Errore di fatto ex art. 395, n. 4), c.p.c.
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. II, 28 novembre 2024, n. 30626, Pres. Mocci, Est. Oliva
[1] Impugnazioni – Revocazione – Errore di fatto.
L’errore revocatorio si verifica solo nell’ipotesi di falsa percezione della realtà che porta ad affermare o supporre l’esistenza o inesistenza di un fatto decisivo che è invece escluso o accertato in modo indiscutibile dagli atti e documenti di causa. Tale errore è limitato alla sfera percettiva e non coinvolge l’attività valutativa del giudice relativa a situazioni processuali oggettive ed esattamente percepite. Inoltre, non è configurabile l’errore revocatorio per pretesi vizi della sentenza che riguardino direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico.
CASO
[1] Il provvedimento della Suprema Corte origina dall’impugnazione per revocazione proposta nei confronti di una sentenza di secondo grado ai sensi dell’art. 395, n. 4), c.p.c.
Nel dettaglio, secondo la parte impugnante per revocazione la pronuncia di seconde cure avrebbe erroneamente ritenuto che la domanda di condanna formulata dall’attore fosse stata rivolta esclusivamente contro determinati soggetti, e non altri, conseguentemente affermando, in secondo grado, la novità della domanda proposta contro questi ultimi.
La revocazione veniva tuttavia dichiarata inammissibile per assenza dell’errore di fatto denunciato dalla parte impugnante.
Tale pronuncia veniva conseguentemente fatta oggetto di ricorso per cassazione, denunciante, per quanto di interesse ai fini del presente commento, violazione o falsa applicazione dell’art. 395, n. 4), c.p.c., in relazione all’art. 360, nn. 3) e 4), c.p.c., per avere la Corte di Appello erroneamente escluso la configurabilità dell’errore revocatorio. Ad avviso del ricorrente, la Corte avrebbe errato nel ritenere che l’errore si fosse identificato in una svista interpretativa della domanda, poiché in realtà esso avrebbe inciso sulla inesatta percezione delle risultanze di fatto derivanti dagli atti processuali e dagli accertamenti tecnici condotti nel corso del giudizio di merito.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte dichiara inammissibile il motivo di ricorso proposto.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello si sarebbe infatti limitata a interpretare il contenuto della domanda spiegata dal ricorrente, ritenendo che essa, in funzione della sua formulazione, fosse stata rivolta avverso determinati soggetti, e non di altri.
Secondo la Cassazione si sarebbe trattato, in definitiva, di attività di interpretazione del contenuto della domanda, relativamente alla quale non può configurarsi errore revocatorio, bensì soltanto, eventualmente, errore di giudizio.
Conseguentemente, il ricorso per cassazione proposto è stato rigettato.
QUESTIONI
[1] La questione affrontata dalla Cassazione attiene alla corretta identificazione dell’errore di fatto idoneo a condurre alla revocazione della sentenza a norma dell’art. 395, n. 4), c.p.c.
È opportuno, in via preliminare, ricordare che a norma dell’art. 395, n. 4), c.p.c., «Le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione […] se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».
Nella giurisprudenza di legittimità è comune l’affermazione secondo cui l’errore revocatorio si configura esclusivamente in presenza dell’affermazione o supposizione dell’esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece in modo indiscutibile esclusa o accertata in base al tenore degli atti e documenti di causa; esso si configura quindi in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo può coinvolgere l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività. Ne consegue che non è configurabile l’errore revocatorio per pretesi vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico (tra le molte, Cass., 19 giugno 2007, n. 14267; Cass., 27 marzo 2017, n. 7778; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27570).
Nel caso di specie, l’errore non avrebbe afflitto l’attività percettiva del giudice, avendo riguardato, la questione affrontata, l’attività interpretativa della domanda giudiziale proposta, la quale “deve essere diretta a cogliere, al di là delle espressioni letterali utilizzate, il contenuto sostanziale della stessa, desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dallo scopo pratico perseguito dall’istante con il ricorso all’autorità giudiziaria” (Cass., sez. un., 13 febbraio 2007, n. 3041).
Come correttamente ricordato dal provvedimento che si commenta, in relazione all’attività interpretativa della domanda giudiziale non si configura errore revocatorio, ma semmai errore di giudizio, denunciabile in sede di legittimità entro precisi limiti, ossia: “[…] a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, n. 4), c.p.c.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del petitum, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, n. 4), c.p.c.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la qualificazione giuridica dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di error in iudicando, in base all’art. 360, n. 3), c.p.c., o al vizio motivazionale, nei limiti consentiti dall’art. 360, n. 5), c.p.c.” (in tal senso, Cass., 10 giugno 2020, n. 11103; conf., Cass., 6 novembre 2023, n. 30770; Cass., 19 aprile 2013, n. 9637).
In ogni altro caso – ivi compreso quello di specie -, la censura relativa all’interpretazione della domanda va dichiarata inammissibile in quanto attingente, essenzialmente, un accertamento di merito.
Lo stesso è a dirsi, peraltro, nel caso in cui si imputi alla sentenza impugnata un’erronea valutazione delle prove raccolte: anche in tal caso, infatti, siamo al cospetto di un errore di giudizio, non a un errore di percezione spendibile ex art. 395, n. 4), c.p.c. (in tal senso, Cass., 5 aprile 2017, n. 8828; Cass., 26 settembre 2013, n. 22080).
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