15 Ottobre 2019

Donazione indiretta e collazione: aspetti processuali

di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sez. 2, Sentenza n. 19833 del 23/07/2019

DIVISIONE EREDITARIA – OPERAZIONI DIVISIONALI – FORMAZIONE DELLO STATO ATTIVO DELL’EREDITA’ – COLLAZIONE ED IMPUTAZIONE – OGGETTO – IN GENERE – Donazioni fatte in vita dal “de cuius” – Obbligo di collazione – Domanda espressa – Necessità – Esclusione – Fondamento – Accertamento pregiudiziale di una donazione indiretta – Proposizione della domanda nel termine di cui all’art. 167 c.p.c. – Ragioni

La domanda di collazione non è sottoposta ai termini di cui all’art. 167 c.p.c., in quanto l’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione e i beni donati devono essere conferiti indipendentemente dalla proposizione di una domanda dei condividenti, salva l’espressa dispensa da parte del “de cuius” nei limiti in cui sia valida; la domanda di accertamento dell’esistenza di una donazione indiretta, viceversa, pregiudiziale all’accoglimento della domanda di collazione, è soggetta ai termini di decadenza ex art. 167 c.p.c. e non può essere proposta per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni, integrando un’ipotesi di ampliamento o mutamento della domanda.

Disposizioni applicate

Cod. Civ.: artt. 737 e 747; Cod. Proc. Civ.: art. 167

[1] Tizia conveniva avanti il Tribunale i fratelli Caio, Mevio, Filana, Sempronio e Lucia, affinché, previa eventuale riduzione della donazione a favore del fratello Sempronio, previa collazione ed eventuale riduzione della donazione indiretta a favore di Caio, e previa resa dei conti da parte degli eredi e, in particolare, di Mevio, si procedesse allo scioglimento della comunione dei beni relitti da parte del padre, con formazione di progetto divisionale ed assegnazione di beni agli eredi.

Esponeva, in particolare, che il padre Tizione, deceduto nel luglio del 1984, aveva lasciato in eredità ai figli vari beni tra cui anche un fabbricato rimasto nell’esclusivo possesso di Mevio, il quale ne aveva ricavato vari appartamenti, che locava ai villeggianti; che nel 1972 era stato stipulato un contratto di vendita, con il quale il padre aveva venduto al figlio Caio due terreni edificabili, doveva considerarsi in realtà una donazione, stante l’esiguità del prezzo pagato; che con atto pubblico del luglio 1974 il padre aveva donato al figlio Sempronio, con dispensa dalla collazione, la nuda proprietà di una porzione di fabbricato con alcuni terreni adiacenti; che il de cuius era cointestatario con il figlio Caio di una cassetta di sicurezza, ove erano custoditi molti denari in valuta pregiata, che dovevano rientrare nell’asse ereditario.

Solo in sede di precisazione delle conclusioni veniva poi domandata, altresì, la collazione di una somma di denaro che la sorella Filana avrebbe percepito a titolo liberale in via indiretta.

Per quanto di interesse nella odierna sede, il Tribunale dichiarava dichiarava inammissibile la domanda di collazione proposta nei confronti di Filana, essendo stata proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni con mancata accettazione del contraddittorio da parte della difesa della medesima; dichiarava lo scioglimento della comunione ereditaria e disponeva la divisione dei beni secondo il progetto divisionale, con attribuzione dei singoli assegni mediante sorteggio.

La sentenza veniva appellata in via principale ed incidentale. Secondo la Corte distrettuale andava accolto semplicemente l’appello (principale ed incidentale) relativo al mancato riconoscimento agli eredi dell’indennizzo per utilizzo esclusivo dell’immobile da parte di Mevio.

Era, dunque, Mevio ad adire la Suprema Corte, con ricorso fondato su quattro motivi.

[2] Vengono in esame, in particolare, il secondo, terzo e quarto motivo di impugnazione.

Si lamenta, in primis, “la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 737 e 747 cod. civ. e 167 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. Non conformità alla giurisprudenza della Corte: sent. n 15131 del 2005 e Cass. n. 18625 del 2010 e 22288 del 2013. Secondo il ricorrente la Corte di Appello nel rigettare la domanda di collazione per imputazione della donazione della somma di £. 5.200.000 effettuata in data 13 aprile 1971 dal de cuius a favore di Filana perché domanda nuova formulata solo in sede di precisazione delle conclusioni, non avrebbe tenuto conto che secondo l’orientamento di questa Corte di Cassazione la domanda di collazione non sarebbe soggetta ai termini dell’art. 167 cod. proc. civ. non trattandosi di domanda vera e propria ma di mera attività di carattere prodromico alle attività strettamente divisionali”.

Secondo il ricorrente, poi, i Giudici d’Appello nel rigettare la domanda di collazione relativa alla donazione a favore di Filana non avrebbero “tenuto conto che, ai sensi della normativa di cui all’art. 345 cod. proc. civ. nella formulazione antecedente alla riforma del 1995, la domanda di cui si dice, integrando gli estremi di una eccezione, perché diretta a paralizzare la pretesa della condividente, avrebbe potuto essere proposta in appello, così come l’attuale ricorrente avrebbe fatto proponendo appello incidentale sulla questione”.

Infine, il ricorrente afferma che “avendo egli chiesto che venisse ricostruito il relictum ed il donatum e tenuto conto di quanto sostenuto a favore del mantenimento del de cuius con imputazione fittizia sino ad ora ricevuto dai successori, la domanda di collazione della donazione a favore della sorella Filana era legittima ed il consulente avrebbe potuto considerare quell’importo nella formazione del progetto divisionale”.

[3] La Corte di Cassazione ha ritenuto tali motivi infondati, trattandoli congiuntamente.

Sottolineano gli Ermellini come la domanda di collazione nei confronti di Filana, presupponesse necessariamente l’accertamento dell’esistenza di una donazione indiretta a favore della medesima.

Ribadendo l’orientamento giurisprudenziale richiamato dal ricorrente stesso, la Corte afferma che è ben vero che la domanda di collazione non era soggetta ai termini di cui all’art. 167 cod. proc. civ., “perché l’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione, salva l’espressa dispensa da parte del de cuius nei limiti in cui sia valida, e che i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda dei condividenti

Tuttavia, precisa che altra cosa è la domanda di accertamento pregiudiziale all’accoglimento della domanda di collazione, che rimane soggetta al termine di decadenza ex art. 167 cod. proc. civ..

Precisa ancora la Suprema Corte che detta domanda “non integra gli estremi di una eccezione difensiva, ma di una domanda giudiziale, dovendosi tener conto che si ha eccezione riconvenzionale allorché l’istanza resti contenuta nell’ambito dell’attività strettamente difensiva, mentre si ha domanda riconvenzionale quando il convenuto chiede un provvedimento positivo, autonomamente attributivo di una determinata utilità, cioè che vada, oltre, il mero rigetto della domanda avversaria, ampliando, così, la sfera dei poteri decisori del Giudice”.

Secondo il giudice di legittimità, infine, la domanda incidentale in ordine alla esistenza della donazione indiretta disposta dal de cuius a favore della figlia Filana, contrariamente, a quanto sostenuto dal ricorrente, non può nemmeno ritenersi ricompresa nella domanda relativa alla ricostruzione del relictum e del donatum, posto che quest’ultima presuppone l’esistenza già accertata delle donazioni da considerarsi nella ricostruzione del patrimonio ereditario.

[4] La sentenza epigrafata, certamente condivisibile, fornisce lo spunto per riprendere alcune questioni attinenti agli istituti della collazione e della donazione indiretta.

Come sottolineato dalla Cassazione, la collazione è un obbligo che sorge in capo agli eredi ogniqualvolta si verifichino i presupposti di essa: esistenza di una liberalità e instaurarsi di una comunione ereditaria tra soggetti tenuti alla collazione (si ricorda, infatti, come non tutti i beneficiari di disposizioni liberali siano tenuti alla collazione, ancorché vengano chiamati alla successione). E non è necessario, anche se ragioni di opportunità e chiarezza lo suggeriscano, che in occasione di un giudizio di divisione sia formulata apposita domanda di collazione, gravando in ogni caso sui condividenti l’obbligo di restituire alla massa quanto precedentemente ricevuto (salvo espressa dispensa avutane dal de cuius).

Orbene, l’attenzione deve però esser posta sulla individuazione delle liberalità soggette a collazione. In relazione alle donazioni dirette, risultanti da atto pubblico, può anche ritenersi superflua una specifica domanda di collazione. Vi sono, però, atti che necessitano di un accertamento che ne riconosca la natura liberale.

Si pensi ad una “vendita” effettuata da un padre verso il proprio figlio senza che ne sia corrisposto il prezzo di acquisto; o al caso, non molto dissimile, di vendita effettuata ad un prezzo sensibilmente inferiore a quello di mercato. O, ancora, a tutte quelle ipotesi in cui il genitore si sostituisce al proprio discendente o congiunto nell’obbligazione di pagamento del prezzo di acquisto (ad es. acquisto da parte del figlio di un immobile con denaro proveniente dal padre).

Va da sé che, in tutti questi casi, non emergendo per tabulas l’esistenza della liberalità, la stessa dovrà essere oggetto di apposita domanda di accertamento (che, a seconda dei casi, potrà – rectius: dovrà – sostanziarsi in una domanda di simulazione), questa sì sottoposta ai termini di decadenza di cui all’art. 167 c.p.c. in quanto, per la Suprema Corte, integra “un’ipotesi di ampliamento o mutamento della domanda”. A nulla vale la considerazione che la collazione sorga automaticamente: ciò che mancherebbe è il presupposto stesso dell’operatività dell’istituto, ossia la provata esistenza della liberalità stessa.

Potrebbe, tuttavia, discutersi in ordine alle ipotesi, oggi non infrequenti, di donazioni indirette esplicitate nel “negozio mezzo”. Si pensi ai rogiti di compravendita stipulati inserendo una clausola in cui sia indicato che la provvista economica è stata fornita dal genitore dell’acquirente. Una clausola di tal fatta si rinviene sempre più di frequente, posto che la normativa fiscale (esenzione dall’imposta di donazione, se la liberalità interviene in via indiretta a mezzo di contratto sottoposto a registro o I.V.A.)[1] e la giurisprudenza (si veda Cass. Civ., Sez. 5, Sentenza n. 13133 del 24/06/2016, che limita la predetta esenzione fiscale alle sole ipotesi in cui il collegamento sia espresso nell’atto di acquisto)[2] la favoriscono. Ebbene, in simili ipotesi potrebbe ritenersi che la donazione (indiretta) non necessiti di specifica domanda di accertamento; tuttavia, rimarrebbero perplessità circa l’individuazione dell’oggetto della liberalità (la somma di denaro fornita, ovvero il bene acquistato?), suggerendosi, dunque, anche in tali ipotesi, il ricorso all’accertamento giudiziale.

[1] Art. 1 comma 4 bis, D. Lgs. 346/1990: “ferma restando l’applicazione dell’imposta anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione, l’imposta non si applica nei casi di donazioni o di altre liberalità collegate ad atti concernenti il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari ovvero il trasferimento di aziende, qualora per l’atto sia prevista l’applicazione dell’imposta di registro, in misura proporzionale, o dell’imposta sul valore aggiunto”.

[2]L’esenzione dal tributo (e, più in generale, la fruizione del beneficio fiscale) presuppone l’esplicito esercizio del diritto corrispondente da parte del contribuente il quale, a tal fine, è conseguentemente onerato dal farne espressa dichiarazione in atto; ciò allo scopo di certa e tempestiva Individuazione degli elementi fondamentali e costitutivi del rapporto tributario, oltre che di porre  l’amministrazione finanziaria in condizione di immediatamente rilevare e verificare  l’effettiva sussistenza dei presupposti di non imponibilità. La mancata dichiarazione negli atti di compravendita, in definitiva, esula dalla sfera di applicazione della disposizione in oggetto, rendendo la liberalità indiretta tassabile – ex art. 56 bis cit. – in quanto dichiarata dai beneficiari, in via del tutto contingente e casuale, soltanto nel corso di un diverso accertamento intrapreso a loro carico.

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