23 Febbraio 2021

Divieto di formulazione di nuove domande: ammissibile la successiva deduzione della qualità di condomino del convenuto

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Sezione 3^, Civile, Ordinanza, 26 maggio 2020 n. 9692 (Presidente dott. G. Travaglino, Relatore dott. M. Gorgoni)

Responsabilità civile – Danni da infiltrazioni di acqua – Risarcimento – Condominio – Impianto di riscaldamento – Proprietà condominiale – Regola della solidarietà ex art. 2055 c.c. – Litisconsorzio necessario – Esclusione – Azione nei confronti del singolo nei limiti della quota imputabile

“Nell’azione risarcitoria esperita nei confronti del proprietario di un’unità condominiale (nella specie, per danni conseguenti a perdite idriche provenienti da tubazioni), la successiva deduzione della qualità di condomino del convenuto costituisce una modificazione della domanda ammissibile ai sensi e nei limiti dell’art. 183, comma 6, c.p.c. e non incorre nel divieto di formulazione di nuove domande, in quanto l’elemento identificativo soggettivo delle “personae” è immutato e la domanda modificata, relativa alla stessa vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo, non modifica le potenzialità difensive della controparte ed è connessa a quella originaria in termini di “alternatività”.

CASO

Il condomino Tizio conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la condomina Caia affinché rispondesse dei danni conseguenti alle perdite idriche provenienti da tubazioni collocate nell’intercapedine del locale servizio igienico nel suo appartamento.

La richiesta risarcitoria in via giudiziale si era resa necessaria dopo aver rilevato, all’esito dei sondaggi eseguiti alla presenza dell’amministratore del condominio, che l’infiltrazione proveniva da tubazioni del vecchio impianto di riscaldamento centralizzato, destinato al servizio di tre fabbricati, tutti di proprietà della convenuta Caia.

Quest’ultima, dichiaratasi disponibile ad una definizione bonaria in relazione alle spese per l’apertura del pavimento per l’ispezione dei tubi, rifiutava di tenere indenne l’attore, come intimatole dall’amministratore del condominio, per l’esborso sostenuto al fine di effettuare le necessarie demolizioni e le ricostruzioni del rivestimento e la sostituzione dei sanitari.

Costituitasi in giudizio, la condomina Caia eccepiva la carenza di legittimazione passiva, asserendo in primo luogo che le infiltrazioni riguardavano un tubo discendente, di proprietà condominiale; in secondo luogo deduceva l’infondatezza della domanda ovvero la carenza di prova in ordine al quantum.

L’attore, invece, precisava la domanda risarcitoria con la prima memoria, nei termini di cui all’articolo 183, comma 6^ cpc, chiedendo all’uopo la condanna della convenuta nella sua qualità di proprietaria esclusiva dell’impianto da cui provenivano le perdite idriche o nella sua qualità di componente del condominio proprietario dell’impianto.

Il Tribunale di Roma, dichiarando la natura condominiale dell’impianto di riscaldamento da cui derivava la perdita, riteneva nuova, quindi inammissibile, la domanda risarcitoria formulata dall’attore, conseguentemente alla differente qualifica soggettiva della convenuta.

Soccombente in primo grado, il condomino Tizio impugnava la relativa sentenza dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, chiedendo, in via principale, che Caia, ritenuta legittimata passiva in quanto condomina, venisse condannata al risarcimento integrale del danno; o, ancora, in via subordinata, che, accertata la proprietà’ condominiale dell’impianto, fosse condannata a titolo risarcitorio pro quota.

L’adita Corte d’Appello, rigettava il gravame e dunque confermava la sentenza del Tribunale di Roma condannando Tizio al pagamento delle spese di lite anche di questo grado.

In particolare, il giudice a quo riteneva che benchè quest’ultimo potesse proporre domande ed eccezioni conseguenti alle domande riconvenzionali e alle eccezioni formulate dal convenuto, nonché il potere di precisare e modificare le domande, eccezioni e  conclusioni già’ avanzate con l’atto introduttivo, giammai avrebbe potuto proporre domande nuove non conseguenti alle difese della controparte.

Pertanto, la domanda risarcitoria proposta a diverso titolo, nei confronti della condomina Caia – dapprima in qualità’ di condomina e poi in quanto proprietaria esclusiva dei tre palazzi limitrofi di sua proprietà’ esclusiva – non poteva considerarsi conseguenza dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla Ella; atteso che nel libello introduttivo del giudizio di primo grado, Tizio dimostrava di aver affrontato la questione circa la natura condominiale o meno della tubatura e di averla risolta, a seguito di contatti con l’amministratore del condominio, nel senso che l’impianto fosse di proprietà’ esclusiva della condomina Caia.

Il giudice a quo, dunque, precisava che la disciplina dell’articolo 186 c.p.c., comma 6, non avrebbe potuto essere invocata per ovviare ad una delimitazione del thema decidendum, frutto di una scelta consapevole dell’attore, appurato che, nel caso di specie, avrebbe comportato un mutamento dei soggetti del rapporto giuridico controverso e compromesso le potenzialità difensive della condomina.

Ciò in quanto non sarebbe stato possibile accertare la natura condominiale del bene senza la necessaria partecipazione degli altri condomini, attesa l’impossibilità di invocare nei loro riguardi il criterio dettato in materia di obbligazioni indivisibili e, parimenti, avendo la condomina perduto la facoltà di chiamare in giudizio per essere manlevata la compagnia di assicurazione, esercitabile esclusivamente con la comparsa di costituzione e risposta.

Soccombente anche in secondo grado, Tizio avanzava ricorso per Cassazione con atto affidato ad un unico motivo.

SOLUZIONE

La Suprema Corte di Cassazione accoglieva il ricorso di Tizio, per le motivazioni che seguono, cassava la sentenza impugnata disponendo il rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, alla quale demandava altresì la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

QUESTIONI

Con l’unica doglianza il ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione degli articoli 1294, 2043, 2055 e 2051 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e la nullità della sentenza per violazione degli articoli 166, 167 c.p.c. e articolo 183 c.p.c., comma 6, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

In particolare, premettendo che la condomina  Caia avrebbe potuto essere citata in giudizio per essere condannata al risarcimento dei danni derivanti da un bene condominiale, in applicazione dell’articolo 2055 c.c. e dell’articolo 2051 c.c., la Corte territoriale, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto trarne la conseguenza che il risarcimento del danno da cose in custodia di proprietà condominiale non si sottrae all’applicazione della responsabilità solidale, considerando che la qualità di condomino comproprietario è inscindibile da quella di proprietario. Dunque, essendo il titolo della domanda risarcitoria rimasto immutato – ovverosia la titolarità del diritto di proprietà – anche se la domanda risarcitoria fosse rimasta quella ab origine formulata, essa avrebbe potuto essere esaminata nel merito e, dato che il giudice procede d’ufficio alla qualificazione dell’azione, la riqualificazione della domanda attorea avrebbe dovuto essere processualmente irrilevante.

Nella sostanza, avendo l’attore agito contro il condebitore solidale per chiedere l’intero risarcimento del danno non era necessario precisare o riqualificare la domanda.

Entro i limiti di detta argomentazione, deduceva il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe, quindi, erroneamente applicato la disciplina risarcitoria in materia di danno cagionato da cose in custodia ex art. 2055 c.c. ovvero la disciplina circa la responsabilità solidale per danni imputabili a più persone ex art. 2051 c.c.,

In ordine a ciò, a nulla rileva l’invocazione del litisconsorzio necessario che ricorre solo nel caso di accertamento di diritti reali, ma non per le obbligazioni risarcitorie, in cui l’accertamento della proprietà’ avviene solo incidentalmente.

Quanto al lamentato error in procedendo, per aver la Corte d’Appello considerato inammissibile, perché’ tardiva, la domanda risarcitoria, deduceva il ricorrente, che la Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto considerare che non costituisce argomento idoneo negare il proprio difetto di legittimazione passiva del convenuto, la condominialità o meno  del bene, ma solo a chiarire e meglio specificare la natura dello stesso, esclusivamente nei rapporti interni tra il condomino condannato a risarcire e gli altri, e non nei confronti del terzo danneggiato.

Non fondandosi la domanda su fatti costitutivi nuovi rispetto a quelli inizialmente dedotti, il giudice di seconde cure non avrebbe dovuto ravvisare gli estremi di una mutatio inammissibile e non avrebbe dovuto negare che la modifica della domanda fosse stata determinata dall’eccezione di difetto di legittimazione passiva della convenuta.

Ritenuto fondato l’unico motivo di ricorso, gli ermellini rilevavano che la Corte territoriale dopo avere riconosciuto, in sintonia con la giurisprudenza di legittimità, che il risarcimento dei danni provocati da un bene condominiale soggiace alla regola della solidarietà di cui all’art. 2055 c.c., errava nell’aver ritenuto ricorrente il litisconsorzio necessario tra tutti i condomini ed avere escluso, sulla base di tale ragione, l’ammissibilità della domanda di risarcimento nei confronti di Caia, in quanto condomina.

Al fine di avvalorare la propria argomentazione, la Suprema Corte di Cassazione richiamava fermissimi precedenti giurisprudenziali.

In particolare, evocava la granitica pronuncia delle Sezioni Unite[1] volta a chiarire che il danneggiato da un bene condominiale, può agire nei confronti del singolo condomino, sia pure nei limiti della quota imputabile al condominio.

In secundis, i giudici di diritto ribadivano, evocando un’ennesima pronuncia[2] della medesima Corte, che il risarcimento dei danni da cosa in custodia di proprietà condominiale soggiace alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055 c.c., comma 1: “norma che opera un rafforzamento del credito, evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori “pro quota”, anche quando il danneggiato sia un. condomino, equiparato a tali effetti ad un terzo, sicché’ devono individuarsi nei singoli condomini i soggetti solidalmente responsabili, poiché’ la custodia, presupposto dalla struttura della responsabilità’ per danni prevista dall’articolo 2051 c.c., non può essere imputata né al condominio, quale ente di sola gestione di beni comuni, né’ al suo amministratore, quale mandatario dei condomini.”

Da ultimo, la Corte, mediante espresso richiamano di ulteriore precedente[3], chiariva che non sussiste litisconsorzio necessario, né, pertanto, ricorre il caso di causa inscindibile ex art. 331 c.p.c., allorquando la responsabilità ex. art. 2051 c.c. per i danni cagionati dalle cose in custodia, sia imputabile a più soggetti cui la custodia faccia capo, a pari titolo o per titoli diversi, implicanti tutti l’attuale esistenza di poteri d’uso, gestione od ingerenza sulla cosa, poiché’ anche in tal caso (sempre che l’evento lesivo non sia da attribuire alla sfera di vigilanza di uno soltanto di detti soggetti, con esclusione degli altri) trattasi di una particolare ipotesi di responsabilità’ extracontrattuale che, in relazione alla natura personale del relativo rapporto e degli effetti che ne derivano e’ suscettibile di essere accertata e di essere fatta valere, secondo i principi regolanti le obbligazioni solidali, pure nei confronti di alcuni o di uno soltanto dei presunti responsabili: “Ciò in quanto la prestazione alla quale sono tenuti per legge i vari coobbligati, avuto riguardo ai poteri di uso, di gestione e di ingerenza a ciascuno spettanti sulla cosa ed in conseguenza della violazione dei connessi obblighi di custodia posti per legge a loro carico a tutela del terzo danneggiato, non può’ – di regola – considerarsi indivisibile[4].

Poiché il caso di specie non riguardava l’accertamento della “condominialità”, ovvero la ricomprensione, o meno, di una o alcune porzioni di proprietà esclusiva nel condominio edilizio, di cui all’art. 1117 c.c. e proprio perché non veniva messa in discussione l’estensione della comproprietà di tutti i partecipanti al condominio, la mancata partecipazione di uno o alcuno dei condomini al giudizio non avrebbe comportato la nullità dello stesso[5].

Tale errore, aggiungono gli ermellini, ha portato ad ulteriori conseguenze tratte dal giudice a quo, ad esempio, il convincimento che il condomino Tizio non avrebbe potuto opporre la sentenza di condanna agli altri condomini in vista dell’esercizio dell’azione di regresso.

A monte, la Corte d’Appello dimostrava di non avere correttamente applicato i principi di diritto della pronuncia a Sezioni unite, n. 12310 del 15/06/2015, sebbene l’avesse richiamata e l’abbia ritenuta applicabile al caso di specie.

In ordine al caso di specie, secondo la Suprema Corte era del tutto irrilevante che Tizio avesse agito consapevolmente nei confronti della condomina Caia, ritenendola proprietaria esclusiva della tubatura, formulando espressamente la domanda risarcitoria in tal senso non per ignoranza circa la natura condominiale del bene, ma l’erroneo convincimento che esso fosse di proprietà’ esclusiva della convenuta: ciò che assumeva rilievo era se egli avesse o meno la possibilità’ di “modificare il tiro”, così come dice la Corte di Cassazione.

Con la precisazione della domanda iniziale nei termini di preclusione consentiti, dunque, Tizio mostrava chiaramente di ritenere la domanda più conforme ai propri interessi e desiderata rispetto alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio.

Atteso che a seguito della modifica l’elemento identificativo soggettivo delle personae è rimasto immutato; che la domanda modificata riguardava la stessa vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo e che la medesima domanda era espressamente connessa a quella originaria in termini di “alternatività”, cioè rappresentava quella che, a parere dell’attore, costituiva la soluzione più adeguata alla tutela dei suoi interessi in relazione alla vicenda dedotta in lite; secondo i giudici di diritto, non vi erano ragioni per ritenere che Tizio incorresse nel divieto di formulare domande nuove, da intendersi, secondo la giurisprudenza della medesima Corte, come domande “aggiuntive” ed “ulteriori” rispetto a quella originaria.

Né, aggiunge il giudicante, poteva dirsi che la domanda formulata in alternativa a quella iniziale avesse mortificato le potenzialità’ difensive della controparte, atteso che la modifica aveva ad oggetto la medesima vicenda sostanziale in relazione alla quale la parte, Caia, era stata chiamata in giudizio con un congruo termine per potersi difendere e controdedurre anche sul piano probatorio. 

[1] Corte di Cassazione, Sezione U, Sentenza 10 maggio 2016 n. 9449.

[2] Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 29 gennaio 2015 n. 1674.

[3] Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 16 aprile 1982 n. 2320

[4] Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 29 dicembre 2016 n. 27357.

[5] in tal senso: Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Ordinanza 16 gennaio 2018 n. 884.