Erronea dichiarazione del terzo pignorato: modalità di impugnazione e limiti della modifica della dichiarazione già resa
di Cecilia Vantaggiato Scarica in PDFCass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 18-04-2018) 26-02-2019, n. 5489- Pres. Vivaldi, Rel. Rubino
MASSIMA
In tema di espropriazione presso terzi, il terzo pignorato che si avveda dell’erroneità della dichiarazione resa ai sensi dell’art. 547 c.p.c. può farla valere mediante opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., avverso l’ordinanza di assegnazione del credito emessa ex art. 553 c.p.c., a condizione che abbia tempestivamente emendato, mediante revoca o rettifica, la dichiarazione ritenuta affetta da errore e il giudice dell’esecuzione abbia, ciò non di meno, disposto l’assegnazione.
CASO
Il Ministero dell’Ambiente e tutela del Territorio ed i principali enti territoriali campani avevano sottoscritto un accordo di programma con la società (OMISSIS) per la realizzazione di un piano di completamento della bonifica e di recupero di un’area industriale con oneri sostenuti tutti dallo Stato, da versare periodicamente in favore della società appaltatrice sulla base delle dichiarazioni relative allo stato di avanzamento dei lavori. I creditori della società (OMISSIS) avviavano una procedura di espropriazione ex art. 543 c.p.c., nella quale il Ministero veniva chiamato a rendere la dichiarazione del terzo pignorato, ai sensi dell’art. 547 c.p.c.
Il Ministero provvedeva ad inviare mediante raccomandata una dichiarazione incondizionatamente positiva, dichiarando di avere disponibile, liquida ed esigibile e a disposizione del creditore pignorante una somma superiore a 26 milioni di Euro dovuta alla società (OMISSIS).
Successivamente all’udienza di assegnazione, il Ministero, non presente alla suddetta udienza, inviava un’ulteriore comunicazione alla creditrice procedente e alle intervenute, in cui rappresentava che la precedente dichiarazione positiva ERA erronea e che la somma pignorata non era disponibile, non essendo il credito di (OMISSIS) verso il Ministero esigibile, in quanto non erano stati ancora presentati da parte della società né verificati dall’amministrazione gli stati di avanzamento del programma di bonifica. All’udienza fissata dal G.E. in prosecuzione dell’udienza ex art. 547 c.p.c., il Ministero ribadì che intendeva modificare la precedente erronea dichiarazione, ma il g.e. assegnò ugualmente le somme. Il Ministero proposte opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione cui seguì il giudizio di merito la cui sentenza veniva impugnata dal Ministero avanti la Suprema Corte.
SOLUZIONE
Con la sentenza in commento la Corte è giunta a ribadire che l’erronea dichiarazione resa dal terzo nel procedimento di espropriazione presso terzi può essere fatta valere con l’impugnazione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione purché il terzo abbia provveduto a rettificare la dichiarazione stessa.
QUESTIONI
La Corte ha affrontato e risolto la questione relativa alla natura giuridica, al contenuto e agli effetti (anche in termini d’impugnazione) dell’erronea dichiarazione resa dal terzo nel pignoramento presso terzi.
In primo luogo, preme riepilogare schematicamente i tre indirizzi in merito alla natura della dichiarazione del debitor debitoris.
Un primo orientamento affermava la natura confessoria della dichiarazione. Tale impostazione, nata durante il previgente codice, affondava le sue radici nell’antica idea della citazione del terzo come domanda giudiziale. La stessa, tuttavia, continuò ad essere sostenuta anche venuta meno l’idea della citazione del terzo come domanda giudiziale: sul punto, infatti, Carnelutti (Tutela del terzo debitore pignorato, in Rivista Diritto Processuale, 1961, 500) riteneva decisiva l’osservazione che, se la legge non attribuisse alla dichiarazione positiva il valore della confessione, non avrebbe ritenuto superfluo, di fronte ad essa, l’accertamento giudiziale.
Si tratta di una tesi che sconta numerose critiche: non solo infatti la dichiarazione così intesa mancherebbe degli elementi propri della confessione, vale a dire l’affermazione della verità di un fatto in senso svantaggioso per il dichiarante, ma anche l’animus confitendi, in quanto il terzo che dichiara rimane estraneo al rapporto credito-debito, essendo irrilevante per lui la persona a cui deve pagare il debito o consegnare la cosa.
Altra tesi ne afferma la natura di riconoscimento del debito, a seconda della riconosciuta natura negoziale o meno della dichiarazione. Gli autori che optano per la dichiarazione negoziale (Monteleone, Espropriazione di crediti, 105) ritengono che la dichiarazione sottoscritta dal creditore procedente, dal debitore e dal terzo dia luogo a un negozio di accertamento plurilaterale, volto ad accertare la situazione giuridica sottostante oggetto di dichiarazione. Questa ricostruzione non pare cogliere nel segno, atteso che tanto il creditore procedente quanto il debitore o i creditori intervenuti possono disattendere il contenuto della dichiarazione del terzo.
Infine, si è sostenuto che la dichiarazione assuma il ruolo di dichiarazione di scienza rilevante ai fini esecutivi, in quanto consentirebbe l’accertamento dell’esistenza del credito (solo affermata dal creditore procedente) e della sua puntuale determinazione.
La questione, lungi dal rimanere sul piano teorico, consente di risolvere anche il problema relativo alla revocabilità della dichiarazione e ai limiti di essa; basti pensare alla revocabilità solo per errore o violenza nel caso in cui si intenda la dichiarazione del debitor debitoris quale confessione ovvero al riconoscimento dei limiti cui la stessa revoca deve sottostare, ove si acceda alla tesi della dichiarazione di scienza.
Sicuramente, occorre prendere le mosse dalla questione relativa alla possibilità del terzo di attivarsi per evitare che si giunga ad una assegnazione sulla base di una sua dichiarazione, ove si accorga che essa sia erronea, nonché dei modi e dei tempi di tale attivazione.
Non pone alcun problema il riconoscimento della libera revocabilità e modificabilità della dichiarazione: vi è infatti unanimità di vedute in merito e ciò a prescindere dalla natura che ad essa si intenda assegnare.
Non altrettanto unanimi, invece, sono i modi ed i tempi in base ai quali tale revoca debba compiersi: come chiarito dalla recente pronuncia della Cassazione n. 13143/2017 sono almeno tre le opinioni che si sono affermate in proposito: una parte della dottrina, prendendo le mosse dalla natura di atto esecutivo della dichiarazione, sostiene che essa debba essere autonomamente impugnata dal terzo con l’opposizione agli atti esecutivi entro il termine di venti giorni da quando sia stata resa, pena l’inoppugnabilità e la definitiva stabilità dei suoi effetti quoad executionem, ancorché non nel campo sostanziale del rapporto con il debitore esecutato, creditore verso il terzo debitor debitoris. Perciò, secondo l’insegnamento di Cass. n. 3958/2007, la dichiarazione del terzo può essere impugnata solo con l’opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. che la recepisca, dovendo escludersi l’ammissibilità di un’istanza di revoca di tale ordinanza in quanto autoesecutiva.
Una tesi dottrinale sostiene che il terzo, resosi conto dell’errore, abbia l’onere di revocare immediatamente la propria dichiarazione positiva, proponendo eventualmente opposizione ex art.. 617 c.p.c. avverso l’ordinanza di assegnazione, frattanto emessa nonostante l’intervenuta revoca. In assenza, il terzo non avrebbe facoltà di proporre tout court l’opposizione formale.
A tale ultima impostazione ha aderito la Corte di cassazione del 2017 sopra richiamata, la quale ha ribadito innanzitutto come sia da escludere che la dichiarazione del terzo sia direttamente impugnabile con l’opposizione ex art. 617 c.p.c., in quanto proviene da un soggetto che non è parte in senso tecnico del procedimento esecutivo (in tal senso, si veda Cass. n. 11642/2014), perché estraneo ai vincoli derivanti dal titolo azionato. Anche dopo le riforme che hanno ridisegnato l’esecuzione forzata presso terzi, può ribadirsi il tradizionale orientamento che riconosce in capo al terzo un dovere di cooperazione ai fini della specificazione dell’oggetto dell’azione esecutiva, genericamente descritto dal creditore nell’atto di pignoramento ex art. 543 c.p.c., comma 2, n. 2 (come già ribadito da Cass. n. 20727/2008; Cass. n. 12259/2009). Al creditore procedente e agli eventuali creditori viene riconosciuta la possibilità di vagliare la dichiarazione del terzo ed eventualmente opporsi mediante l’instaurazione del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo ex artt. 548 e 549 c.p.c., previgenti, ovvero, nel nuovo assetto, dando comunque impulso alla procedura di accertamento semplificata di cui al nuovo art. 549 c.p.c., mentre il debitore esecutato, che si veda contestata o non riconosciuta l’esistenza di un credito verso il terzo pignorato, debitor debutoris, può sempre proporre la relativa domanda in un separato ed autonomo giudizio (Cass. 13143/2017).
La Corte, quindi, aderisce all’orientamento per cui l’opposizione agli atti esecutivi rappresenta l’extrema ratio, dovendo il terzo che abbia reso la sua dichiarazione con l’invio della raccomandata o all’udienza e che si avveda di essere incorso in errore, in primo luogo attivarsi immediatamente, rettificando o revocando la dichiarazione positiva. Successivamente – ma solo nel caso in cui il giudice non tenga in conto, perché non la ritenga giustificata o ammissibile o tempestiva, la dichiarazione in rettifica o in revoca e proceda ugualmente all’assegnazione – il terzo sarà legittimato, e al contempo onerato, della proposizione della opposizione agli atti esecutivi nel termine perentorio di venti giorni dalla conoscenza legale dell’ordinanza di assegnazione del credito pignorato.
Occorre infine chiarire se la dichiarazione resa sia incondizionatamente revocabile o se possa essere efficace solo a determinate condizioni.
Come detto, tale quesito deve essere risolto tenuto conto della natura della dichiarazione resa dal terzo: ove si ritenga che essa sia una confessione, la revoca sarà ammessa nei limiti della violenza e dell’errore e purché vi sia allegazione e prova della ragione che determinò la caduta in errore. Aderendo invece all’orientamento per cui la dichiarazione del terzo ha solo rilievo endoprocessuale, cioè come fase necessaria del procedimento che porta all’assegnazione del credito, come atto cosciente e volontario da cui scaturiscono, per lo stesso terzo e per tutti i soggetti coinvolti nella procedura espropriativa, significativi effetti, deriva che, essendo coinvolti anche altri soggetti, la Corte giunga a negare una revoca ad nutum, in virtù del principio di buona fede e di autoresponsabilità che regola il comportamento processuale delle parti.
Non rileva, secondo la S.C., nemmeno il motivo che ha indotto il debitor debitoris all’errore, restando di rilevanza meramente interna. Ciò che rileva, infatti, è che l’errore di cui è frutto la dichiarazione possa essere considerato non imputabile al terzo o che quanto meno esso possa essere considerato scusabile (in questo senso già Cass. n. 13143 del 2017, la quale aggiunge che affermarsi debitor debitoris quando non lo si è consiste sostanzialmente in un errore di fatto), ovvero meritevole di rimessione in termini.
Quanto detto altro non è che espressione di un principio generale, stabilito dall’art. 153 c.p.c., comma 2, che consente di raggiungere “un punto di equilibrio, espressione del dovere di leale cooperazione che grava non solo sul terzo, ma su tutti i soggetti coinvolti nella procedura esecutiva, e quindi anche sui creditori, e che può consentire di non privilegiare il creditore, per l’affidamento ingeneratosi su una dichiarazione positiva, ma erronea, qualora l’errore in cui è incorso il terzo dichiarante sia scusabile”.
In conclusione, la Cassazione ammette la revocabilità della dichiarazione, ma a patto che il debitor debitoris abbia previamente manifestato l’erroneità della stessa, essendogli altrimenti precluso il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi. Sicuramente il pregio della sentenza è di aver riconosciuto il processo quale luogo di cooperazione delle parti (come dimostra l’onere di attivazione in capo al terzo). Tuttavia, resta incerto su quali basi si possa precludere al debitor debitoris, mero ausiliario di giustizia che voglia rettificare o revocare la dichiarazione resa per errore, la possibilità di impugnare l’ordinanza ex art. 553 c.p.c., anche quando si avveda dell’errore soltanto in un secondo momento: una soluzione restrittiva come quella adottata nella pronuncia in commento pare porsi in contrasto con il diritto di difesa del terzo, che del procedimento di espropriazione forzata non è neppure parte ma, come detto, mero ausiliario.
Insomma, la posizione del terzo pignorato si è quanto mai deteriorata dopo le riforme della procedura di espropriazione presso terzi ed anche nei più recenti orientamenti giurisprudenziali. Badi dunque il terzo pignorato a rispondere con tempestività e con accorta diligenza, non appena riceva notificazione del pignoramento presso terzi.