9 Maggio 2023

Il dovere del giudice d’appello di prendere in considerazione il documento prodotto in primo grado

di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Sez. Unite, 16 febbraio 2023, n. 4835 Pres. Biagio – Rel. Scarpa

Processo civile – Formazione del fascicolo – Documenti – Principio di non dispersione (o di acquisizione) della prova – Effetti sul giudizio d’appello – Appello – Domande – Effetto devolutivo – Documenti cartacei o telematici depositati in primo grado – Mancata disponibilità nel fascicolo della parte che lo aveva prodotto – Acquisizione di copia ex art. 76 disp. att. c.p.c. – Ammissibilità

(C.c., artt. 2697; C.p.c., artt. 115, 168 e 169, 342; Disp. att. c.p.c art. 72,73,74,75,76 e 77)

Il principio di “non dispersione (o di acquisizione) della prova”, operante anche per i documenti – prodotti sia con modalità telematiche che in formato cartaceo – comporta che il fatto storico in essi rappresentato si ha per dimostrato nel processo, costituendo fonte di conoscenza per il giudice e spiegando un’efficacia che non si esaurisce nel singolo grado di giudizio, né può dipendere dalle successive scelte difensive della parte che li abbia inizialmente offerti in comunicazione

Il giudice d’appello ha il potere-dovere di esaminare un documento ritualmente prodotto in primo grado nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi, mediante richiamo di esso nella parte argomentativa dei motivi formulati o delle domande ed eccezioni riproposte, illustrando le ragioni, trascurate dal primo giudice, per le quali il contenuto del documento acquisito giustifichi le rispettive deduzioni

Affinché il giudice di appello possa procedere all’autonomo e diretto esame del documento già prodotto in formato cartaceo nel giudizio di primo grado, onde dare risposta ai motivi di impugnazione o alle domande ed eccezioni riproposte su di esso fondati, il documento può essere sottoposto alla sua attenzione, ove non più disponibile nel fascicolo della parte che lo aveva offerto in comunicazione (perché ritirato e non restituito, o perché questa è rimasta contumace in secondo grado), mediante deposito della copia rilasciata alle altre parti a norma dell’ art. 76 disp. att. c.p.c.;

Il giudice di appello può inoltre porre a fondamento della propria decisione il documento prodotto in formato cartaceo non rinvenibile nei fascicoli di parte apprezzandone il contenuto che sia trascritto o indicato nella decisione impugnata, o in altro provvedimento o atto del processo, ovvero, se lo ritiene necessario, può ordinare alla parte interessata di produrre, in copia o in originale, determinati documenti acquisiti in primo grado

Allorché la parte abbia ottemperato all’onere processuale di compiere nell’atto di appello o nella comparsa di costituzione una puntuale allegazione del fatto rappresentato dal documento cartaceo prodotto in primo grado, del quale invochi il riesame in sede di gravame, e la controparte neppure abbia provveduto ad offrire in comunicazione lo stesso nel giudizio di secondo grado, sarà quest’ultima a subire le conseguenze di tale comportamento processuale, potendo il giudice, il quale ha comunque il dovere di ricomporre il contenuto di una rappresentazione già stabilmente acquisita al processo, ritenere provato il fatto storico rappresentato dal documento nei termini specificamente allegati nell’atto difensivo.

 CASO

Alcuni condomini convenivano in giudizio una società, per chiedere l’accertamento della natura demaniale di un tratto di strada oggetto di passaggio condominiale o la destinazione al pubblico transito della stessa e conseguentemente ordinare alla convenuta di rimuovere il cancello e la catena che ne precludevano l’accesso.

La convenuta si difendeva, deducendo che l’area in questione non era interdetta, in quanto la catena era priva di lucchetto e il condominio era in possesso della chiave del cancello.

Il Tribunale condannava la società convenuta a rimuovere i due ostacoli al libero accesso, riconoscendo la natura demaniale della strada, sulla base di  un decreto prefettizio di esproprio ed una relazione peritale, prodotti da parte attrice.

Avverso la sentenza di primo grado, la soccombente proponeva appello, contestando che gli appellati non avevano depositato il loro fascicolo di primo grado, contenente i documenti posti a fondamento della decisione gravata.

La Corte d’Appello accoglieva l’appello, assumendo che la domanda proposta in primo grado dagli attori era rimasta del tutto sfornita di prova. In particolare, nelle difese mancava “il loro fascicolo di primo grado, nel quale erano verosimilmente contenuti i documenti in forza dei quali è stata accolta dal Tribunale la loro domanda principale (in particolare il decreto prefettizio del 16 gennaio 1952 e la relazione del geometra), nonché gli altri documenti richiamati dagli appellati“, che “la parte aveva l’onere di depositare“.

Il giudice di secondo grado aggiungeva che tali documenti neppure risultavano prodotti dalle altre parti costituite. Il collegio, pertanto, “non disponeva degli elementi per valutare la fondatezza della domanda degli attori, contestata dalla società appellante, in particolare per quanto concerne la natura della strada in questione“. Né emergevano “in atti elementi per l’eventuale accoglimento della domanda subordinata proposta dagli attori“, non essendo, tra l’altro, “dato conoscere quali fossero i capitoli della prova articolata negli scritti difensivi di primo grado di parte attrice e, poi, espletata“.

I condomini ricorrevano per cassazione, denunciando la violazione degli artt. 342 c.p.c., 2697 c.c. e 115 c.p.c.; assumevano che, alla stregua dei principi enunciati nelle sentenze delle Sezioni Unite n. 28498/2005 e n. 3033/2013, gravava sulla società appellante l’onere di dimostrare la fondatezza dell’interposto gravame e di produrre, quindi, i documenti occorrenti per la decisione.

Con ordinanza interlocutoria, la seconda sezione civile evidenziava la particolare rilevanza della questione sottesa al motivo del ricorso principale e rimetteva alle Sezioni Unite la decisione. Chiedeva, in particolare, di valutare quale incidenza abbia, sui principi enunciati nelle sentenze n. 28498/2005 e n. 3033/2013, l’introduzione del fascicolo telematico del processo e se tale eventuale incidenza non giustifichi l’opportunità di superare, anche per i documenti analogici, la conclusione secondo cui grava sull’appellante l’onere di produrre o ripristinare in appello i documenti già prodotti in primo grado. In difetto, l’appellante avrebbe subito, le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell’altra parte.

In particolare, le questioni rimesse alle S.U. possono essere così sintetizzate:

a) se l’adozione del processo telematico, che prevede la creazione di un unico fascicolo e non contempla l’ipotesi del ritiro dei documenti in esso contenuti, comporti l’abbandono della distinzione tra fascicolo d’ufficio e fascicolo di parte di cui agli artt. 168 e 169 c.p.c., artt. 72, 73,74, 75, 76 e 77 disp. att. c.p.c.;

b) se ciò determini il superamento della posizione interpretativa fatta propria con le pronunce delle Sezioni Unite n. 28498/2005 e n. 3033/2013, secondo cui l’appellante “subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell’altra parte, quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice d’appello non ha quindi avuto la possibilità di esaminare“;

c) se tale superamento valga solo per le cause ove i documenti sono contenuti nel cosiddetto fascicolo informatico, ovvero se – al fine di evitare irragionevoli differenze di trattamento – valga anche per cause ove i documenti siano ancora presenti in formato cartaceo nel fascicolo di parte.

Il Pubblico Ministero nelle conclusioni scritte motivate, osservava, infine, che in relazione alla fattispecie concreta, i quesiti rimessi alle Sezioni Unite apparivano privi di rilevanza in sé, per quanto riguarda il processo telematico, che non è quello messo in atto nel processo in esame, e che, comunque, la sentenza impugnata non ha osservato i principi affermati nelle pronunce delle Sezioni Unite n. 28498/2005 e n. 3033/2013, essendosi posta “in pieno contrasto con il principio di presunzione di legittimità della decisione di prime cure e con quello di acquisizione probatoria“. Il P.M. concludeva, chiedendo di accogliere il ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale. 

SOLUZIONI

La Corte ritiene fondato il ricorso.

Nello specifico, il giudice d’appello ha, infatti, accolto il gravame proposto dalla società e rigettato la domanda degli originari attori, non avendo questi prodotto in appello i documenti sui quali il tribunale aveva fondato la propria pronuncia. In tale modo, però, la corte d’appello ha ritenuto che oggetto dell’impugnazione fosse la domanda giudiziale proposta dagli attori, vittoriosi in primo grado, e non le censure formulate dalla soccombente, le quali imponevano, comunque, il riesame dei documenti posti a fondamento della decisione del tribunale.

Il giudice di secondo grado ha, al contrario, considerato sufficienti le mere difese opposte dall’appellante ai fatti, principali e secondari, costituenti le ragioni dell’avversa pretesa accolta nella sentenza gravata. Non ha, quindi, preso in considerazione che i fatti storici, dimostrati dai documenti prodotti in primo grado ed acquisiti come fonti di conoscenza, erano stati apprezzati nella pronuncia impugnata, la cui presunzione di legittimità non poteva dirsi superata dalla mancata allegazione del fascicolo delle parti appellate che li conteneva.

La Corte d’Appello non ha, quindi, adempiuto al proprio dovere di ricomporre altrimenti il contenuto della rappresentazione dei fatti già stabilmente acquisita al processo, sulla base di quanto comunque risultante da provvedimenti o atti del processo.

QUESTIONI

Le Sezioni Unite, chiamate a dirimere in via definitiva le problematiche connesse al mancato (o parziale) trasferimento del fascicolo di parte di primo grado al Giudice d’Appello, confermano il principio di non dispersione della prova, da ritenersi operante anche per i documenti in qualsiasi modo prodotti (formato cartaceo e telematico).

Tale principio “comporta che il fatto storico in essi rappresentato si ha per dimostrato nel processo, costituendo fonte di conoscenza per il giudice e spiegando un’efficacia che non si esaurisce nel singolo grado di giudizio, né può dipendere dalle successive scelte difensive della parte che li abbia inizialmente offerti in comunicazione”.

 Per comprendere al meglio in che modo la Suprema Corte giunge a questa interpretazione, pare utile esaminare i contrapposti orientamenti messi in luce dall’ordinanza interlocutoria.

Il giudizio in appello rappresenta un’impugnazione a critica vincolata (revisio prioris instantiae): grava, quindi, sull’appellante l’onere di fornire la dimostrazione delle singole censure prospettate, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale. Con la conseguenza che quest’ultimo è tenuto a produrre, o ripristinare in appello se già prodotti in primo grado, i documenti sui quali egli basa il proprio gravame, o comunque ad attivarsi, anche avvalendosi della facoltà, ex art. 76 disp. att. c.p.c., di farsi rilasciare dal cancelliere copia degli atti del fascicolo delle altre parti, affinché questi documenti possano essere sottoposti all’esame del giudice di appello.

 Secondo tale orientamento spetta, quindi, all’appellante dimostrare il fondamento delle proprie censure al fine di superare la presunzione di legittimità che assiste la decisione di primo grado. Ne consegue che egli subisce le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell’altra parte (ad es., perché rimasta contumace), quando questo contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia e che il giudice di appello non ha, quindi, avuto la possibilità di esaminare (Cass. Sez. un. 23 dicembre 2005, n. 28498).

Tale interpretazione è stato disattesa da alcune pronunce, secondo cui la parte vittoriosa in primo grado che scelga di rimanere contumace in appello, e non ridepositi, quindi, i documenti in precedenza prodotti, va incontro alla declaratoria di soccombenza per non aver fornito la prova della sua pretesa, quando i documenti non più ridepositati siano a lei favorevoli (Cass. 8 gennaio 2007, n. 78; Cass. 12 aprile 2006, n. 8528).

Successivamente le Sezioni Unite hanno riconfermando il loro precedente indirizzo, ribadendo che sull’appellante ricade l’onere di dimostrare la fondatezza dei propri motivi di gravame, quale che sia stata la posizione processuale di attore o convenuto assunta nel giudizio di primo grado. Pertanto, ove l’appellante si dolga dell’erronea valutazione, da parte del primo giudice, di documenti prodotti dalla controparte e da questi non depositati in appello, ha l’onere di estrarne copia ai sensi dell’ art. 76 disp. att. c.p.c. e di produrli in sede di gravame (Cass. Sez. Un. 8 febbraio 2013, n. 3033)

La giurisprudenza di legittimità si è, quindi, uniformata all’orientamento delle sezioni unite (Cass. 9 giugno 2016, n. 11797; Cass. 7 marzo 2017, n.5622; Cass. 17 dicembre 2021, n. 40606), spingendosi a sostenere perfino che l’appellante può richiedere al giudice di ordinare all’appellato non costituito, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., l’esibizione dei documenti già contenuti nella produzione ritirata, trattandosi, non di prove nuove, bensì di prove già acquisite agli atti di causa, rispetto alle quali l’iniziativa dell’appellante è meramente recuperatoria (Cass. 22 gennaio 2013, n. 1462).

Ed ancora, si è affermato che “i fascicoli di parte che sono presenti in quello di ufficio costituiscono parte integrante di esso, ai sensi dell’art. 72, secondo comma, disp. att. cod. proc. civ., fintanto che rimangono ivi depositati, perché non ritirati, ai sensi dell’art. 77 disp. att. cod. proc. civ. Ne consegue che, qualora venga richiesta la trasmissione del fascicolo d’ufficio ex art. 126 disp. att. cod. proc. civ., la trasmissione dovrà riguardare il fascicolo d’ufficio, unitamente a quelli di parte ove non ritirati…” (Cass.19 giugno 2019, n. 16506).

Secondo l’ordinanza interlocutoria, con la formazione del  fascicolo digitale (nel quale confluiscono atti inviati telematicamente dagli avvocati, nonché i provvedimenti del giudice e della cancelleria) è venuta meno la distinzione tra fascicolo d’ufficio e di parte, prevista dalle citate disposizioni del codice di rito e delle sue disposizioni di attuazione. La questione in esame sarebbe, pertanto, automaticamente risolta, sul presupposto che, non essendo previsto il ritiro dei documenti informatici, questi vengono telematicamente appresi, con piena attuazione del principio di immanenza delle prove, dal giudice di secondo grado che li acquisisce nell’unico fascicolo, a prescindere dal comportamento dell’appellato.

Poiché il processo telematico non trova completa attuazione e si versa ancora in una situazione “mista”, l’ordinanza interlocutoria ha richiesto alle Sezioni Unite di rivedere l’orientamento espresso nel 2005 e nel 2013, specialmente se i documenti che hanno portato all’accoglimento della domanda di primo grado (depositati in formato cartaceo), non siano disponibili in appello perché, non ridepositati. 

Va ribadito che, nel giudizio in esame, la disciplina attinente al fascicolo informatico è inapplicabile, perché le produzioni documentali erano integralmente cartacee. Sulla scorta di tale premessa, le S.U. si pronunciano sulle questioni sollevate nell’ordinanza interlocutoria, al fine di pervenire a conclusioni uniformi in ordine all’attuale operatività del principio dispositivo e del principio di “acquisizione probatoria”. Tali principi, infatti, sono strettamente connessi ai meccanismi di produzione e di ritiro dei documenti e l’attuale normativa può causare inconvenienti, a seconda che i documenti siano stati prodotti con modalità telematiche o in formato cartaceo.

La sentenza in esame sottolinea come non sia necessario intendere come abrogata tacitamente la distinzione codicistica tra fascicolo d’ufficio e fascicolo di parte.

La Corte ricorda che, già in passato – nell’escludere la “novità”, agli effetti dell’art. 345, co. 3, c.p.c., dei documenti posti a sostegno della domanda di decreto ingiuntivo, non prodotti nel giudizio di opposizione e, poi, allegati all’atto di appello – si è affermato  che “i principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata implicano … che le prove acquisite al processo lo siano in via definitiva. Tali prove non devono essere disperse. Ciò vale anche per i documenti: una volta prodotti ed acquisiti ritualmente al processo, devono essere conservati alla cognizione del giudice”.

Tale principio di “non dispersione (o di acquisizione) della prova” fa sì che, una volta prodotto un documento in una fase o in un grado di un processo unitario, lo stesso, in quanto “conosciuto” e, perciò, definitivamente acquisito alla causa, ove successivamente ritirato e poi ancora allegato, dalla stessa parte che se ne fosse originariamente avvalsa o da altra parte, non può considerarsi “nuovo”, né in primo grado, agli effetti delle preclusioni istruttorie, né in appello, né nel giudizio in cassazione (Cass. Sez. Un. 10 luglio 2015, n 14475).

L’acquisizione della valenza probatoria del documento esibito nemmeno può dipendere dalle successive scelte processuali della parte che lo abbia inizialmente prodotto. Il fatto storico rappresentato dal documento prodotto si ha per dimostrato, poiché si è compiuto  il procedimento strumentale che assicura l’acquisizione processuale della fonte di conoscenza. Ciò pone fuori causa l’art. 2697 c.c., norma che onera la parte di dimostrare gli accadimenti che concretizzano la fattispecie astratta di legge, dalla cui applicazione essa voglia ricavare effetti per sé favorevoli, ed offre al giudice una via d’uscita ove di tali accadimenti da assumere in sentenza sia mancata la prova. 

La definitività dell’acquisizione processuale del documento prodotto deve, peraltro, trovare un coordinamento con la regola della formazione progressiva della cosa giudicata e con l’effetto devolutivo dell’impugnazione di merito. Da un lato, infatti, affinché il fatto dimostrato dal documento prodotto in primo grado possa essere compreso nell’attività logica del giudice dell’appello, esso non va nuovamente “provato” dalla parte che ne invochi il riesame. Dall’altro,  l’ambito della cognizione del giudice d’appello è definito dai motivi di impugnazione formulati e dalle domande ed eccezioni riproposte. Esso, pertanto, non consiste (salvo che per le questioni rilevabili d’ufficio), in una rinnovata pronuncia sulla domanda giudiziale e sulla intera situazione sostanziale oggetto del giudizio di primo grado.

Combinando i principi appena enunciati, le Sezioni Unite affermano che il giudice d’appello ha il potere-dovere di esaminare i documenti ritualmente prodotti in primo grado nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi, mediante richiamo di essi nella parte argomentativa dei motivi formulati o delle domande ed eccezioni riproposte, illustrando le ragioni, trascurate dal primo giudice, per le quali il contenuto dei documenti acquisiti giustifichi le rispettive deduzioni (ex multis, Cass. 29 gennaio 2019, n. 2461; Cass. 7 aprile 2009, n. 8377).

Affinché il giudice d’appello possa procedere all’autonomo e diretto esame del documento, già prodotto in formato cartaceo nel giudizio di primo grado, il documento potrà essere sottoposto alla sua attenzione. Ove non sia più disponibile nel fascicolo della parte che lo aveva offerto in comunicazione (perché ritirato e non restituito, o perché questa è rimasta contumace in secondo grado), andrà depositata la copia rilasciata alle altre parti a norma dell’art. 76 disp. att. c.p.c., anche eventualmente a seguito dell’ordine del giudice all’atto del ritiro effettuato, avvalendosi della facoltà di cui agli artt. 169 c.p.c. e 77 disp. att. c.p.c.

Il giudice di appello può, inoltre, porre a fondamento della propria decisione il documento prodotto in formato cartaceo non rinvenibile nei fascicoli di parte, apprezzandone il contenuto che sia trascritto o indicato nella decisione impugnata, o in altro provvedimento o atto del processo.

Il giudice di secondo grado, eventualmente dopo aver sentito le parti, può ordinare la produzione dei medesimi documenti, in copia o in originale, se lo ritiene necessario, conformemente a quanto del resto stabilito dall’ art. 123-bis disp. att. c.p.c. per l’impugnazione di sentenza non definitiva, valutando la mancata esibizione, senza giustificato motivo, come comportamento contrario al dovere di lealtà e probità.

Ove, poi, la parte interessata abbia allegato all’atto di appello o alla comparsa di costituzione il documento cartaceo prodotto in primo grado del quale invochi il riesame e la controparte non abbia provveduto ad offrire in comunicazione lo stesso nel giudizio di secondo grado, sarà quest’ultima a subire le conseguenze di tale comportamento processuale. Il giudice, il quale ha, comunque, il dovere di ricomporre il contenuto di una rappresentazione già stabilmente acquisita al processo, potrà, infatti, ritenere provato il fatto storico rappresentato dal documento nei termini specificamente allegati nell’atto difensivo.

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