Fallimento in estensione del socio accomandatario: è ammissibile la liquidazione controllata del medesimo socio privo di qualsiasi bene?
di Valerio Sangiovanni, Avvocato Scarica in PDFTribunale di Milano, 7 agosto 2024, Presidente relatore Vasile
Parole chiave
Sovraindebitamento – Liquidazione controllata – Assenza di beni – Inammissibilità
Massima: “Nel caso in cui una persona fisica si trova in stato di sovraindebitamento ma non ha alcun bene che possa essere destinato ai creditori, non è ammissibile la procedura di liquidazione controllata, non potendo questa svolgere alcuna funzione utile alla massa dei creditori, essendo anzi generatrice di costi ulteriori”.
Disposizioni applicate
Art. 268 c.c.i.i. (liquidazione controllata), art. 282 c.c.i.i. (esdebitazione di diritto), art. 283 c.c.i.i. (esdebitazione del sovraindebitato incapiente)
CASO
Una persona fisica che si trova in stato di sovraindebitamento chiede di essere ammesso alla procedura di liquidazione controllata prevista dal codice della crisi. Il debitore non dispone però di beni economicamente rilevanti, cosicché il Tribunale di Milano si chiede se sia ammissibile e sensata una procedura di liquidazione senza nulla da liquidare.
SOLUZIONE
Il Tribunale di Milano dichiara inammissibile il ricorso depositato dal debitore, in quanto l’assenza di attivo da distribuire fa venire meno la finalità primaria della procedura concorsuale: quella del soddisfacimento, anche minimo, dei creditori.
QUESTIONI
Il codice della crisi ha ridefinito le varie procedure concorsuali, minori e maggiori. Presupposto delle procedure concorsuali minori è il sovraindebitamento, ossia la presenza di un monte-debiti che non può essere abbattuto dal debitore. Le procedure che vengono in considerazione sono tre: 1) la ristrutturazione dei debiti del consumatore (che presuppone però la qualità di consumatore; 2) il concordato minore (che presuppone la qualifica di imprenditore); 3) la liquidazione controllata.
Nel caso in esame il debitore era socio di una s.a.s., che venne dichiarata fallita. Quale conseguenza automatica del fallimento della società, venne dichiarata fallita anche la persona fisica socio accomandatario. La sentenza del Tribunale di Milano non affronta in via preliminare, almeno in modo espresso, una questione che è invece centrale: se una persona fisica è già assoggettata a fallimento secondo il rito della vecchia legge fallimentare può chiedere di essere ammessa anche alla distinta procedura di liquidazione controllata prevista dal nuovo codice della crisi? A mio parere ciò non dovrebbe essere possibile, in quanto è già aperta una distinta procedura concorsuale, rispetto alla quale non sono consentite duplicazioni. Ciò vale anche nel caso la procedura fallimentare concernente il socio sia già stata chiusa.
La debitoria che fa capo al socio è impressionante: quasi 17 milioni di euro. Si tratta dei debiti accumulati dalla s.a.s., dei quali egli risponde quale socio accomandatario illimitatamente responsabile. Questi debiti sono di origine professionale, e non consumeristica: il socio risponde dei debiti della società, la quale esercita – per definizione – un’attività di tipo professionale. Ecco allora che, nel caso di specie, la procedura della ristrutturazione dei debiti del consumatore è esclusa per il fatto che il socio non è un consumatore.
A fronte del passivo enorme cui si accennava (circa 17 milioni di euro), il socio non risulta proprietario di alcun bene che abbia un significato economico apprezzabile: il debitore è disoccupato, privo di reddito e privo di beni. Come si può comprendere, sussiste una radicale impossibilità materiale di soddisfare, anche solo in misura minima, i creditori.
La questione di diritto trattata nella sentenza del Tribunale di Milano è se si possa disporre la liquidazione controllata di una persona priva di qualsiasi attivo. La legge non offre una risposta espressa a questa domanda, spingendo così la giurisprudenza a soluzioni contrastanti. La legge si occupa di una questione leggermente diversa, prevedendo che “quando la domanda è proposta da un creditore nei confronti di una persona fisica non si fa luogo all’apertura della liquidazione controllata se l’OCC, su richiesta del debitore, attesta che non è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori neppure mediante l’esercizio di azioni giudiziarie” (così il comma 3 dell’art. 268 c.c.i.i.). Questa disposizione si riferisce alla domanda di liquidazione controllata presentata dal creditore, non al diverso caso in cui la domanda è presentata dal debitore. Tuttavia il Tribunale di Milano ritiene applicabile la norma anche all’ipotesi di presentazione della domanda da parte del debitore.
Il vero obiettivo perseguito dal socio è quello di ottenere l’esdebitazione. E in effetti la legge prevede che “per le procedure di liquidazione controllata, l’esdebitazione opera di diritto a seguito del provvedimento di chiusura” (art. 282 comma 1 c.c.i.i.). Il punto è che non si può esperire questa procedura quando non vi sono beni da liquidare: del resto una procedura che è chiamata dalla legge di “liquidazione” implica per definizione che vi sia qualcosa da liquidare.
Il Tribunale di Milano osserva che la procedura che potrebbe seguire il socio è quella prevista dall’art. 283 c.c.i.i., concernente la “esdebitazione del sovraindebitato incapiente”. Questa disposizione stabilisce che “il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere all’esdebitazione solo per una volta, fatto salvo l’obbligo di pagamento del debito entro quattro anni dal decreto del giudice laddove sopravvengono utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore complessivamente al dieci per cento”. Questa procedura è aperta a tutte le persone fisiche, e dunque anche al socio della s.a.s. persona fisica. L’art. 283 c.c.i.i. non distingue tra consumatore e professionista. Nel caso affrontato dal Tribunale di Milano i debiti che residuano in capo al socio sono debiti originati dalla s.a.s. e dunque debiti di natura professionale. Se fossero esclusi i debiti di origine professionale, il socio non potrebbe attivare il meccanismo dell’esdebitazione del debitore incapiente.
Il Tribunale di Milano opera una comparazione tra gli interessi in gioco. I creditori concorsuali non possono trarre alcun vantaggio dalla liquidazione controllata in quanto non vi sono beni da apprendere. Inoltre la procedura di liquidazione controllata genererebbe i costi della medesima procedura, che vengono indicati nel ricorso nell’importo di 9.387,90 euro. La liquidazione controllata dunque, lungi dal favorire i creditori, produrrebbe l’effetto contrario di incrementare ulteriormente il monte-debiti. In conclusione, il giudice milanese dichiara inammissibile il ricorso presentato dal socio con cui chiedeva l’apertura della propria liquidazione controllata.
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