Fusione societaria e scientia decoctionis nella revocatoria fallimentare
di Federica Pasquariello, Ordinario di Diritto commerciale, Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass. civ. Sez. I, ord. 12 novembre 2019, n. 29256, Pres. Genovese – Est. Vella
Parole chiave: Azione revocatoria fallimentare- Presupposti – Scientia decoctionis – Società risultante da fusione
Massima: La fusione di società realizza una successione universale corrispondente a quella “mortis causa” e produce gli effetti, tra loro interdipendenti, dell’estinzione della società incorporata e della contestuale sostituzione nella titolarità dei rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo a questa dell’incorporante, la quale rappresenta il nuovo centro di imputazione dei rapporti giuridici già riguardanti i soggetti fusi o incorporati, sicché nel caso di revocatoria fallimentare, al di là del letterale riferimento dell’art. 2504 bis c.c. ai diritti ed agli obblighi, la sostituzione riguarda anche le situazioni di scienza giuridicamente rilevanti, ivi compresa l’eventuale conoscenza dello stato di insolvenza del soggetto incorporato che ha effettuato un pagamento nel periodo sospetto.
Riferimenti normativi: art. 67 l. fall.; artt. 2504 bis ss. c.c.
CASO
La società ricorrente aveva subito la revocatoria ex art 67, comma 1, n. 1) l. fall. di un atto di cessione, datato 1994, che prevedeva che il prezzo fosse pagato parzialmente a mezzo cessione pro soluto di crediti ( crediti vantati dall’acquirente nei confronti di altre tre società del gruppo della alienante), in parte mediante compensazione di un credito verso la stessa alienante e per il residuo anche mediante forniture. Di seguito la società cedente era stata incorporata da altra società del proprio gruppo; quest’ultima era poi dichiarata insolvente ed ammessa ad amministrazione straordinaria nel 1996. In sede di giudizio di legittimità, viene denunciata ( tra l’altro) la scorretta applicazione dell’art. 67 l. fall., poiché l’atto di cessione revocato non sarebbe stato riferibile alla società attrice, bensì ad un’altra società del gruppo; si assume, poi, che tale società, al momento della vendita, era in bonis, poiché l’insolvenza era stata dichiarata in un momento successivo e solo in capo alla società incorporante; inoltre in capo alla ricorrente non si era verificato il presupposto della scientia decoctionis.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione ha escluso la fondatezza del motivo di ricorso, richiamando una propria consolidata giurisprudenza, secondo la quale la fusione di una società realizza un’ipotesi di successione universale con i medesimi effetti di una successione mortis causa.
QUESTIONI
Le conclusioni alle quali perviene la Suprema Corte appaiono senz’altro condivisibili; criticabile, invece, il percorso argomentativo, che muove dalla tradizionale ricostruzione di natura ed effetti della operazione societaria di fusione per incorporazione.
Da questo punto di vista, va registrato una certo scollamento tra le soluzioni enunciate in via di principio in letteratura (per i necessari riferimenti dottrinali e giurisprudenziali cfr. C. Santagata e R. Santagata, Le fusioni, in Trattato diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 7**, 1, Torino, 2004, pp. 41 ss) e gli approdi empirici ai quali giunge la giurisprudenza.
E’ da una concezione in senso lato antropomorfa del fenomeno societario che scaturisce, in molte pronunce giurisprudenziali, la percezione in termini estintivi della vicenda del soggetto fuso o incorporato/ scisso/ trasformato, con conseguente tendenza alla applicazione di un meccanismo per certi versi successorio in relazione ai rapporti giuridici già in essere. Peraltro, in questo ordine di idee, si indulge anche a vedere nella fusione, nella scissione, nella trasformazione un evento suscettibile di rendere applicabile alle società preesistenti il meccanismo di cui all’art. 10 l. fall. relativo al fallimento della impresa cessata, nell’anno successivo alla sua cancellazione, per un’insolvenza pregressa, nella ovvia logica di protezione dei creditori di quella; inoltre, coerentemente, si dà applicazione, sul fronte dei processi in corso, all’effetto interruttivo dell’art 110 c.p.c.; oltre a ragionare in termini traslativi in relazione ai valori attribuiti alle società, segnatamente in operazioni di scissione ( occorre quanto meno richiamare per tutti A. Picciau, Forme di scissione, in Trasformazione – Fusione – Scissione, a cura di Bianchi, in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti e altri, Milano, 2006, p. 1040 ss. In particolare, sul tema della trascrivibilità dell’atto di fusione, cfr. M. Cavanna, in Aiello, Cavaliere,Cavanna, Cerrato, Sarale, Le operazioni societarie straordinarie, in Tratt. di dir. comm. diretto da Cottino, V, II, Padova, 2011, p. 482). Questa lettura trova riscontro in un formante giurisprudenziale, che si riallaccia ad un orientamento tradizionale per vero emergente non solo in sede di merito, ma anche di legittimità; e non solo in tempi risalenti, ma pure recenti ( v. Cass. 1 febbraio 2007, n. 2210, in Fallimento, 2007, 793 con nota di C. Blatti, Può essere dichiarato il fallimento della società di persone incorporata in altra, senza che sia stato dichiarato il fallimento dell’incorporante?).
Sul fronte dogmatico, invece, risulta alquanto nitida la convinzione che solo in relazione alle cancellazioni che rappresentano l’esito di un procedimento di liquidazione sia dato individuare una vicenda estintiva. Mentre ove una cancellazione sia funzionale ad una reiscrizione del nuovo soggetto che risulta dalle operazioni straordinarie menzionate vi sia continuità e non estinzione: scioglimento senza liquidazione.
Dunque, in senso critico, rispetto alla tradizionale impostazione giurisprudenziale è necessario invocare la più moderna ricostruzione delle operazioni straordinarie in chiave modificazionista (sulla fusione come “riorganizzazione ” di una pluralità di imprese societarie cfr. G. Ferri e G. Guizzi Il progetto di fusione e i documenti preparatori. Decisione di fusione e tutela dei creditori, in Il nuovo diritto delle società, Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, dir. da P. Abbadessa e G.B. Portale, 4, Torino, 2007, p. 235 ss. In giurisprudenza il leading case è rappresentato da Cass.sez. un., 8 febbraio 2006, n. 2637, in Foro it., 2006, I, p. 1739, con note di D. Dalfino, I. Paola, e R. Rordorf.), sulla scorta del principio di continuità che, importato dall’ordinamento comunitario, risulta codificato in tutti i diritti nazionali europei, ed ovviamente, anche in quello italiano, in relazione alla trasformazione ( art. 2498 c.c.), alla fusione ( art. 2504 bis c.c.) ed alla scissione ( art. 2506 c.c.). La continuità nei rapporti giuridici, attivi e passivi, che vanno “versati” nei nuovi contenitore rispettivamente rappresentato dalle società che risultano dall’operazione trova riscontro nella preclusione di forme di surrettizia liquidazione e restituzione dei conferimenti ai soci, posto che il conguaglio in denaro che gli stessi possono percepire resta circoscritto alla soglia massima del 10% del valore nominale delle azioni o delle quote attribuite (art. 2506 c.c.).
E’ fondato quindi ricostruire la medesima identità dell’imprenditore-società, pur in un nuovo assetto organizzativo ( così anche da ultimo Cass., 9 ottobre 2017, n. 23575, in www.unijuris.it) ed in una rinnovata scelta per un una determinata modalità di regolazione della struttura finanziaria e corporativa. Costruzione, questa, non solo avvalorata dalla circostanza che l’art. 2504bis, 1° comma, c.c., come emendato nel 2003, abbia soppresso l’esplicito riferimento alle società “estinte”; ma anche giustificabile, sul piano più sostanziale della protezione degli interessi coinvolti, dalla considerazione che le operazioni straordinarie “hanno un comune fattore che, rispetto alla vicenda estintiva le caratterizza fortemente, ed è l’opposizione dei creditori, posta a controbilanciare la libertà d’impresa” ( cfr. G. Niccolini, Gli effetti della cancellazione delle società di capitali dal registro delle imprese: recenti sviluppi e questioni ancora irrisolte, Il nuovo dir delle soc, 2012, p. 20). L’impresa già esistente realizza, nei modi indicati, una riorganizzazione ed un riassetto patrimoniale, senza che venga in considerazione estinzione alcuna.
Il profilo della tutela del credito, che è quello che rileva in questo commento, trova comunque adeguata soluzione. Nel senso che è comunque consentito non disperdere, per effetto della incorporazione, il presupposto soggettivo per l’esercizio della revocatoria, se esso, in fatto, sussisteva al tempo del compimento dell’atto. Il principio di continuità nei rapporti giudici, e l’assunto che la fusione realizza estinzione ma senza liquidazione, così come impone di mantenere, in capo alla società che risulta dalla fusione, ogni rapporto di debito, di credito, contrattuale, processuale, ecc., altrettanto deve esprimere una continuità e non già una sorta di “perdita” dei presupposti di legge per l’esercizio delle azioni, inclusa la revocatoria, come nel caso in commento. Se, quindi, tale presupposto – la scientia decoctionis – si era verificato al momento del compimento dell’atto, non riesce, la successiva operazione societaria, a volatilizzarlo. Peraltro, la perpetuazione degli stati soggettivi trova riscontri tipici anche a livello normativo ( si considerino, ad esempio, le presunzioni in tema di possesso di buona fede in materia di diritti reali: artt. 1141 ss. c.c.).
La conclusione sulla esperibilità della revocatoria in caso di incorporazione della società che aveva compiuto l’atto di disposizione pregiudizievole ai propri creditori suppone, all’evidenza, che lo stato di insolvenza, dal quale scaturisce la revocatoria fallimentare, sussista non solo, e per il periodo sospetto, in capo all’incorporata, ma anche in capo alla società ( incorporante), che deve trovarsi sottoposta a fallimento o – come nella fattispecie – ad amministrazione straordinaria. Diversamente e quindi se, come ben probabile, l’operazione di incorporazione – infragruppo – fosse stata concepita nella logica di un superamento dell’insolvenza dell’incorporata in società ben patrimonializzata, allora non si manifesterebbe alcuna necessità di reintegrazione della massa nell’interesse di alcun creditore concorsuale.
Un’ultima precisazione: le affermazioni sopra possono trovare piana applicazione in caso di operazione straordinaria di trasformazione o fusione, quando, cioè, la società che risulta dall’operazione non può essere che una e quindi resta escluso il dubbio sulla sua titolarità di ogni rapporto giuridico preesistente. Le conclusioni sono invece destinate a complicarsi in caso di operazione straordinaria di scissione: benché essa condivida con le altre la natura modificativa – e non estintiva ( v. per tutti G. Scognamiglio, Le scissioni, in Tratt. soc. per az., diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 7**2, Torino, 2004, p. 108) – emerge, come noto, il problema della sicura destinazione di ogni situazione giuridica soggettiva pregressa rispettivamente a ciascuna società risultante dalla scissione ( e v. art. 2506 bis c.c.).