10 Ottobre 2017

Garanzia del contraddittorio e applicazione del procedimento camerale di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c. fuori dai casi previsti dalla legge

di Giulia Ricci Scarica in PDF

Cass. Sez. II 25 luglio 2017, n. 18278, ord., Pres. Matera, Rel. Besso Marcheis

Ricorso per cassazione – Revocazione – Inammissibilità – Procedimento camerale – Applicazione. (Cod. proc. civ., art. 380 bis, 380 bis.1, 391 bis, comma 4).

[1] Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per revocazione si applica il procedimento di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c., poiché il rispetto del principio del contraddittorio consente di superare il dato letterale dell’art. 391 bis, comma 4 c.p.c. nella parte in cui rinvia al procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c.

 IL CASO

[1] Un decreto di rigetto emesso dalla Corte d’appello veniva impugnato in Cassazione per violazione dell’art. 4, L. n. 89/2001 ed il ricorso veniva respinto. La sentenza di rigetto della Cassazione veniva impugnata per revocazione, censurandosi un errore di fatto ex art. 391 bis, comma 1, c.p.c.

LA SOLUZIONE

[1] La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., ma ha escluso l’applicazione del procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c., richiamato dalla norma, in favore del procedimento camerale disciplinato dall’art. 380 bis.1 c.p.c., ritenuto maggiormente conforme al principio del contraddittorio.

LE QUESTIONI

[1] Secondo la S.C. la «maggiore articolazione del contraddittorio» nel procedimento in camera di consiglio previsto dinanzi alle sezioni semplici di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c. consente di superare il testuale rinvio dell’art. 391 bis, comma 4, c.p.c. al procedimento per la declaratoria di inammissibilità dinanzi alla sezione cd. filtro (sezione sesta) di cui all’art. 380 bis c.p.c.

È noto che il d.l. 31 agosto 2016, n. 168, conv. con modificazioni dalla l. 25 ottobre 2016, n. 197 ha reso il procedimento in camera di consiglio la regola generale della definizione del giudizio di cassazione (per approfondimenti si rinvia a C. Punzi, La nuova stagione della Corte di cassazione e il tramonto della pubblica udienza, in Riv. Dir. Proc., 2017, 5 ss.) e, relativamente alla declaratoria di inammissibilità, il procedimento è diversificato a seconda che si svolga dinanzi alla sezione sesta o alle sezioni semplici.

Nel primo caso, previsto dall’art. 380 bis c.p.c. come modificato dalla riforma, quando il relatore della sezione “filtro” ravvisa un’ipotesi di inammissibilità, il presidente fissa l’adunanza in camera di consiglio con decreto, che viene notificato agli avvocati almeno venti giorni prima dell’adunanza; non oltre cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza gli stessi possono presentare memorie. È stata eliminata la previsione per cui, unitamente alla notificazione del decreto di fissazione dell’adunanza, le parti ricevono la «relazione con la concisa esposizione delle ragioni» fondanti la pronuncia di inammissibilità; nella nuova disciplina, dunque, le parti hanno contezza esclusivamente del motivo per cui è stata fissata l’adunanza (inammissibilità, manifesta infondatezza o fondatezza del ricorso), ma non delle ragioni sottostanti. Per tale motivo parte della dottrina ha espresso il dubbio di legittimità della nuova previsione rispetto agli artt. 24, comma 2 e 111, comma 2 Cost.  (v. C. Carratta, La «cameralizzazione» del giudizio in Cassazione e la garanzia del contraddittorio a rischio, in www.processocivileweb.it), ma la questione è stata dichiarata manifestamente infondata dal giudice di legittimità (v. Cass., 10 gennaio 2017, ord. n. 395, in Foro it., 2017, I, 538, con nota di G. Costantino).

Con la pronuncia in commento, la seconda sezione si è discostata da quest’ultimo orientamento, escludendo l’applicazione del procedimento de quo a causa della scarsa «articolazione del contraddittorio», in favore del procedimento ex art. 380 bis.1 c.p.c., introdotto dalla riforma del 2016. La scelta appare singolare, considerate le criticità, non meno rilevanti, insite nella nuova previsione.

L’art. 380 bis.1 c.p.c. prevede infatti che la fissazione dell’adunanza è comunicata agli avvocati ed al pubblico ministero almeno quaranta giorni prima della stessa; il pubblico ministero e gli avvocati possono depositare conclusioni e memorie, rispettivamente, non oltre venti e dieci giorni prima dell’adunanza; è esclusa la partecipazione del pubblico ministero e degli avvocati alla camera di consiglio.

I primi interpreti hanno evidenziato che tale disciplina presenta gravi profili di contrasto con il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa, per due ordini di ragioni. In primo luogo, premesso che la riforma del 2016 ha reso la decisione con ordinanza in camera di consiglio la regola generale per la decisione in cassazione (v. art. 375, comma 2, c.p.c.), al momento della notificazione del decreto di fissazione dell’adunanza le parti non hanno conoscenza del motivo per cui è disposto il procedimento camerale, che può seguire sia una valutazione di insussistenza di questioni di diritto particolarmente rilevanti (art. 375, comma 2, c.p.c.), sia una valutazione di inammissibilità o di manifesta infondatezza o fondatezza del ricorso (art. 375, comma 1, nn. 1 e 5, c.p.c.). Dinanzi a tale alternativa, le difese delle parti sono svolte “al buio” al momento del deposito delle memorie (e senza alcuno “sfalzamento” dei termini, v. Carratta, La «cameralizzazione» del giudizio in Cassazione e la garanzia del contraddittorio a rischio, cit.), e senza la prospettiva di un successivo adeguamento all’effettiva valutazione del collegio, considerato il divieto di partecipazione all’adunanza (cfr. G. Costantino, Suprema Corte: una cura sbagliata che incide sui diritti, in Guida dir., 2016, fasc. 47, 10 ss.).