Fallimento dell’esecutato e accertamento dell’obbligo del terzo
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 12 gennaio 2021, n. 272 – Pres. De Stefano – Rel. Tatangelo
Espropriazione mobiliare presso terzi – Accertamento endoesecutivo dell’obbligo del terzo – Fallimento del debitore pignorato – Improseguibilità
In tema di espropriazione forzata di crediti presso terzi, il sopravvenuto fallimento del debitore pignorato, pur determinando, a norma dell’art. 51 l.fall., l’improseguibilità del processo esecutivo, non comporta l’improcedibilità dell’autonomo giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo; tuttavia, poiché – come affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 172 del 10 luglio 2019 – dopo la riforma introdotta dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 549 c.p.c. produce effetti ai soli fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione e non dà luogo alla formazione di un giudicato sull’an o sul quantum del debito nei confronti dell’esecutato, si deve escludere che, intervenuto il fallimento dell’esecutato, possa darsi ulteriore impulso all’accertamento endoesecutivo compiuto dallo stesso giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 549 c.p.c.
CASO
Nell’ambito di un’espropriazione mobiliare presso terzi in cui erano insorte contestazioni in ordine alla dichiarazione negativa resa dal terzo pignorato, veniva promosso il giudizio di accertamento previsto dall’art. 549 c.p.c. (nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dalla l. 228/2012).
Dopo l’instaurazione di tale giudizio, con conseguente sospensione del processo esecutivo, veniva dichiarato il fallimento della società esecutata, ma la circostanza non veniva ritenuta ostativa, da parte del tribunale, alla pronuncia della sentenza, che accertava l’esistenza dell’obbligo del terzo.
La pronuncia, gravata mediante appello, pur essendo stata dichiarata nulla, veniva confermata quanto all’accertamento del credito pignorato, sicché il terzo proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che la sopravventa dichiarazione di fallimento della società esecutata avrebbe dovuto condurre alla dichiarazione di improseguibilità dell’esecuzione, ovvero del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, ai sensi dell’art. 51 l.fall., non potendosi procedere all’assegnazione dei crediti pignorati in favore dei creditori procedenti.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha affermato che il fallimento del debitore esecutato non determina l’improcedibilità del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo radicato sotto il vigore dell’art. 549 c.p.c. nella formulazione precedente alla riforma introdotta dalla l. 228/2012, mentre impedisce di dare ulteriore impulso all’accertamento endoesecutivo affidato al medesimo giudice dell’esecuzione secondo la versione attualmente in vigore della norma.
QUESTIONI
L’accertamento dell’obbligo del terzo nell’ambito dell’espropriazione forzata di crediti è profondamente mutato a seguito delle riforme introdotte a partire dal 2012.
Infatti, mentre fino a quel momento, nel caso in cui la dichiarazione prevista dall’art. 547 c.p.c. fosse mancata o se su di essa fossero insorte contestazioni, il processo esecutivo veniva sospeso per consentire lo svolgimento di un autonomo giudizio di cognizione, volto a verificare l’effettiva sussistenza di obblighi del terzo pignorato nei confronti del debitore esecutato suscettibili di condurre all’assegnazione di cose o crediti in favore del creditore procedente e degli altri che fossero intervenuti, con la riscrittura dell’art. 549 c.p.c. è stata introdotta una parentesi cognitiva che si innesta nell’ambito della medesima procedura espropriativa ed è affidata al giudice dell’esecuzione che la presiede; tale fase è destinata a concludersi – una volta compiute le necessarie verifiche ed espletati gli approfondimenti istruttori nel contraddittorio di tutte le parti coinvolte – non già con una sentenza, ma con un’ordinanza che, per espressa previsione normativa, esplica effetti ai soli fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sull’ordinanza di assegnazione ed è impugnabile con lo strumento dell’opposizione agli atti esecutivi.
Nella fattispecie esaminata nella pronuncia che si annota, il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo si era svolto secondo il regime anteriore alla riforma del 2012: il creditore procedente, dunque, avendo contestato la dichiarazione negativa comunicata dal terzo pignorato, lo aveva introdotto, ma nel corso di esso e mentre il processo esecutivo versava in stato di quiescenza (essendo stato sospeso per consentire lo svolgimento del giudizio ex art. 549 c.p.c.) era sopravvenuto il fallimento della società esecutata.
Una volta escluso che tale evento potesse condurre alla declaratoria di improseguibilità del processo esecutivo per effetto di quanto previsto dall’art. 51 l.fall. (atteso che il fallimento era intervenuto quando il giudice dell’esecuzione ne aveva già disposto la sospensione), l’attenzione dei giudici di legittimità si è appuntata sulle conseguenze che ne sono derivate sul pendente giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo.
Si è, così, escluso che il fallimento del debitore esecutato potesse comportarne l’improseguibilità ai sensi dell’art. 51 l.fall., giacché la norma si riferisce al processo esecutivo in forma individuale e non agli ordinari giudizi contenziosi (qual era quello previsto dall’art. 549 c.p.c. nella formulazione anteriore alla l. 228/2012); potrebbe, invece, configurarsi la cessazione della materia del contendere, per effetto del venire meno, in corso di causa, dell’interesse del creditore procedente (unica parte legittimata a chiedere l’instaurazione del giudizio di accertamento) a conseguire la pronuncia dell’esistenza del credito pignorato, non potendone più ottenere l’assegnazione in ragione dell’improseguibilità dell’esecuzione individuale ex art. 51 l.fall.
In realtà, va osservato che la dichiarazione di fallimento non determina, tout court, la caducazione del processo esecutivo promosso dal creditore del fallito, giacché, ai sensi dell’art. 107, comma 6, l.fall., la sua sorte è fondamentalmente rimessa al curatore, il quale può, alternativamente, subentrarvi, ovvero chiedere al giudice dell’esecuzione che ne dichiari l’improcedibilità; solo in tale secondo caso, dunque, vi potrebbe essere una reale e definitiva carenza di interesse alla conclusione del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo.
In effetti, la giurisprudenza più recente ha escluso non solo che il fallimento sopraggiunto nel corso dello svolgimento del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo comporti l’applicabilità a esso dell’art. 51 l.fall., ma pure che possa giustificarne l’improseguibilità, anche sotto il profilo della carenza di interesse a coltivarlo: infatti, da un lato, la sua prosecuzione – con il coinvolgimento del curatore – consente comunque, in caso di esito positivo, di acquisire alla massa fallimentare il credito accertato; dall’altro lato, è pur sempre ravvisabile un interesse del creditore procedente, vuoi nell’ottica del possibile incremento della massa fallimentare (e della maggiore possibilità, quindi, che il proprio credito possa trovarvi soddisfazione, una volta che sia stato insinuato al passivo), vuoi nella prospettiva di un’eventuale revoca del fallimento o di un ritorno in bonis del debitore, legittimanti l’avvio di una nuova esecuzione, che ben potrebbe, quindi, avere per oggetto il credito frattanto accertato (in questo senso, Cass. civ., sez. III, 19 aprile 2018, n. 9624).
La pronuncia da ultimo citata, peraltro, aveva espressamente affermato che il principio così enucleato doveva reputarsi valido sia con riguardo al giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo come disciplinato prima della riforma di cui alla l. 228/2012 (quando, cioè, aveva natura di ordinario giudizio di cognizione, autonomo rispetto al processo esecutivo cui pure, sotto certi aspetti, doveva reputarsi funzionalmente collegato), sia con riferimento al procedimento contemplato dal novellato art. 549 c.p.c.
Nell’ordinanza che si annota, invece, sia pure in via del tutto incidentale, viene sostenuto esattamente il contrario, ossia che l’indirizzo che considera proseguibile l’accertamento dell’obbligo del terzo in caso di sopravvenuto fallimento del debitore anche nella vigenza dell’attuale assetto dell’espropriazione forzata presso terzi (in cui tale fase cognitoria non si pone più al di fuori del processo esecutivo, ma è condotta al suo interno dallo stesso giudice dell’esecuzione) pare dover essere rimeditato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 172 del 10 luglio 2019, nella quale è stato espressamente affermato che l’ordinanza che contiene l’accertamento del credito pignorato produce effetti ai soli fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione e non dà, quindi, luogo alla formazione di un giudicato sull’an o sul quantum del debito del terzo nei confronti dell’esecutato, sicché resta in facoltà del terzo pignorato anche il successivo esercizio di un’azione per indebito oggettivo.
Tale considerazione, tuttavia, non appare pienamente convincente e desta qualche perplessità: in primo luogo, perché, come già osservato, la dichiarazione di fallimento non determina, di per sé sola, l’improcedibilità del processo esecutivo, essendo ciò la conseguenza di un’apposita istanza del curatore che non si sia avvalso della facoltà di subentrare nell’esecuzione pendente; in secondo luogo, perché, se è vero che l’ordinanza prevista dall’art. 549 c.p.c. non è idonea ad assumere l’efficacia di giudicato, nel caso in cui non venga impugnata, è altrettanto vero che, qualora venisse opposta ai sensi dell’art. 617 c.p.c., si instaurerebbe (nuovamente) un ordinario giudizio di cognizione destinato a esitare in una sentenza (a propria volta destinata a formare cosa giudicata) che conserverebbe una propria autonoma utilità, nei termini prospettati dalla citata pronuncia di Cass. civ., sez. III, 19 aprile 2018, n. 9624.
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