Donazione sottoposta a condizione sospensiva di premorienza del donante
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 34858 del 13/12/2023
SUCCESSIONI “MORTIS CAUSA” – PATTI SUCCESSORI E DONAZIONI “MORTIS CAUSA” – Donazione sottoposta a condizione sospensiva di premorienza del donante – Divieto di Patti successori – Differenze – Validità – Condizioni
“La donazione con clausola sospensiva di premorienza del donante produce effetti immediati e concerne singoli beni valutati dai contraenti nella loro consistenza ed oggettività al momento del perfezionamento, con conseguente attualità dell’attribuzione la cui efficacia è solo differita alla morte; pertanto, la violazione del divieto dei patti successori può derivare solo dalla persistenza di un residuo potere dispositivo del donante, tale da minare l’irrevocabilità della disposizione e la sua immediata efficacia vincolante, e non dalla maggior o minore probabilità del verificarsi dell’evento condizionante”.
Disposizioni applicate
Cod. Civ.: artt. 458, 769 e 1353
[1] In una complessa vicenda familiare, Caio (cui era stata da tempo diagnosticata una malattia, ormai giunta in fase terminale) effettuava a favore della sorella Mevia una donazione sotto condizione sospensiva di premorienza del donante, avente ad oggetto le quote di due società ad esso riconducibili. Venuto a mancare Caio, la sorella diveniva esclusiva titolare delle quote sociali, anche a seguito del decesso della madre, precedente usufruttuaria.
Tizio (padre di Caio) adiva il giudice di primo grado, al fine di ottenere una declaratoria di nullità, per violazione del divieto dei patti successori, della donazione predetta. Il Tribunale respingeva la domanda e la decisione, impugnata da Tizio, veniva confermata dalla Corte di appello.
[2] Tizio promuoveva ricorso in Cassazione lamentando, in unico motivo, la violazione degli artt. 458 e 1353 cod. civ. e l’omesso esame circa l’ammissione dei mezzi di prova richiesti con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c.
Assumeva il ricorrente che Caio avesse disposto delle quote sociali in favore della sorella allorquando era in fase di malattia terminale e gli restavano pochi mesi di vita, per cui la validità della donazione andava valutata senza arrestarsi al dato formale dell’apposizione della condizione di premorienza del donante, occorrendo vagliare il reale scopo perseguito dalle parti, consistente nell’intento di eludere il divieto di patti successori e di regolare la futura successione, in considerazione della decisiva circostanza che il donante avesse disposto nella piena consapevolezza che gli rimanessero pochi mesi di vita e che la sua premorienza fosse ormai certa. Sussistevano, a parere del ricorrente, tutti gli elementi sintomatici del perfezionamento di un patto istitutivo nullo alla luce delle circostanze dedotte ad oggetto della prova per testi che illegittimamente il giudice di merito aveva ritenuto di non ammettere.
[3] Gli Ermellini hanno ritenuto il motivo infondato, rigettando il ricorso. In particolare, hanno evidenziato come la Corte di merito avesse adeguatamente valutato l’incidenza del divieto di cui all’art. 458 cod. civ. con riferimento all’atto impugnato e “considerate le condizioni di salute del donante e il grado di probabilità della premorienza del donante rispetto alla donataria nella ricerca dello scopo pratico voluto dai contraenti; è incensurabile, nella presente sede di legittimità, la qualificazione della donazione quale negozio inter vivos valido alla luce degli indici posti in rilievo nella sentenza, consistenti nella natura condizionale della clausola di premorienza, nell’idoneità dell’atto a produrre effetti prodromici e nell’assenza di previsioni che, anche solo indirettamente, conducessero a ravvisare la permanenza in capo al donante della facoltà di revoca della disposizione”.[1]
[4] La sentenza in commento ed il percorso argomentativo sviluppato dalla Corte stessa forniscono lo spunto per una breve analisi circa l’ammissibilità (o meno) nel nostro ordinamento delle donazioni collegate al momento della morte del donante.
Nel diritto romano veniva riconosciuta piena validità alla donazione mortis causa, negozio abitualmente utilizzato da coloro che partivano in battaglia o dovevano affrontare un viaggio rischioso, e caratterizzato dall’essere revocabile e subordinato alla premorienza del donante al donatario. Un negozio così configurato non potrebbe oggi trovare accoglimento, posto che la revocabilità è incompatibile con i principi generali in materia di contratto, vigenti anche in tema di donazione, ove natura eccezionale deve essere riconosciuta alle disposizioni che prevedono tassativi e limitati casi di revocazione.
Voci discordanti, invece, si rinvengono in ordine all’ammissibilità di ulteriori figure liberali in cui l’evento morte viene a costituire termine od elemento condizionante del negozio.
Ci si riferisce alle donazioni c.d. “cum moriar” (ove la morte del donante è posta a termine iniziale), “si moriar” (la morte è condizione della disposizione) e “si premoriar” (evento condizionante è la premorienza del donante al donatario)
La giurisprudenza di legittimità più risalente si era pronunciata in senso negativo, affermando la nullità di tali negozi per violazione del divieto dei patti successori.[2]
Opposta la posizione della Suprema Corte nel giudizio in commento. Essa richiama quanto già espresso, da ultimo, da Cass. Civ. n. 14110 del 24/05/2021 in ordine alla configurabilità di un patto successorio, allorché ebbe modo di affermare la necessità di accertare, per valutare la validità di una donazione collegata all’evento morte, “1) se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbano comunque essere compresi nella stessa; 3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi, così dello “jus poenitendi”; 4) se l’acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) se il convenuto trasferimento, dal promittente al promissario, debba aver luogo “mortis causa”, ossia a titolo di eredità o di legato”.
Tale orientamento trova il sostegno della dottrina maggioritaria,[3] a giudizio della quale le donazioni in oggetto sarebbero ordinarie “donazioni a termine o a condizione nelle quali l’evento consiste nella morte del donante, evento che nessuna norma giuridica considera illecito”.[4]
Gli Ermellini hanno avuto modo di ulteriormente evidenziare, nella sentenza in epigrafe, come il divieto di cui all’art. 485 cod. civ. miri “a salvaguardare il principio – di ordine pubblico – secondo cui la successione mortis causa può essere disciplinata, oltre che dalla legge, solo dal testamento (…) e a tutelare la libertà testamentaria fino alla morte del disponente. In considerazione della ratio del divieto sono – invece – sottratti all’ambito applicativo della norma i negozi in cui l’evento morte non è causa dell’attribuzione, ma viene ad incidere esclusivamente sull’efficacia dell’atto, il cui scopo non è di regolare la futura successione”.
L’accento viene posto, al fine di valutare la validità o meno dell’atto concretamente posto in essere, sul momento in cui esso produce (alcuni) effetti. Se, infatti, è vero che sia nel negozio mortis causa (vietato) che in quello post mortem (ritenuto legittimo, a determinate condizioni) gli effetti sono subordinati alla morte del disponente, il “negozio mortis causa investe rapporti e situazioni che si formano in via originaria con la morte del soggetto o che dall’evento morte traggono una loro autonoma qualificazione, mentre il negozio post mortem valido è destinato a regolare una situazione preesistente, sia pure subordinandone gli effetti alla morte di una delle parti. Nei primi tale evento incide sia sull’oggetto che sulla posizione del beneficiario, nel senso che la disposizione mortis causa interessa non il bene come si trova al momento dell’atto, ma come esso figura nel patrimonio del disponente al momento della morte (cd. quod superest) e nel quale il beneficiario è considerato tale in quanto esistente al momento in cui l’atto acquisterà definitiva efficacia. In carenza di tali condizioni il negozio integra un atto inter vivos ed è in genere valido, salvo che specifiche clausole o condizioni contrattuali conservino in capo al disponente il potere di farne venir meno gli effetti e il carattere vincolante. In definitiva, l’atto mortis causa è diretto a regolare i rapporti patrimoniali e non patrimoniali del soggetto per il tempo e in dipendenza della sua morte, senza produrre alcun effetto, nemmeno prodromico o preliminare. L’evento della morte riveste un ruolo diverso nell’atto post mortem, perché qui l’attribuzione è attuale nella sua consistenza patrimoniale e non è limitata ai beni rimasti nel patrimonio del disponente al momento della morte”.[5]
La donazione sospensivamente condizionata alla premorienza del donante sarebbe, dunque, valida in quanto produttiva di effetti preliminari immediati in vita del donante[6] e relativa ad un singolo bene del disponente, inteso come entità separata dal resto del patrimonio. Ovviamente, occorrerà la valutazione, nel caso concreto, della volontà delle parti e della eventuale presenza di clausole che possano comportare una nullità per violazione del divieto dei patti successori, quali la previsione della revocabilità della donazione.[7]
Come anche evidenziato dalla dottrina più moderna, al fine di stabilire se queste donazioni siano valide o meno, occorre valutare caso per caso al fine di individuare la “causa concreta” del contratto, ovvero la reale volontà delle parti, applicando il principio di conservazione di cui all’art. 1367 cod. civ. (nel dubbio, pertanto, il negozio dovrà essere interpretato nel senso in possa avere effetto e, dunque, con preferenza per una interpretazione nel senso della donazione condizionata o a termine).[8]
[1] Sottolinea, altresì, la Suprema Corte come, nel caso di specie, i giudici di merito abbiano “appunto, stabilito che la donazione era immediatamente efficace ed aveva ad oggetto beni (quote sociali) considerati nella loro consistenza e valore al momento della disposizione, dando vita ad un vincolo giuridico produttivo di effetti prodromici, valorizzando l’assenza di elementi che deponessero – anche solo in via indiretta – per l’effettiva persistenza in capo al donante di un potere dispositivo, a conferma dell’irrevocabilità dell’attribuzione. Benché Caio fosse certamente affetto da un male incurabile, la sua premorienza rispetto alla sorella poteva al più considerarsi altamente probabile ma non certa, né comunque imminente (la morte è sopraggiunta mesi dopo il perfezionamento della donazione, nell’agosto 2004), permanendo, nonostante la gravità delle condizioni di salute del donante, lo scopo pratico di assicurare il trasferimento delle quote in capo alla sorella con effetti irrevocabili e parzialmente anticipati, indirizzando da subito, nella direzione auspicata, le vicende del complesso aziendale”.
[2] In tal senso, Cass. Civ., Sez. 1, Sentenza n. 4053 del 24/04/1987: “Il negozio col quale un soggetto dispone, in vita, di un proprio diritto (nella specie, il godimento – qualificato, nell’atto, come comodato – di un appartamento), attribuendolo unilateralmente ad altro soggetto con effetti decorrenti dalla propria morte, concreta una disposizione mortis causa ed è valido solo se perfezionato con l’osservanza dei requisiti di Forma previsti dalla legge; se l’attribuzione è invece frutto di un accordo, il negozio rientra nella categoria dei patti successori ed è nullo a norma dell’art. 458 cod. civ.”. Contra, già in epoca risalente, Cass. Civ., n. 2619 del 09/071976.
[3] TORRENTE, La donazione, in Trattato di diritto civile e commerciale a cura di Cicu – Messineo, Milano, 1956, pagg. 312 ss.; CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 2009, pagg. 52 ss.; BUSANI, La successione mortis causa, Milano, 2022, pagg. 101-102; si veda anche, sebbene con posizione più articolata, BALESTRA – MARTINO, I patti successori, in Trattato delle successioni e donazioni a cura di Bonilini, vol. 1, Milano, 2009, pagg. 112 ss.
[4] Così CAPOZZI, op. cit., pag. 54.
[5] Così, testualmente, la sentenza in commento, che richiama Cass. Civ., Sez. Un, Ordinanza n. 18831 del 12/07/2019 e Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 18198 del 02/09/2020.
[6] Anche un atto sospensivamente condizionato è produttivo di effetti immediati, potendo il donatario compiere atti conservativi e, persino, disporre del bene (a sua volta sotto la medesima condizione).
[7] Nel caso di specie, la Suprema Corte, con riferimento alla situazione di malattia terminale del donante – condizione che legittimamente può portare a ritenere che la regolamentazione voluta dalle parti abbia natura di distribuzione mortis causa dei propri beni – ha ritenuto che “l’eventuale contrasto della donazione con il divieto di patti successori può allora dipendere dalla persistenza di un residuo potere dispositivo in capo al donante, tale da minare o rendere solo apparente l’irrevocabilità della disposizione e la sua immediata efficacia vincolante, non in sé per la maggior o minore probabilità del verificarsi dell’evento condizionante. La premorienza del donante è, per sua natura, evenienza incerta anche ove il donante versi in condizioni di malattia irreversibili (non potendo escludersi, in linea di principio, che premuoia il donatario per cause accidentali, improvvise, impreviste e indipendenti dal suo stato di salute sicché la donazione non diviene efficace), né è – in tal caso – prevedibile la durata della vita residua, conservando utilità pratica la connotazione di irrevocabilità della disposizione”.
[8] In tal senso CAPOZZI, op. cit., pag. 55; BUSANI, op. cit., pag. 102. In giurisprudenza, è la stessa sentenza in commento a richiamare i generali principi in materia di interpretazione del contratto; si veda, altresì, Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 1547 del 16/06/1966.
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