8 Ottobre 2024

Forma e regime impugnatorio della liquidazione delle spese nell’esecuzione forzata per obblighi di fare

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 4 settembre 2024, n. 23736 – Pres. De Stefano – Rel. Condello

Esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare – Rimborso delle spese – Ingiunzione di pagamento ex art. 614 c.p.c. – Ordinanza che dichiara conclusa l’esecuzione – Mancata opposizione – Contestazione della liquidazione delle spese operata dal giudice dell’esecuzione – Inammissibilità

Massima: “Sebbene l’art. 614 c.p.c. preveda che la liquidazione delle spese nell’esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare sia effettuata con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, se la condanna dell’esecutato al pagamento delle spese sostenute per dare attuazione coattiva all’obbligo portato dal titolo è contenuta in un’ordinanza che dichiara concluso il processo esecutivo che non sia stata impugnata con l’ordinaria opposizione ex art. 645 c.p.c. o, al limite, con quella ex art. 617 c.p.c., nessuna contestazione può essere successivamente mossa alla liquidazione delle spese operata dal giudice dell’esecuzione”.

CASO

All’esito di un procedimento di esecuzione forzata avente per oggetto obblighi di fare, il giudice dava atto del completamento delle opere e, con ordinanza, dichiarava estinta la procedura, liquidando le spese e ponendole in via solidale a carico delle tre esecutate.

A una di queste veniva successivamente intimato precetto di pagamento di dette spese; una volta corrispostele spontaneamente ai creditori, l’esecutata escussa agiva per ripetere dalle altre due le quote di loro rispettiva spettanza e otteneva altrettanti decreti ingiuntivi.

L’opposizione proposta avverso uno dei due provvedimenti monitori veniva accolta, con sentenza confermata all’esito del giudizio di appello, sul presupposto che l’esecuzione avrebbe dovuto essere intrapresa nei soli confronti dell’esecutata escussa, quale unica proprietaria del bene gravato dall’obbligo di fare; pertanto, visto che l’ordinanza che aveva liquidato le spese, ponendole a carico delle tre esecutate solidalmente nulla aveva disposto in merito alla loro ripartizione nei rapporti interni, andava applicata la regola, desumibile dall’art. 1298 c.c., in base alla quale dette spese dovevano rimanere interamente a carico della parte cui era riferibile in via esclusiva l’obbligazione oggetto dell’esecuzione forzata.

Avverso la sentenza di secondo grado veniva proposto ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, affermando che la mancata impugnazione del provvedimento del giudice dell’esecuzione che aveva effettuato la liquidazione delle spese ai sensi dell’art. 614 c.p.c. e al quale andava applicato il disposto dell’art. 97 c.p.c. (secondo cui, in assenza di diversa disposizione, la ripartizione delle spese tra più parti soccombenti si fa per quote uguali), rendeva intangibile la statuizione ivi assunta, anche se non corretta, sicché legittimamente l’esecutata escussa aveva agito per ripetere dalle altre le quote di dette spese di loro spettanza.

QUESTIONI

[1] Al termine dell’esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare, in virtù di quanto disposto dall’art. 614 c.p.c., il giudice, su richiesta del creditore procedente, liquida le spese da questi anticipate (sulla base della relativa nota vistata dall’ufficiale giudiziario) con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, avverso il quale può proporsi opposizione ex art. 645 c.p.c.

Il decreto ingiuntivo così emesso, sebbene pronunciato dal giudice dell’esecuzione, non può considerarsi atto direttamente riferibile al processo esecutivo, perché successivo alla sua conclusione e diretto a procurare un titolo esecutivo di condanna da azionare in altra sede.

Per tale ragione, è stato affermato che l’opposizione ex art. 645 c.p.c. può investire solamente la congruità delle spese liquidate o la loro effettiva anticipazione da parte del creditore procedente; quando, invece, oggetto di contestazione sia l’eccessività delle spese sostenute non in sé, ma in quanto esorbitanti dal perimetro delle opere da eseguire in base al titolo esecutivo, oppure il quomodo dell’esecuzione, si finisce, in realtà, per contestare il diritto di procedere a esecuzione forzata in parte qua o la legittimità di quest’ultima, sicché il rimedio esperibile in tali casi è, rispettivamente, l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. o l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., da esperirsi al più tardi entro la chiusura del processo esecutivo (contenuta nel verbale dell’ufficiale giudiziario che dà conto delle operazioni compiute in ottemperanza a quanto prescritto con l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 612 c.p.c.) e senza che vi sia la possibilità di riqualificare l’opposizione che fosse stata invece proposta ai sensi dell’art. 645 c.p.c. (in questi termini, Cass. civ., sez. III, 9 maggio 2023, n. 12466).

Secondo la giurisprudenza, l’ingiunzione contenuta nel provvedimento monitorio emesso dal giudice dell’esecuzione può estendersi anche alle spese legali sostenute dal creditore procedente per dare attuazione coattiva all’obbligo portato dal titolo esecutivo, dal momento che la procedura delineata dagli artt. 612 e 613 c.p.c. non contempla un atto del giudice che vi pone termine in cui possa innestarsi la loro liquidazione (Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 2021, n. 269).

Nella fattispecie esaminata dalla sentenza che si annota, invece, era accaduto proprio il contrario: il giudice, anziché emettere il decreto ingiuntivo previsto dall’art. 614 c.p.c., aveva pronunciato un’ordinanza con cui aveva dichiarato conclusa l’esecuzione e liquidato le spese sostenute, ponendole a carico delle tre esecutate in via solidale.

Per questo motivo, i giudici di legittimità hanno innanzitutto stigmatizzato l’errore commesso dal giudice dell’esecuzione nell’emettere un provvedimento (ordinanza) diverso da quello prescritto (decreto ingiuntivo) e, per di più, non previsto dall’ordinamento (giacché, come osservato in precedenza, la conclusione dell’esecuzione forzata di obblighi di fare coincide con la chiusura del verbale delle operazioni compiute per dare attuazione all’obbligo non adempiuto redatto dall’ufficiale giudiziario, mentre non occorre un ulteriore atto del giudice dell’esecuzione che la sancisca).

Tuttavia, ciò che assumeva rilievo determinante, nel caso sottoposto al vaglio della Corte di cassazione, era il fatto che nessuno aveva impugnato il provvedimento in questione, mentre restava sullo sfondo la forma che esso aveva concretamente assunto (posto che, da un lato, il rimedio esperibile va individuato sulla base del contenuto sostanziale dell’atto e degli effetti che è destinato a produrre e che, dall’altro lato, ogni provvedimento che sia stato emesso dal giudice dell’esecuzione esorbitando dai suoi poteri e – come tale – qualificabile come abnorme è pur sempre impugnabile con l’opposizione ex art. 617 c.p.c., quale strumento di controllo della legittimità degli atti dell’esecuzione forzata).

In altre parole, a prescindere dalla scelta di una forma sbagliata per il provvedimento recante la liquidazione delle spese dell’esecuzione di obblighi di fare, l’omessa impugnazione precludeva ogni successiva contestazione in merito alla loro ripartizione tra le esecutate: l’erroneità della statuizione resa sul punto, infatti, doveva essere censurata con l’opposizione ex art. 645 c.p.c. o, al limite, con quella ex art. 617 c.p.c., sicché non essendo ciò avvenuto, si era formata una preclusione alla sua riconsiderazione e rivisitazione.

Il motivo del contendere, peraltro, risiedeva nella ravvisata estraneità delle due esecutate non escusse dai creditori attivatisi per il recupero delle spese rispetto all’esecuzione forzata dell’obbligo di fare cui tali spese si riferivano, in quanto non proprietarie del bene al quale l’obbligo ineriva: in effetti, secondo un indirizzo ormai consolidato, il soggetto passivo dell’esecuzione disciplinata dagli artt. 612 e 613 c.p.c. è colui che, nel momento in cui dev’essere intrapresa, si trova nel possesso materiale e di fatto della cosa sulla quale dev’essere realizzata la trasformazione per adeguare lo stato di fatto alla situazione giuridica accertata o costituita, trattandosi dell’unico soggetto che può spontaneamente adempiere il comando contenuto nel titolo esecutivo, ovvero consentire il compimento delle operazioni materiali necessarie da parte degli ausiliari del giudice.

Questa circostanza, effettivamente rilevante ai fini della distribuzione del carico delle spese liquidate dal giudice dell’esecuzione, andava tuttavia sollevata nell’ambito dell’opposizione da promuovere tempestivamente contro l’ordinanza che aveva, invece, disposto la condanna solidale delle tre esecutate puramente e semplicemente.

Non essendo ciò avvenuto, la questione non poteva essere introdotta in un giudizio diverso e successivo rispetto all’opposizione (ex artt. 645 o 617 c.p.c.) che avrebbe dovuto attingere l’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione: l’incontestabilità di quest’ultima (ovvero dell’ingiunzione resa ai sensi dell’art. 614 c.p.c.), dunque, impediva di sindacare in altra sede la valutazione operata dal giudice dell’esecuzione e la determinazione conseguentemente assunta, con particolare riguardo all’applicazione dei criteri dettati dall’art. 97 c.p.c.

La citata norma prevede che, nel disporre in ordine alla ripartizione delle spese tra più soccombenti, il giudice deve tenere conto dell’interesse di ciascuna delle parti nella causa e condannarle proporzionalmente, fatta salva la possibilità di pronunciare condanna solidale, in presenza di un interesse comune, nel quale caso, in assenza di una suddivisione delle spese disposta dal giudice, essa si fa per quote uguali.

Di conseguenza, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di merito, l’esecutata che, intimata dai creditori procedenti, aveva corrisposto loro l’intero importo liquidato dal giudice dell’esecuzione, aveva diritto di rivalersi nei confronti delle altre due esecutate, visto che il provvedimento con cui era stata effettuata la liquidazione – divenuto definitivo e irretrattabile perché non opposto – recava una condanna solidale, mentre non conteneva alcuna statuizione circa la ripartizione interna che consentisse di ritenere che l’imputazione delle spese non dovesse farsi per quote uguali, in deroga a quanto previsto dal comma 3 dell’art. 97 c.p.c.

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