nonché dall’ordinanza emessa nel corso della vicenda processuale su tratteggiata, a tenore del quale «il diritto dell’Unione osta a che un giudice nazionale sia vincolato da una norma di procedura nazionale ai sensi della quale egli debba attenersi alle valutazioni svolte da un giudice nazionale di grado superiore qualora risulti che le valutazioni svolte dal giudice di grado superiore non sono conformi al diritto dell’Unione come interpretato dalla Corte [di Giustizia]». Né il supremo giudice ha ritenuto di potersi discostare da quel suo precedente, costituito da Cass., 15 giugno 2015, n. 12317 (in Dir. fall., 2016, II, 173, annotata da Fradeani, Insolvenza transfrontaliera e “cedevolezza” del giudicato sulla giurisdizione secondo la Cassazione), che, proprio sull’onda della sentenza Interedil e in un caso analogo a quello di cui s’è qui dibattuto, aveva escluso che, ove interferente con un giudicato sulla giurisdizione, il principio testé riportato potesse subire restrizione per effetto di controlimiti di natura costituzionale ovvero si ponesse in diretto conflitto con il dettato costituzionale.

Ciò posto, la questione di cui le Sezioni unite si sono reputate investite è stata, pertanto, quella riguardante il potere del giudice di emanciparsi da un previo giudicato sulla giurisdizione anche una volta che, all’esito della decisione della CGUE, questo appaia non contrastante ma conforme al diritto dell’Unione. E la risposta offerta al quesito è stata immediata quanto tranchante: «ciò che esautora il giudicato sulla giurisdizione non è il fatto in sé della sua devoluzione all’esame pregiudiziale della CGUE da parte del giudice nazionale non di ultima istanza, ma soltanto la pronuncia della CGUE dalla quale si evinca l’effettivo e materiale contrasto del giudicato stesso con il diritto UE»; ed invero, se alla radice della giurisprudenza su riferita della Corte di Giustizia è l’esigenza di assicurare un «uniforme adeguamento della decisione nazionale sulla giurisdizione al diritto UE ogniqualvolta quella decisione incida – come nel caso del trattamento concorsuale dell’insolvenza – su una materia rilevante per il diritto unionale», è di solare evidenza che, ove quell’esigenza non si ponga poiché il giudicato di cui si discute risulta già in linea con i precetti della normativa europea, «non vi sono ragioni per non riaffermare la piena operatività della disciplina processuale nazionale che a tale giudicato sulla giurisdizione attribuisca natura vincolante e preclusiva».

Con questo, naturalmente, il discorso non poteva ancora considerarsi concluso, giacché restava da verificare, nel caso concreto, la conformità o meno del giudicato sulla giurisdizione presente sulla scena ai princìpi enunciati dalla Corte di Giustizia a séguito del rinvio pregiudiziale nell’occasione disposto. Ma una volta acclarato che, nell’affermare la potestas iudicandi del giudice italiano, la Cassazione si era mossa nel solco degli indirizzi della Corte del Kirchberg «quanto a nozione di centro degli interessi principali, a carattere relativo (dunque superabile) della presunzione regolamentare, a superamento di tale presunzione (pur in assenza di dipendenza) in ragione della “valutazione globale di tutti gli elementi propri della situazione esaminata”, ed attraverso l’enucleazione (dalle Sezioni Unite operata in qualità di giudice, in sede di regolamento di giurisdizione, anche del fatto) di “elementi obiettivi e riconoscibili dai terzi”», le sorti della sentenza impugnata – scaturita da «una nuova ed autonoma valutazione fattuale e probatoria del quadro istruttorio […], come se una valutazione originaria non fosse già stata compiuta in sede di regolamento, e come se la sollecitata pronuncia della CGUE fosse di per sé (cioè indipendentemente dal suo tenore) idonea ad aprire una fase rescissoria di giudizio» – tali sorti, si diceva, erano segnate e inevitabile, per la «eclatante» violazione così perpetrata del precetto di cui all’art. 382 c.p.c., ne è stata la cassazione, con rinvio alla stessa Corte di merito per una nuova decisione sull’istanza di fallimento.

QUESTIONI

[1] Considerata nelle sue enunciazioni di rilievo nomofilattico, quella al cospetto della quale qui ci troviamo si palesa chiaramente come una pronuncia a rime obbligate. Nel momento, difatti, in cui si ammette che il giudicato sulla giurisdizione debba piegarsi di fronte al bisogno di garantire il rispetto, da parte del giudice nazionale, delle regole in materia del diritto UE così come interpretate dalla Corte di Giustizia, è assolutamente ovvio che dove si accerti, come nella presente vicenda avvenuto, che a dette regole, e alla relativa interpretazione fornita dalla Corte, il giudice nazionale abbia prestato la dovuta osservanza, il giudicato si veda ripristinato nelle pienezza dei suoi vincoli preclusivi e conformativi. E da questo punto di vista, l’intervenuta mobilitazione delle Sezioni unite suona un tantino eccessiva: perché sarà pur vero, come si legge nell’ordinanza di rimessione, che quella devoluta al loro esame era una questione «nuova»; ma per la semplice ragione che a nessuno era mai venuto in mente che bastasse richiedere alla Corte di Giustizia l’esatta interpretazione delle norme di cui la pronuncia con forza di giudicato sulla giurisdizione avesse asseritamente fatto cattivo uso, per porre automaticamente quel giudicato in non cale e far sì che tutto tornasse in gioco sulla questione come all’avvio del processo.

Diverso discorso sarebbe stato se l’autorità remittente, in ciò prendendo le distanze dalla cit. Cass. n. 12317/2015, avesse ravvisato la possibilità, nella fattispecie, di invocare taluno dei c.d controlimiti che fungono da presidio, nei rapporti con il diritto europeo, dell’identità fondamentale dell’ordinamento italiano (cfr., in particolare, Corte cost., 22 ottobre 2014, n. 238; per un’estesa riflessione dottrinale sul tema, si rinvia a Ruggeri [a cura di], I controlimiti. Primato delle norme europee e difesa dei principi costituzionali, Napoli, 2017). Ma così non è stato né in quella direzione si è indirizzata, come sappiamo, la presente Cass. n. 10860/2022.

Sull’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia in tema di allentamento dei vincoli del giudicato in ossequio alla necessità di assicurare l’ottemperanza dei giudici nazionali ai princìpi del diritto UE – filone cui la pronuncia annotata è sicuramente ascrivibile -, cfr. Luiso, La cedevolezza del giudicato, in Riv. dir. proc., 2016, 17 ss.; Fradeani, op. cit., 179 ss.

[2] I riferimenti dianzi operati al “giudicato sulla giurisdizione” sono essenzialmente un omaggio al lessico impiegato dalla decisione in commento e non riflettono una più impegnativa presa di posizione sulla vexata quaestio relativa al se gli effetti vincolanti delle statuizioni sul punto della Suprema Corte siano effetivamente da ricondurre all’istituto di cui all’art. 2909 c.c. o non sia preferibile inquadrarli entro differenti categorie, come quelle della preclusione o dell’efficacia panprocessuale: in argomento, ex multis, Menchini, voce Regiudicata civile, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XVI, Torino, 1997, 417 ss.; Gasperini, Il sindacato della Cassazione sulla giurisdizione tra rito e merito, Padova, 2002, 269 ss.; Gioia, La decisione sulle questioni di giurisdizione, Torino, 2009, 174 ss.; Asprella, sub art. 382, in Comoglio – Consolo – Sassani – Vaccarella (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, IV, Milanofiori Assago (MI), 2013, 1057 ss.

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