4 Marzo 2025

Esercizio parziale del diritto di opzione e tutela cautelare

di Virginie Lopes, Avvocato Scarica in PDF

Tribunale Brescia, Sez. spec. in materia di imprese, Ordinanza, 10 febbraio 2025

Parole chiave: Società – Socio in genere – Delibera assembleare – Aumento di capitale – Esercizio parziale del diritto di opzione – Illegittimità del rifiuto da parte della società

Massima: “Nell’ambito delle delibere di aumento di capitale sociale ex artt. 2447 e 2482-ter c.c., il socio ha la facoltà di esercitare parzialmente il proprio diritto di opzione. La determinazione della società che non riconosce come valido tale esercizio, a meno che non sia espressamente vietato da norme di legge, statuto o delibera assembleare, è illegittima. La sottoscrizione parziale dell’aumento di capitale rispetta il principio di autonomia contrattuale e deve essere consentita se prevista dalle delibere sociali e compatibile con le norme statutarie e di legge.

Disposizioni applicate: artt. 2447 e 2482-ter c.c.

Nel caso di specie, il socio di minoranza della società a responsabilità limitata Alfa ha promosso un ricorso cautelare ex art. 700 c.p.c. o, in subordine, ex art 670, comma 1 c.p.c. nei confronti della società Beta e del socio di maggioranza per contestare la negazione del valido esercizio del diritto di opzione derivante da una delibera di azzeramento del capitale per perdite e contestuale ricostituzione (delibera anche essa impugnata dal socio di minoranza in un giudizio di merito pendente dinanzi al medesimo tribunale), con conseguente mancato riconoscimento della qualità di socio, stante il fatto che la negazione del suddetto diritto ha portato all’illegittima intestazione della quota di spettanza del socio di minoranza alla società Beta che detiene fiduciariamente la maggioranza del capitale per conto degli altri soci e che, per effetto di quanto sopra, detiene ancora illegittimamente l’intero capitale sociale di Alfa.

Per quanto riguarda l’art. 700 c.p.c., il socio di minoranza ha fatto valere che il fumus boni iuris e il periculum in mora fossero costituiti dal fatto che la situazione di apparente non pluralità di soci avrebbe rischiato, da una parte, di causare la definitiva perdita da parte sua della titolarità della quota sottoscritta che avrebbe potuto essere ceduta a terzi in buona fede e, dall’altra, ledere in maniera altrettanto irreparabile l’esercizio del diritto di prelazione che gli spettava in ragione dello statuto sociale.

Il ricorrente ha pertanto richiesto la concessione di un provvedimento ex art. 700 c.p.c. volto ad anticipare gli effetti della sentenza da pronunciarsi all’esito del giudizio di merito.

In subordine, il socio di minoranza ha, come detto, chiesto al tribunale di disporre ex art. 670 n. 1 c.p.c. il sequestro giudiziario della quota di Alfa che sarebbe stata di sua titolarità, nominandolo custode.

Solo la società fiduciaria Beta si è costituita in giudizio, eccependo innanzitutto la carenza di legittimazione attiva del socio minoritario, con conseguente improcedibilità e/o inammissibilità delle sue domande, quanto precede in ragione del fatto che il ricorrente non sarebbe più socio della resistente e chiedendo, in via subordinata, il rigetto del ricorso, di cui ha dedotto la inammissibilità e/o infondatezza per assenza dei presupposti legittimanti la tutela richiesta.

Il Tribunale ha respinto l’eccezione di carenza di legittimazione attiva sollevata da Beta, rifacendosi alla sentenza n. 26773/2019 della Corte di Cassazione e precisando che la perdita della qualità di socio invocata da Beta derivasse mediatamente dalla deliberazione di azzeramento e ricostituzione del capitale sociale (impugnata dal socio di minoranza con un altro giudizio di merito, in quanto ritenuta illegittima). Peraltro, il Tribunale ha rilevato come il socio di minoranza avesse, dopo la suddetta delibera, tentato di esercitare parzialmente il proprio diritto di prelazione, sottoscrivendo una minor quota del capitale sociale, ma come tale diritto gli fosse stato negato da Alfa, ingenerando il procedimento cautelare di cui all’ordinanza in esame.

Inoltre, il Tribunale ha ulteriormente chiarito che il rilievo della resistente secondo cui l’azione di annullamento di una delibera societaria richiede, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di socio dell’attore al momento della proposizione della domanda, ma altresì al momento della decisione della controversia, era stato impropriamente invocato, giacché fa eccezione al suddetto requisito il caso – di cui alla fattispecie in esame – in cui il venir meno della qualità di socio consegue alla deliberazione di cui l’attore contesta la legittimità (Cass. n. 26842/2008, Cass. n. 21889/2013).

Sul punto, il Tribunale ha poi concluso che, potendo l’annullamento della deliberazione condurre al ripristino della qualità di socio del ricorrente (ed è con questa finalità che il ricorrente l’ha impugnata), sarebbe stato contra legem ritenere il suo difetto di legittimazione, posto che l’azione del ricorrente ha proprio per finalità di vedere eliminati gli effetti della deliberazione.

Per quanto al requisito del fumus, il Tribunale ha evidenziato come non sussistesse alcuna norma di legge o di statuto, e nemmeno la delibera di aumento, che impedisse al socio di minoranza di sottoscrivere solo parzialmente l’aumento di capitale e ha pertanto considerato il diniego di esercizio del diritto di opzione illegittimo.

Anzi, il Tribunale ha rammentato come la facoltà di esercizio parziale del suddetto diritto, già riconosciuto in giurisprudenza e dottrina, fosse conforme alla disciplina dell’aumento di capitale a pagamento nella s.r.l. di cui all’art. 2481-bis c.c..

Il periculum è stato invece rinvenuto nella possibilità che la quota potesse essere, nelle more del giudizio di merito, alienata a terzi dall’attuale formale titolare (nonché socio unico).

Alla luce di tutto ciò, il Tribunale ha autorizzato il sequestro giudiziario della quota contesa.

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