È da escludersi l’applicabilità dell’art. 1526 c.c. ai contratti di locazione finanziaria risolti in data anteriore alla dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore
di Andrea Cassini, Avvocato Scarica in PDFParole chiave: Fallimento – Locazione finanziaria – Leasing traslativo – Effetti della risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore – Vendita con riserva di proprietà – Esclusione.
Massima: “La disciplina prevista dall’art. 72 quater legge fall, che, seppur dettata in relazione alle ipotesi in cui lo scioglimento del contratto di leasing deriva da una scelta del curatore e non dall’inadempimento dell’utilizzatore, è del tutto coerente con la fisionomia unitaria del leasing finanziario di ci alla legge 124/2017 art. 1 commi 136-140, dovendo ritenersi definitivamente superata la distinzione, di matrice giurisprudenziale, tra leasing c.d. “di godimento” e “leasing traslativo” ed il ricorso in via analogica, per tale seconda figura, alla disciplina dettata dall’art. 1526 cod. civ. Gli effetti della risoluzione del contratto di leasing, verificatesi prima della dichiarazione di fallimento, dovranno dunque essere regolati sulla base di quanto previsto dall’art. 72 quater legge fall, che ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti”.
Disposizioni applicate: art. 1, commi 136-140, L. 124/2017, art. 72 quater l.f., art. 1526 c.c..
Con la sentenza in commento la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione si è pronunciata – indirettamente – sull’estendibilità della disciplina prevista dall’art. 72 quater l.f. alle ipotesi di risoluzione del contratto di leasing, per inadempimento dell’utilizzatore, avvenute anteriormente alla dichiarazione di fallimento di quest’ultimo e ciò in luogo dell’art. 1526 c.c..
Caso
La fattispecie trattata prende le mosse da un ricorso ex art. 98 l.f. presentato da un istituto di credito avverso il provvedimento del giudice delegato con cui è stata rigettata l’istanza di rivendica relativa ad un complesso immobiliare oggetto di locazione finanziaria.
Dopo aver qualificato la domanda come di restituzione e non di rivendica in ragione del contratto di leasing risoltosi prima del fallimento dell’utilizzatore, il Tribunale ha accolto il ricorso della banca, riconoscendole così il diritto alla riconsegna dei beni.
Nello specifico, il Giudice dell’opposizione ha precisato che “la disposizione dell’art. 1526 c.c., … applicabile al c.d. leasing traslativo, … non condiziona la restituzione del bene al rimborso delle rate riscosse, dovendo escludersi la configurabilità di uno ius retentionis in favore della curatela fallimentare, non previsto dalla legge”.
La curatela ha allora proposto ricorso per cassazione, affidandosi a tre diversi motivi, solo il primo dei quali è d’interesse ai fini della presente trattazione. L’oggetto della censura concerne, in particolare, la circostanza per cui non si è “subordinato la restituzione dell’immobile … alla preventiva restituzione dei canoni incamerati dal concedente”. Ad avviso della ricorrente la decisione, infatti, risulterebbe errata poiché l’art. 1526 c.c. riconoscerebbe in favore dell’utilizzatore – e, quindi, della curatela – un diritto di ritenzione sino al rimborso di tutte le rate riscosse (dalla concedente).
Il fallimento prosegue, poi, nel sostenere che in virtù della citata disposizione codicistica non sarebbero comunque applicabili le clausole contrattuali disciplinanti la risoluzione anticipata del rapporto e la ritenzione di quanto incamerato definitivamente dall’istituto.
Soluzione
Nel rigettare il ricorso, la Corte di Cassazione ha ritenuto di correggere la motivazione del provvedimento, seppur conforme a diritto, sul presupposto che gli effetti della risoluzione del contratto di leasing per inadempimento dell’utilizzatore sono regolati dall’art. 72 quater l.f. e non dalla norma prevista per la vendita con patto di riservato dominio.
Nonostante la disposizione speciale richiamata disciplini le ipotesi di scioglimento dei contratti di locazione finanziaria, in ragione di quanto sancito dalla nuova Legge n. 124/2017 a parere del Collegio deve ritenersi superata la differenziazione tra leasing traslativo e di godimento, con conseguente applicabilità dell’art. 72 quater l.f. anche alle fattispecie di risoluzione del contratto anteriori alla dichiarazione di fallimento.
Per la Corte tale norma “ha carattere inderogabile e prevale su eventuali difformi pattuizioni delle parti”.
Con riferimento, poi, all’obbligo di restituzione dei beni, la Prima Sezione ribadisce l’insussistenza del presunto ius retentionis a favore della curatela in ragione della risoluzione del contratto che non avrebbe prodotto alcun “effetto traslativo” in capo all’utilizzatore e dunque il debitore non potrebbe vantare alcun diritto su tali beni.
Alla luce dei principi sopra riportati e del conseguente rigetto della predetta censura, il Supremo Collegio ha ritenuto assorbito “l’ulteriore profilo concernente l’autonoma ratio decidendi della pronuncia impugnata, avente ad oggetto la validità ed efficacia della clausola contrattuale”. Gli ulteriori motivi relativi alla “violazione dell’art. 2697 c.c.” e “degli artt. 93 comma 3 e 98 legge fall. nonché degli artt. 91 e 92 c.p.c.” sono stati dichiarati l’uno inammissibile e l’altro infondato.
A pochi mesi quindi dall’innovativa sentenza della Cassazione n. 8980/2019 del 23 marzo 2019 (Pres. A. Didone – Rel. G. Federico), la Corte conferma quell’orientamento che ritiene applicabile l’art. 72 quater l.f., previsto per le ipotesi di scioglimento dei contratti di locazione finanziaria, anche ai casi di risoluzione, ponendosi così in contrasto con l’indirizzo giurisprudenziale che sostiene, al contrario, l’inderogabilità dell’art. 1526 c.c e la necessità di un’esegesi restrittiva della predetta norma fallimentare.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia