Esercizio dell’azione disciplinare
di Evangelista Basile Scarica in PDFCorte di Cassazione, Sezione Lavoro, 4 ottobre 2017, n. 23177
Condanna penale del lavoratore – Estinzione e risoluzione del rapporto – Licenziamento – Potere disciplinare – Tempestività
MASSIMA
La contestazione disciplinare deve essere caratterizzata da immediatezza anche nel caso di una condanna penale a carico del lavoratore. L’azione disciplinare esercitata un anno dopo il passaggio in giudicato della condanna penale non può essere riconosciuta come tempestiva e rende illegittimo il conseguente licenziamento. Anche se il criterio d’immediatezza va inteso in senso relativo, spetta al datore di lavoro di provare la tempestività dell’eventuale provvedimento disciplinare ove sussista un rilevante intervallo temporale tra i fatti contestati e l’esercizio del potere disciplinare.
COMMENTO
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello, la quale aveva riformato la sentenza del primo grado e dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato alla dipendente a seguito di contestazione disciplinare. La Corte d’Appello aveva rilevato come nel caso di specie mancasse il requisito dell’immediatezza dell’anzidetta contestazione, a differenza di quanto statuito dal giudice di primo grado, secondo il quale, invece, la società sarebbe effettivamente venuta a conoscenza del passaggio in giudicato della condanna penale del dipendente solo l’anno seguente, quando le sarebbe stata consegnata, a mezzo pec, la copia del provvedimento divenuto irrevocabile. Secondo la Corte d’Appello, però, non poteva escludersi la possibilità che la conoscenza del documento da parte dell’azienda potesse risalire a un momento anteriore. La Corte territoriale ha sottolineato, infatti, come la Società avesse acquisito copia della sentenza già il mese dopo la condanna del lavoratore e che tale acquisizione, seppur priva del carattere d’irrevocabilità, era idonea a rendere edotta la società della responsabilità penale del dipendente. Dunque, contrariamente a quanto statuito dalla sentenza di primo grado, non sarebbe stata provata la tempestività della contestazione disciplinare da parte del datore di lavoro, non essendo stato possibile acquisire certezza circa il momento in cui la sentenza fosse veramente entrata nella disponibilità della società. La Cassazione ha di conseguenza affermato che la società datrice di lavoro, su cui gravava l’onere della prova, non era riuscita a provare la tempestività della contestazione disciplinare, considerando anche che nelle more del procedimento penale non vi era stata adozione di alcun provvedimento cautelativo nei confronti della lavoratrice, la quale conseguentemente aveva sviluppato un certo grado di affidamento circa l’irrilevanza disciplinare dei fatti per i quali era stata condannata in sede penale. La Cassazione ha dunque respinto il ricorso della datrice di lavoro e dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato alla dipendente per difetto di tempestività della contestazione disciplinare.
Articolo tratto dalla Rivista Euroconference “IL GIURISTA DEL LAVORO”