13 Dicembre 2016

Domanda di risoluzione e domanda di restituzione tra emendatio e mutatio libelli

di Giorgia Vulpiani Scarica in PDF

 

Cass. civ., sez. II, 26 luglio 2016, n. 15461

Procedimento civile – Domanda di restituzione – Domanda di restituzione implicita nella domanda di risoluzione – Esclusione Domanda di restituzione generica mediante formule di stile – Esclusione – Formulazione di espressa domanda Necessità

(Cod. civ., artt. 1453, 1458; cod. proc. civ., artt. 99, 112).

Impugnazioni civili – Appello – Risoluzione per inadempimento – Restituzioni contrattuali – Mutatio ed emendatio libelli – Limiti

(Cod. civ., artt. 1453, 1458; cod. proc. civ., art. 99, 112, 345).

 [1] Il diritto ad ottenere la restituzione delle prestazioni rimaste senza causa a seguito della pronuncia di risoluzione del contratto, pur sorgendo ipso iure per effetto della pronuncia risolutoria, soggiace al principio della domanda, cosicché il giudice non può pronunciare d’ufficio la condanna alla restituzione delle prestazioni, né vale a far sorgere il dovere decisorio la supposta proposizione della domanda mediante una generica formula di stile (nella specie, “con tutte le conseguenze di legge”).

 [2] La facoltà di mutatio libelli riconosciuta dall’art. 1453, co. 2, c.c., con riferimento alla possibilità per l’attore di sostituire l’originaria domanda di adempimento del contratto con la domanda di risoluzione dello stesso, si estende anche alla domanda consequenziale e accessoria di restituzione, a condizione che tale ultima domanda sia proposta contestualmente o, comunque, nel medesimo grado di giudizio in cui è proposta la domanda di risoluzione, essendo viceversa vietata dall’art. 345 c.p.c. la proposizione della domanda di restituzione per la prima volta in appello.

CASO
[1] [2] Tizio citava in giudizio Caio chiedendo l’adempimento del preliminare di compravendita di un terreno edificabile e il risarcimento del danno.

Nel corso del giudizio di primo grado, l’attore modificava l’originaria domanda, ai sensi dell’art. 1453, co. 2, c.c., chiedendo la risoluzione del contratto. Il Tribunale rigettava la domanda attorea.

L’attore proponeva appello e chiedeva, oltre alla risoluzione, la restituzione di quanto versato come acconto.

La Corte d’Appello dichiarava la risoluzione del contratto e rigettava la domanda di restituzione, in quanto proposta per la prima volta in sede di gravame.

Avverso tale sentenza Tizio proponeva ricorso per cassazione.

SOLUZIONE
[1] [2] La Corte rigetta il ricorso.

Il Collegio ritiene, infatti, che la domanda di restituzione non possa essere formulata autonomamente in un grado di giudizio diverso rispetto a quello in cui è stata proposta la domanda di risoluzione, in quanto, in tal caso, la domanda restitutoria si configurerebbe come domanda autonoma e, dunque, soggetta all’ordinario regime delle preclusioni.

Pertanto, rimarrebbe preclusa alla parte la possibilità di proporre per la prima volta in appello la domanda di restituzione delle prestazioni effettuate.

QUESTIONI
[1] [2] È noto come, nei contratti a prestazioni corrispettive, la risoluzione comporti per le parti due effetti: quello liberatorio ex nunc delle prestazioni ancora da eseguire e quello recuperatorio ex tunc delle prestazioni già eseguite, che dovranno, dunque, essere restituite o rimborsate.

La retroattività degli effetti della risoluzione implica, pertanto, che le attribuzioni patrimoniali già eseguite perdano il loro fondamento giustificativo, restando senza causa.

Se, sul piano sostanziale, il diritto ad ottenere le restituzioni sorge ipso iure per effetto della pronuncia di risoluzione del contratto, sul piano processuale, invece, tale diritto soggiace al principio della domanda, in quanto rientra nell’autonomia delle parti disporre delle conseguenze della risoluzione e, pertanto, di chiedere o meno la restituzione della prestazione eseguita in base al contratto risolto e rimasto senza causa. Conseguentemente rimane preclusa al giudice la possibilità di pronunciare ex officio la condanna alla restituzione delle prestazioni (ex multis, Cass., sez. II, 8 ottobre 2001, n. 12322; Cass., sez. II, 19 maggio 2003, n. 7829; Cass., sez. II, 20 ottobre 2005, n. 20257; Cass., sez. II, 20 febbraio 2008, n. 4371; Cass., sez. III, 29 gennaio 2013, n. 2075).

La giurisprudenza di legittimità riconosce alla parte la possibilità di mutare la domanda di adempimento in quella di risoluzione ai sensi dell’art. 1453, co. 2, c.c., non solo nel corso del giudizio di primo grado, ma anche nel giudizio di appello e in sede di rinvio, in deroga al divieto di mutatio libelli sancito dagli artt. 183, 184 e 345 c.p.c., sempre che si resti nell’ambito dei fatti posti a base della inadempienza originaria (Cass., sez. II, 18 gennaio 2008, n. 1003; Cass., sez. II, 27 maggio 2010, n. 13003; Cass., sez. II, 6 giugno 2011, n. 12238).

Tale facoltà di mutatio libelli si estende anche alle domande accessorie di restituzione e di risarcimento del danno, ma solo se le domande vengono proposte contestualmente alla domanda di risoluzione e, comunque, nel medesimo grado di giudizio (in questo senso, v. Cass., sez. II, 31 ottobre 2008, n. 26325 e Cass., sez. un. 11 aprile 2014, n. 8510; in senso difforme, v. Cass., 23 gennaio 2012, n. 870, secondo cui la deroga al divieto di mutatio libelli non si estende alla domanda di risarcimento del danno, trattandosi di domanda con petitum e causa petendi diversi da quella originaria; a tal riguardo, si rileva che, in particolare per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno, si è posto il problema relativo alla possibilità per la parte di allegare ulteriori fatti a fondamento della pretesa risarcitoria).

Pertanto, ove sia stata proposta in primo grado la domanda di risoluzione del contratto, al giudice d’appello è preclusa, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., la possibilità di prendere in esame la domanda restitutoria formulata per la prima volta in appello. Infatti, tale domanda si configura come un’inammissibile domanda nuova.

Nel caso di specie, pertanto, la Corte, ponendosi nel solco dell’orientamento maggioritario, rigetta il ricorso, avendo la parte proposto in primo grado la domanda di risoluzione e, per la prima volta, in appello la domanda restitutoria (in questo senso v. Cass., sez. II, 19 maggio 2003, n. 7829; Cass., sez. II, 02 febbraio 2009, n. 2562).

Il Collegio precisa, inoltre, che la domanda di restituzione non può essere proposta con la generica formula “con tutte le conseguenze di legge”, essendo tale clausola di stile priva di un reale petitum e insuscettibile di determinare un obbligo di pronuncia del giudice ai sensi dell’art. 112 c.p.c., in quanto rimetterebbe la determinazione della domanda al giudice stesso, in violazione dell’art. 99 c.p.c.