È escluso il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. avverso il decreto di trasferimento se, potendolo fare, non si è impugnato il provvedimento di proroga del saldo prezzo
di Giovanni Piazza Scarica in PDFCass., sez. Terza Civile, dep. 10/12/2019, n. 32136-2019, Pres. De Stefano – Est. Rossetti
CASO
[1] Prima della scadenza del termine per il pagamento del prezzo, gli aggiudicatari depositavano al Giudice dell’esecuzione una istanza di proroga del termine per il pagamento del prezzo, sulla quale il Giudice si esprimeva per l’accoglimento, valutando la non imputabilità ai medesimi del ritardo.
Preso atto della proroga, l’esecutato depositava il mese successivo istanza di revoca del predetto provvedimento, istanza rigettata dal Giudice dell’esecuzione.
Infine, successivamente al saldo del prezzo da parte degli aggiudicatari, veniva emesso il decreto di trasferimento.
Tale decreto veniva quindi impugnato dall’esecutato a norma dell’art. 617 c.p.c. con richiesta di declaratoria di nullità del medesimo, motivata dal fatto che il termine di pagamento del prezzo non poteva essere oggetto di proroga e che, al contrario, il Giudice avrebbe dovuto rilevare la decadenza degli aggiudicatari.
In prima istanza, il Tribunale ha rigettato l’opposizione considerando legittimo il provvedimento del Giudice dell’esecuzione di autorizzazione al pagamento oltre il termine stabilito, in applicazione dell’art. 153 c.p.c..
Avverso tale sentenza l’esecutato ha proposto ricorso per cassazione deducendo, tra gli altri, l’errore in cui il Tribunale sarebbe incorso qualificando quale rimessione in termini il provvedimento con il quale il G.E. aveva autorizzato gli aggiudicatari a pagare il prezzo oltre il termine stabilito.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte supera i motivi di ricorso cassando senza rinvio la sentenza impugnata a norma dell’art. 382 comma terzo c.p.c., essendosi il Tribunale pronunciato su una domanda che, in realtà, non poteva essere proposta.
QUESTIONI
[1] La questione centrale affrontata nel provvedimento in epigrafe riguarda le condizioni di esperibilità del rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi a norma dell’art. 617 c.p.c..
In particolare, la sentenza delinea la regola che riassume i principi regolatori del rimedio in parola nel senso che “dato un atto esecutivo nullo, chi intenda dolersene ha da impugnarlo a pena di decadenza nel termine previsto dall’art. 617 c.p.c., ed ove ciò non faccia, sarà vana l’impugnazione di eventuali atti susseguenti, che dal primo abbiano mutuato la nullità”. La sentenza evidenza come tale regola conosca deroga solo nell’ipotesi di ignoranza incolpevole da parte dell’istante dell’esistenza dell’atto presupposto nullo, e in tale unica ipotesi gli sarà consentito impugnare “beninteso tempestivamente” il primo atto susseguente del quale abbia avuto notizia.
Nel caso in esame, l’esecutato a una data udienza aveva preso certa contezza del provvedimento di proroga del termine di pagamento del prezzo e, solo a distanza di un mese, si era rivolto al medesimo Giudice dell’esecuzione chiedendone la revoca, ottenendo però il rigetto dell’istanza formulata. In seguito l’esecutato ha atteso l’emissione del decreto di trasferimento e lo ha impugnato.
Al fine di valutare se il comportamento dell’esecutato abbia determinato o meno una preclusione insanabile, occorre soffermarsi sulla natura sia del provvedimento di rimessione in termini sia del provvedimento di rigetto dell’istanza di revoca del medesimo provvedimento autorizzativo del saldo oltre il termine stabilito.
La Suprema Corte individua e qualifica entrambi quali atti esecutivi poiché entrambi hanno inciso sul corso della procedura rendendo stabile ed utile l’aggiudicazione.
Su tale argomento, quindi, la sentenza conclude sulla necessarietà del rimedio dell’opposizione tempestiva avverso quei provvedimenti, in mancanza della quale il conseguente decreto di trasferimento deve considerarsi emesso su presupposti stabili di legittima rimessione in termini ed infondatezza della richiesta di revoca del provvedimento di proroga.
In conseguenza, l’esecutato non avendo fatto valere l’eventuale illegittimità dell’atto presupposto, non può più invocare l’illegittimità del decreto di trasferimento susseguente.
Con tale decisione, la Suprema Corte supera l’orientamento espresso con la Sentenza n. 7446 del 27/3/2007, secondo la quale “solo con la pronuncia del decreto di trasferimento si determina una situazione di contrasto con la norma dettata dall’art. 587 c.p.c., e sorge un onere di opposizione”.
Tra i sei motivi a supporto si evidenzia per la portata chiarificatrice l’ultimo, secondo il quale “se il Giudice dell’esecuzione accordi una proroga illegittima (od una illegittima rimessione in termini) all’aggiudicatario per il pagamento del saldo prezzo, questo atto potrebbe essere immediatamente lesivo sia dell’interesse del debitore, sia dell’interesse degli altri creditori, che vedrebbero prolungare i tempi del processo, e sarebbero costretti ad attendere l’adozione del decreto di trasferimento, per far valere solo contro questo le proprie doglianze. Ma ovviamente non è concepibile che un atto immediatamente lesivo degli interessi delle parti non possa essere immediatamente impugnato, ché altrimenti ne resterebbe vulnerato il diritto di difesa ed il principio di parità delle parti”.
Infine, la sentenza in esame, provvedendo alla correzione nell’interesse della Legge della sentenza impugnata (come sopra detto cassata senza rinvio) nella parte in cui afferma che “tutti i termini perentori possono essere dal Giudice prorogati” fa nuova chiarezza sugli istituti della rimessione in termini, rimedio applicabile solo ai termini perentori e connotato dal presupposto della “decadenza incolpevole” della parte da un adempimento processuale, e della proroga che invece è rimedio applicabile ai soli termini ordinatori prima della loro scadenza, con il quale viene eccezionalmente disposto un differimento della scadenza per il compimento dell’atto processuale.
In relazione al termine per il versamento del saldo prezzo dell’aggiudicatario, la sentenza in esame conferma quindi il principio affermato dalla Suprema Corte con sentenza n. 11171/2015 in ordine alla sua improrogabilità, salva la sola applicabilità dell’istituto della rimessione in termini.
Conseguentemente, la sentenza in esame costituisce un preziosa bussola per il professionista delegato, chiamato spesso a dover rispondere a pressanti richieste degli aggiudicatari in ordine al termine di versamento prezzo e alla sua eventuale proroga, spesso motivata dalle più disparate ragioni.