Fallimento della società “in mano pubblica”
di Giulio Marconcin, Avvocato Scarica in PDFCorte di Cassazione Sez. I., Ord., 30 giugno 2020, n. 13160 – Presidente Magda – Rel. Guido
Parole chiave: Fallimento – Enti pubblici – Società di capitali – Società “in house” – Fallibilità
Massima
E’ sempre assoggettabile a fallimento, ex art. 1, comma 1, l. fall., una società di capitali che sia partecipata in tutto o in parte da enti pubblici.
Disposizioni applicate
Art. 1 l. fall.; art. 2221 cod. civ.; art. 1, comma 3, D. Lgs. n. 175/2016 (T.U. in materia di società a partecipazione pubblica); art. 4 L. n. 70/1975
Con la pronuncia in commento, la Suprema Corte, Sezione Prima civile, affronta il tema della fallibilità delle società partecipate, in tutto o in parte, da enti pubblici.
Nello specifico, la Corte si sofferma sugli effetti che la partecipazione del socio pubblico nel capitale produce sulle sorti della compagine sociale e sull’applicabilità, a quest’ultima, della disciplina concorsuale.
CASO
Con sentenza del 20 aprile 2016, la Corte d’Appello de L’Aquila confermava integralmente la decisione con cui il Tribunale di Teramo aveva dichiarato, in data 10 settembre 2015, il fallimento della società (OMISSIS) S.p.A., rilevando, per quanto qui di interesse, come la società fallita, interamente partecipata da diversi comuni della provincia di Teramo, fosse assoggettabile a fallimento ai sensi dell’art. 1 l. fall.
SOLUZIONE
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso nella parte diretta a censurare il capo della decisone che aveva ritenuto la società (OMISSIS) soggetta a fallimento in quanto non avente natura di società “in house”.
La Corte ha sancito il principio secondo cui tutte le società di capitali partecipate, in tutto o in parte, da enti pubblici sono soggette al fallimento, evidenziando in particolare come sia del tutto irrilevante ogni indagine in ordine alla natura “in house” o meno della società che sia in mano pubblica, posto che l’art. 1, comma 1, l. fall. esclude dal proprio ambito di applicazione i soli enti pubblici.
QUESTIONI
La pronuncia in esame offre l’occasione di approfondire il tema dell’assoggettabilità a fallimento (e alle altre procedure concorsuali, quali il concordato preventivo e l’amministrazione straordinaria) delle società cc. dd. “in mano pubblica” e la conseguente distinzione tra le medesime e gli enti pubblici.
Nel motivare la pronuncia in commento, i giudici di legittimità hanno sostanzialmente richiamato la normativa rilevante, da cui si desume la volontà del legislatore di ritenere applicabile alle società a partecipazione pubblica la disciplina codicistica in materia di diritto societario e di diritto privato.
Nello specifico, il Testo Unico in tema di società a partecipazione pubblica di cui al D. Lgs. n. 175/2016, prevede espressamente all’art. 14 (poi modificato dal D. Lgs. n. 100/2017) che le “società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, nonché, ove ne ricorrano i presupposti, a quelle in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39”. Disposizione, quella ora citata, che recepisce quanto già indicato dall’art. 2221 cod. civ.
Non sembrano allora residuare dubbi circa l’applicabilità della disciplina concorsuale alle società partecipate da Pubbliche Amministrazioni, giacché “la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali – e dunque di perseguire l’interesse pubblico mediante lo strumento privatistico – comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con essi entrano in rapporto anche avuto riguardo al necessario rispetto delle regole della concorrenza, che impongono parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e modalità” (cfr. Cass., 2 luglio 2018, n. 17279, ne Il caso.it, 2019; Cass. 7 febbraio 2017, n. 3196, ne Il caso.it, 2018; Cass., 27 settembre 2013, n. 22209, in Giornale Dir. Amm., 2014, 1, 53).
Il recente intervento del legislatore ha pertanto risposto all’esigenza di riordino della disciplina del fenomeno dell’investimento pubblico, coordinando la normativa settoriale di riferimento con le norme codicistiche e ponendo fine all’intenso dibattito sviluppatosi in passato circa l’individuazione degli elementi necessari ai fini della qualificazione pubblica di un soggetto formalmente privato (sul punto, cfr. in particolare Cass., 6 dicembre 2012, n. 21991, in Foro It., 2014, 1, 114. In dottrina, si veda più diffusamente F. Bassi, Azionariato pubblico e procedure concorsuali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1969, 986 ss.; L. Salvato, I requisiti di ammissione delle società pubbliche alle procedure concorsuali, in Diritto fallimentare, 2010, I, 603 ss.; F. Fimmanò, La responsabilità da abuso del dominio dell’ente pubblico in caso di insolvenza della società controllata, in Diritto fallimentare, 2010, 724 s.; Id., Il difficile “incontro” tra diritto commerciale, diritto penale e diritto pubblico sul terreno dell’impresa in crisi, in F. Fimmanò, a cura di, Diritto delle Imprese in crisi e tutela cautelare, Milano, 2012, XII ss.; Id., Insolvenza dell’imprenditore “società pubblica”, gestione in house dei servizi e tutela dell’affidamento, in Diritto fallimentare, 2015, II, 258; S. Scarfoni, Il fallimento della società a partecipazione pubblica, in Diritto fallimentare, 2010, 438 ss.; L. E. Fiorani, Società pubbliche e fallimento, in Giur. comm., 2012, I, 532; G. D’Attorre, Il concordato preventivo delle società in mano pubblica, in Fallimento, 2013, 869; Id., La fallibilità delle società in mano pubblica, in Fallimento, 2014, 5, 493; F. Vessia, Società in house providing e procedure concorsuali, in Diritto fallimentare, 2015, 142).
Un caso di particolare interesse è quello che ha visto come protagoniste le cc. dd. società “in house”. In passato non sono mancate pronunce, soprattutto di merito, volte ad escludere siffatte forme societarie dal fallimento.
In merito, è stato infatti osservato come alle società in house providing andasse estesa l’esenzione dal fallimento prevista dall’art. 1 l. fall., trattandosi di mere articolazioni degli enti pubblici e “non essendo configurabile un rapporto di alterità tra l’ente pubblico partecipante e la società stessa – e neppure una separazione patrimoniale tra il patrimonio dell’ente pubblico e quello della società” (Trib. Verona, 19 dicembre 2013, in Fallimento, 2014, 342; in termini anche Trib. Palermo, 8 gennaio 2013, in Diritto dei Servizi Pubblici.it, 2013).
Parimenti è stato affermato che la partecipazione degli enti pubblici in siffatte strutture societarie si concretizzerebbe in un mero patrimonio separato e non già in un distinto soggetto giuridico, quale centro decisionale autonomo e distinto dal socio pubblico titolare della partecipazione medesima (cfr. Trib. Napoli, 9 gennaio 2014, ne Il caso.it, 2014, I, 10015).
In senso contrario si registra, da ultimo, un recente arresto della Suprema Corte che, con una motivazione sostanzialmente analoga alla pronuncia qui in commento, ha osservato come le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in house, siano “assoggettabili a fallimento, atteso che, da un lato, l’art. 1 della legge fallimentare esclude dall’area della concorsualità solo gli Enti pubblici e che, dall’altro lato, la particolare relazione interorganica che lega l’organismo societario all’Amministrazione Pubblica (c.d. controllo analogo) è finalizzata unicamente a consentire all’azionista pubblico di svolgere un’influenza dominante sulla società, se del caso attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento, senza tuttavia incidere sull’alterità soggettiva dell’ente societario rispetto all’ente pubblico controllante, restando il primo pur sempre un centro di imputazione di rapporti e posizioni soggettive autonomo rispetto al secondo” (cfr. Cass. 22 febbraio 2019, n. 5346, ne Il caso.it, 2019. Nello stesso senso, anche, Cass. 10 gennaio 1979, n. 58; Cass. 6 dicembre 2012, n. 21991, cit.; Cass. 13 maggio 2013, n. 11417, in Fisco on line, 2013; Cass. 27 settembre 2013, n. 22209, cit. Nel merito, cfr. Trib. Palermo, 20 ottobre 2014; App. Napoli, 27 ottobre 2015; Trib. Palermo, 18 agosto 2015; App. L’Aquila 3 novembre 2016, n. 26, in Fallimento, 2014, 2, 165).
In conclusione, dunque, ciò che rileva ai fini dell’assoggettabilità a fallimento delle società in mano pubblica è il ricorso allo strumento privatistico e la conseguente assunzione del rischio imprenditoriale connesso alla loro insolvenza o comunque al loro stato di tensione economico-finanziaria.