Garanzia propria e garanzia impropria: le Sezioni unite sanciscono la «parità di trattamento» nel processo
di Claudio Bechis Scarica in PDFCass., Sez. Un., 4 dicembre 2015, n. 24707
Pres. Rodorf – Est. Frasca
Procedimento civile – Assicurazione non obbligatoria della responsabilità civile – Distinzione tra garanzia propria e impropria – Ai fini della competenza territoriale per connessione – Ai fini della chiamata del garante – Ai fini dell’estromissione del garantito – Ai fini dell’estensione soggettiva dell’impugnazione – Rilevanza – Insussistenza
(C.p.c. artt. 32, 102, 106, 108)
Appello civile – Assicurazione non obbligatoria della responsabilità civile – Impugnazione del garante anche contro l’accertamento dell’obbligo principale risarcitorio – Cause inscindibili – Sussistenza – Distinzione tra garanzia propria e impropria – Rilevanza – Insussistenza – Riforma della sentenza – Nei confronti di tutte le parti – Sussistenza
(C.p.c. artt. 332, 331, 336 e 343)
[1] Tra garanzia propria ed impropria non v’è alcuna differenza processuale: la competenza territoriale per connessione sussiste in entrambi i casi, sono comunque ammesse sia la chiamata del garante sia l’estromissione del garantito e il giudizio di impugnazione presenta sempre la medesima estensione soggettiva.
[2] La sentenza con cui il giudice d’appello, accogliendo l’impugnazione del garante chiamato in manleva, esclude lo stesso obbligo principale risarcitorio – e dunque quello dipendente di garanzia (nella specie, relativo all’assicurazione non obbligatoria della responsabilità civile) – poiché pronunciata nell’ambito di cause inscindibili, dispiega i propri effetti anche nei riguardi del garantito, purché quest’ultimo non abbia contestato l’altrui gravame proprio in relazione alle censure accolte.
IL CASO
[1, 2] Un istituto assicurativo chiamato in manleva ha impugnato la condanna pronunciata in primo grado, contestando sia l’obbligo di garanzia sia l’obbligo principale (risarcitorio) della cooperativa convenuta; quest’ultima, oltre ad appellare incidentalmente il rigetto della domanda svolta in via riconvenzionale per il pagamento dei propri servizi (dai quali sarebbero derivati i danni lamentati dagli attori), da un lato, ha ribadito le proprie ragioni di assicurata, dall’altro, si è letteralmente “associata” ai rilievi con cui l’assicurazione negava ogni danno.
Accogliendo tali censure, il giudice di secondo grado ha escluso lo stesso obbligo risarcitorio (e dunque quello di garanzia), riformando la sentenza di primo grado negli esclusivi confronti dell’istituto assicurativo, posto che l’impugnazione incidentale della cooperativa – nonostante l’adesione in parte qua all’appello principale – sarebbe stata limitata al solo rigetto della domanda riconvenzionale (e, pertanto, la relativa condanna ormai passata in giudicato per acquiescenza qualificata ai sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c., come precisato in sede di rimessione ex art. 374, comma 3, c.p.c.).
La cooperativa ha quindi adito la Suprema Corte osservando che l’assicurazione non obbligatoria della responsabilità civile ex art. 1917 c.c., quale garanzia propria, avrebbe dato luogo nella fattispecie al c.d. litisconsorzio necessario processuale, imponendo l’adozione di un’unica decisione nei riguardi di tutte le parti in lite, a prescindere dall’oggetto dell’appello incidentale (peraltro validamente esteso per relationem).
LA SOLUZIONE
[1, 2] Dato il contrasto sulla natura propria (v. Cass., Sez. Un., 26 luglio 2004 n. 13968, in Foro it., 2005, 2385, con nota di Gambineri, Notizie buone, cattive e pessime in tema di garanzia) o impropria (v. Cass. 18 maggio 2011 n. 10919 e Cass. 4 maggio 2004 n. 8458) della garanzia in esame e dubitando dell’attualità della relativa distinzione processuale, la Sezione III ha richiesto l’intervento delle Sezioni Unite, le quali, nell’accogliere il ricorso, hanno esteso ex art. 384 c.p.c. alla cooperativa gli effetti della sentenza d’appello, poiché pronunciata nell’ambito di cause inscindibili ex art. 331 c.p.c. (conf. Cass. 30 settembre 2014 n. 20552 e Cass. 13 maggio 2009 n. 11055; cfr. Cass. 24 ottobre 2013 n. 24132 e Cass. 15 dicembre 2003 n. 19181).
Ciò, escludendo in via preliminare ogni differenza processuale tra garanzia propria ed impropria – senza dunque chiarire quale delle due ricorresse nella fattispecie né interrogarsi sulla validità dell’impugnazione “in adesione” della ricorrente – e precisando che, qualora il garantito avesse contestato l’altrui gravame in relazione ai motivi accolti in appello, sarebbe invece rimasto estraneo alla riforma della sentenza, risultando necessario il litisconsorzio “sul piano processuale, ma non sul piano del tenore della decisione” (sempre sensibile alla legittima disposizione del diritto controverso).
LE QUESTIONI
[1, 2] Secondo la tradizionale distinzione tra garanzia propria ed impropria, la prima sussiste nelle fattispecie in cui una previsione normativa pone in collegamento la posizione dell’attore e quella del garante, mentre la seconda è ravvisabile nelle ipotesi in cui non v’è spazio per dirette pretese tra di essi ed il nesso tra obbligo principale e di manleva passa per un mero accadimento storico (Cass., Sez. Un., 26 luglio 2004 n. 13968, cit; cfr. Cass. 16 aprile 2014 n. 8898; Cass. 29 luglio 2009 n. 17688, ivi, 2009 e Cass. 24 gennaio 2007 n. 1515, ivi, 2007, per cui si ha garanzia propria a fronte dell’identità del titolo o in caso di connessione oggettiva tra diritto principale e diritto di manleva, unico essendo il fatto generatore delle due responsabilità, mentre ricorre garanzia impropria laddove detta connessione sussista in via meramente occasionale).
Con l’annotata decisione – propizia all’uniformità della giurisprudenza e recettiva degli auspici della dottrina (Romano, Sulla dubbia utilità della nozione di garanzia impropria e su alcune conseguenze del suo impiego, in Riv. Dir. Proc. 1999, 937 ss., Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, I e II, Bari, 2015, 179 e 367 ss. e Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014, 349 ss. e 470 ss.) – le Sezioni Unite hanno definitivamente superato l’incerta dicotomia in esame, ritenendola processualmente irrilevante non solo con riferimento all’estensione soggettiva del giudizio di impugnazione, ma ad ogni fine processuale.
Il principio maggiormente innovativo lo si rinviene affermato in via di obiter dictum, allo scopo di chiarire che la competenza territoriale per connessione ai sensi dell’art. 32 c.p.c. sussiste anche a fronte di garanzia impropria (contra Cass. 16 aprile 2014 n. 8898, cit., Cass. 24 gennaio 2007 n. 1515 cit. e Cass., Sez. Un., 26 luglio 2004 n. 13968, cit, sulla base del principio del giudice naturale precostituito per legge ex art. 25, comma 1, Cost.), analogamente a quanto già statuito con riferimento alla portata internazionale dell’art. 6, n. 2, Convenzione di Bruxelles del 1968 (v. Cass., Sez. Un., 28 maggio 2012 n. 8404 e Cass., Sez. Un., 12 marzo 2009 n. 5965). La Corte ha peraltro sottolineato come l’art. 32 c.p.c. operi solo a fronte della effettiva formulazione della domanda di manleva e non anche laddove il garantito, chiamando il garante in giudizio, abbia esclusivamente inteso vincolarlo all’eventuale accertamento dell’obbligo principale (cfr. Cass. 4 febbraio 1993 n. 1375): infatti, solo nella prima delle due ipotesi si verifica il cumulo delle cause simultaneamente trattate innanzi al giudice della lite principale ovvero a quello altrimenti competente per valore (cfr. Balena, op. loc. cit. e Mandrioli, Diritto processuale civile, I, Torino, 2015, 336 ss); l’estensione meramente soggettiva della lite ai sensi dell’art. 106 c.p.c. si direbbe pertanto ricadere, se del caso, nell’aura precettiva dell’art. 33 c.p.c.
Degna di nota risulta anche l’espressa ammissione – nuovamente incidentale – della possibilità di estromettere anche il garantito improprio ai sensi dell’art. 108 c.p.c. (con richiamo a Cass. 14 aprile 1981 n. 2236; contra Cass., Sez. Un., 26 luglio 2004 n. 13968, cit., paventando una sostituzione processuale non prevista ex lege; cfr. Cass. 1 giugno 2010 n. 13432, in Resp. civ. e prev., 2011, 393, permissiva, ma sulla base dell’espresso disposto dell’art. 4, comma 5, D.P.R. 24 maggio 1988 n. 224).
Senz’altro in linea con il diritto vivente risulta infine l’affermazione – ancora in via di obiter – per cui la distinzione tra le due forme di manleva non rileva neppure nella disciplina della chiamata del garante (pacificamente ammessa anche nei riguardi del garante improprio: v. Cass. 30 settembre 2005 n. 19208, in Mass. Foro It., 2005, Cass. 20 dicembre 1997 n. 12917, ivi, 1997 e Cass. 30 gennaio1992 n. 979, ivi, 1992).