Esecuzione illegittima: la Suprema corte puntualizza che il risarcimento del danno è devoluto al giudice del giudizio di merito nel quale il titolo esecutivo si è formato oppure al giudice dell’opposizione all’esecuzione
di Olga Desiato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, ord. 21 settembre 2017, n. 21944 -Pres. Spirito; Rel. Spaziani
Esecuzione forzata – Spese giudiziali in materia civile – Responsabilità aggravata e lite temeraria – Domanda ex art. 96, secondo comma, c.p.c. – Proposizione della domanda risarcitoria in giudizio separato e autonomo – Inammissibilità (cod. proc. civ., art. 96)
[1] La condanna al risarcimento del danno procurato dalla parte che ha iniziato o compiuto l’esecuzione forzata agendo senza la normale prudenza, può essere chiesta soltanto al giudice che accerta l’inesistenza del diritto di procedere in executivis (e quindi unicamente nel giudizio di merito nel quale il titolo esecutivo si è formato oppure nel giudizio di opposizione all’esecuzione).
CASO
[1] Dopo l’inizio di una procedura esecutiva immobiliare, il creditore pignorante e il debitore esecutato avevano stipulato un accordo per il ripianamento del debito. Nonostante l’avvenuto pagamento dell’importo pattuito nell’accordo, la procedura esecutiva era giunta, su impulso del creditore procedente, alla vendita e all’assegnazione dell’immobile.
In accoglimento dell’opposizione all’esecuzione spiegata dal debitore esecutato il tribunale aveva dichiarato l’inesistenza del diritto della creditrice di procedere ad esecuzione forzata nonché la nullità dell’aggiudicazione.
Con separata azione l’esecutato aveva poi promosso azione di risarcimento danni derivanti dall’illegittima prosecuzione della procedura esecutiva, ma il giudice adito aveva dichiarato improponibile la domanda. Tanto in considerazione del fatto che la condanna al risarcimento del danno del creditore procedente che avesse iniziato o compiuto l’esecuzione forzata agendo senza la normale prudenza poteva essere chiesta soltanto al giudice che avesse accertato l’inesistenza del diritto di procedere in executivis.
Dopo la conferma in appello della sentenza di prime cure, l’originario debitore sollecitava l’intervento della Suprema corte.
SOLUZIONE
[1] La III sezione civile della Corte di cassazione, investita della questione, rigetta il ricorso, dichiara infondate le censure mosse e, nel ratificare il decisum della corte territoriale, afferma che la decisione in ordine alla responsabilità processuale aggravata ex art. 96, secondo comma, c.p.c., è devoluta in via esclusiva, sia per l’an che per il quantum, al giudice cui spetta di conoscere il merito della causa, il quale, nell’ipotesi di inizio o compimento dell’esecuzione forzata in mancanza di titolo esecutivo, è colui che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stata iniziata o compiuta l’esecuzione medesima (id est il giudice del giudizio di merito nel quale il titolo esecutivo si è formato oppure il giudice dell’opposizione all’esecuzione).
QUESTIONI
[1] La pronuncia si uniforma all’orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità che esclude la possibilità di proporre l’istanza di risarcimento del danno da responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c. in un giudizio diverso da quello in cui detta responsabilità sia insorta argomentando: a) dallo stretto collegamento esistente tra la valutazione del presupposto della responsabilità processuale e la decisione di merito, b) dalla conseguente duplice esigenza di riservare il giudizio sul carattere colposo della condotta processuale della parte al medesimo giudice che decide sul merito della domanda e c) dalla necessità di scongiurare un contrasto pratico di giudicati.
Negano che l’istanza possa essere considerata espressione di una potestas agendi esercitabile al di fuori del processo in cui la condotta generatrice della responsabilità aggravata si è manifestata e, quindi, in via autonoma, consequenziale e successiva, davanti ad altro giudice, Cass. 2 febbraio 2017, n. 2727, ined.; 5 aprile 2016, n. 6533, Corriere giur., 2017, 479 ss., con nota di M. Bellante, Responsabilità del creditore per eccesso di iscrizione ipotecaria sui beni del debitore; 14 luglio 2015, n. 14653; 23 gennaio 2013, n. 1590 (che peraltro esclude la proponibilità della responsabilità in parola in sede di opposizione agli atti esecutivi); 6 agosto 2010, n. 18344, Foro it., 2011, 2139; 6 maggio 2010, n. 10960; 20 novembre 2009, n. 24538; 4 giugno 2007, n. 1295. V., infine, Cass. 18 aprile 2007, n. 9297, la quale puntualizza che l’art. 96 c.p.c. riconosce il potere di formulare un’istanza e non quello di avanzare un’azione, disciplinando così un fenomeno che si colloca all’interno di un processo già pendente: «ove venisse esercitata un’azione specifica in tal senso, non ricorrerebbe una situazione di esercizio di un’azione davanti ad un giudice diverso da quello che sarebbe stato competente, bensì l’esercizio di un’azione per un diritto non previsto dall’ordinamento».
Nel senso che l’art. 96, comma secondo, c.p.c. non detta una regola sulla competenza (non indica cioè davanti a quale giudice va esercitata l’azione risarcitoria) ma disciplina un fenomeno endoprocessuale che implica la proponibilità della domanda solo nello stesso giudizio dal cui esito si deduce l’insorgenza della detta responsabilità e ciò non solo perché nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume, per l’appunto, temeraria, ma anche e soprattutto perché la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati, v. Cass. 4 febbraio 2015, n. 1952.
Qualora, però, il giudice, funzionalmente competente sulla relativa domanda, abbia erroneamente deciso solo sull’an, rimettendo la questione del quantum a separato giudizio, il giudice successivamente adito per la liquidazione del danno rimane vincolato dal giudicato formatosi su tale pronuncia e non può, pertanto, dichiarare improponibile la domanda di risarcimento. In tal senso Cass. 8 maggio 2015, n. 9309, Foro Pad., 2015, I, 259, con nota di T. Galletto, Una vicenda anomala in tema di danno da illecito processuale.
Sulla proponibilità della domanda risarcitoria ex art. 96 c.p.c. in un autonomo giudizio allorché l’esecutato non abbia potuto proporla nel corso del procedimento in cui è stato commesso il fatto illecito, v. trib. Verona 23 gennaio 2015, in Corriere giur., 2016, 266 con nota di S. Corongiu e G.C. Salvatori, Giudizio autonomo per l’azione di risarcimento danni da imprudente esecuzione e trib. Verona, 14 novembre 2014, in www.ilcaso.it.
Analoga apertura si riviene in Cass. 18 aprile 2007, n. 9297e in Cass. 18 febbraio 2000, n. 1861, là dove si puntualizza che «il giudizio autonomo resta l’unica strada percorribile quando la via maestra del simultaneus processus sia preclusa da ragioni attinenti alla stessa struttura del processo e non dipendenti dalla inerzia della parte» (e ciò allorché l’illecito processuale sia avvenuto all’interno di un procedimento diverso da quello ordinario, come a titolo esemplificativo nel processo cautelare, esecutivo, sommario, di giurisdizione volontaria; o, ancora, nelle circoscritte ipotesi in cui il soggetto danneggiato si renda conto della mala fede o della colpa grave o di altra illiceità procedurale posta in essere da controparte solamente in fase di impugnazione o dopo il trattenimento della controversia in decisione). A sostegno di tale linea interpretativa v. Bongiorno, Responsabilità aggravata, in Enc. giur., XXVI, Roma, 1991, 5 ss. e Scarselli, Le spese giudiziali civili, Milano, 1998, 392 ss.
In dottrina, sul rapporto di accessorietà tra l’azione di risarcimento e la domanda intesa ad accertare l’illegittimità dell’esecuzione intrapresa, v. U. Carnevali, G. Bonilini e M. Confortini, Codice della responsabilità civile e rc auto, Milano, 2015, 1088 ss.; M.A. Mazzola, Responsabilità processuale, Milano, 2013, 207 ss.; L.P. Comoglio, Responsabilità aggravata, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di L.P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R.Vaccarella, Milano, 1012, 1270 ss.; M.F. Ghirga, Abuso del processo e sanzioni, Milano, 2012, 83; G. Arieta, F. De Santis, Trattato di diritto processuale civile, L’esecuzione forzata, III, Tomo I, Padova, 2007, 569 ss. Nella letteratura più risalente v. E. Grasso, Note sui danni da illecito processuale, in Riv. dir. proc., 1959, 270 ss e C. Calvosa, La condanna al risarcimento danni per responsabilità aggravata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1954, 407.
Le specifiche ipotesi di responsabilità aggravata contemplate dal comma secondo dell’art. 96 c.p.c. si basano sul presupposto di ordine oggettivo rappresentato dell’inesistenza del diritto. Sebbene la Suprema corte tenda talora ad estendere le maglie applicative della disposizione assoggettandovi anche le ipotesi di notevole sproporzione tra quantum accertato ed importo a tutela del quale sono state effettuate le attività (v. Cass. 5 ottobre 2009, n. 21263, ined.; 2 febbraio 1994, n. 1037, nonché, in relazione all’ipotesi in cui il creditore abbia iscritto ipoteca giudiziale su beni di valore esorbitante rispetto al credito vantato, Cass. 5 aprile 2016, n. 6533, Corriere giur., 2017, 479 ss., con nota di M. Bellante, Responsabilità del creditore, per eccesso di iscrizione ipotecaria sui beni del debitore), resta prevalente l’orientamento secondo cui ogni ipotesi di responsabilità aggravata che esuli dalle prescrizioni del secondo comma, ancorché concernente il processo esecutivo o cautelare, è riconducibile alla fattispecie disciplinata dal primo comma dell’art. 96 c.p.c., sempre che ne ricorrano i presupposti (e quindi sempre che l’eccesso nell’impiego del mezzo esecutivo sia connotato da dolo o colpa grave). Così Cass. 7 maggio 2007, n. 10299; 3 settembre 2007, n. 18533, in Giust. civ., 2007, 2402 ss.
Sugli ultimi orientamenti in tema di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. anche con riferimento ai doveri ascrivibili al difensore di dignità, lealtà e probità espressi e codificati dal Codice deontologico forense, v. F. Patini, La giurisprudenza sull’abuso del processo, sanzioni e destinatari, in Corriere giur., 2017, 989 ss. V. anche P. Perlingeri, Abuso dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale. La responsabilità processuale dell’avvocato, ibid., 2011, 1301 ss.
Conferma l’opzione interpretativa prescelta nell’odierna pronuncia l’orientamento espresso dai giudici di legittimità in relazione alla trascrizione della domanda giudiziale. Muovendo dalla distinzione tra istanza risarcitoria per trascrizione ingiusta relativa ad una domanda poi risultata infondata (che va presentata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., allo stesso giudice della causa oggetto di trascrizione) e trascrizione illegittima (di domanda, cioè, non trascrivibile perché non ricompresa in nessuno dei casi previsti dagli art. 2652 e 2653 c.c.), le sezioni unite, sopendo antichi contrasti, hanno infatti riconosciuto la possibilità di promuovere la domanda di risarcimento danni per trascrizione illegittima anche in un diverso processo – e non soltanto nel corso del giudizio relativo alla pronuncia di merito – ai sensi dell’art. 2043 c.c.: ciò in ragione della diversità dell’oggetto dell’accertamento rispetto al giudizio su cui è intervenuta la trascrizione. Cosi Cass. 23 marzo 2011, n. 6597, Giur. it., 2012, 810 ss., con nota di S. Griseri, Della prelazione legale e volontaria: struttura del rapporto e opponibilità del diritto «a essere preferiti», poi confermata da Cass. 31 luglio 2015, n. 16272.
Per tale lettura, la quale consente al danneggiato di ottenere il risarcimento anche nelle ipotesi di colpa lieve, che rimarrebbero altrimenti escluse ove la domanda risarcitoria fosse proponibile solo in base all’art. 96, secondo comma, c.p.c., v. le considerazioni di M.C. Vanz, Illegittima trascrizione della domanda giudiziale e risarcimento del danno, in Riv. dir. proc., 2012, 199 ss. e G. Belli, Il danno da trascrizione illegittima: art. 96 c.p.c. o art. 2043 c.c.?, in Contratto e impr., 2013, 20 ss.