Distrazioni patrimoniali e azione di responsabilità nelle S.r.l. . Profili sostanziali e processuali
di Gian Luca Grossi - Studio Pirola Pennuto Zei & AssociatiMarcello Guerzoni - Studio Pirola Pennuto Zei & Associati Scarica in PDFTribunale di Catania, Sezione Specializzata in materia di imprese, Sentenza n. 4401/2018 del 11 ottobre 2018 (pubbl. il 9 novembre 2018)
Parole chiave: S.r.l. – azione di responsabilità – risarcimento del danno – legittimazione esercizio dell’azione di responsabilità – legittimazione attiva della società – legittimazione attiva dei soci – sostituto processuale
Massima: “L’azione individuale di risarcimento del danno attribuita ai singoli soci nei confronti degli amministratori dell’art. 2395 c.c. ovvero, quanto alla società a responsabilità limitata, dell’art. 2476 comma 6 c.c., è di natura aquiliana, ma è connotata da profili di specialità rispetto alla previsione generale dell’art. 2043 c.c., in considerazione della qualità del soggetto danneggiato e del soggetto danneggiante, e presuppone, oltre al compimento di atti gestori dolosi o colposi, la produzione di un danno direttamente incidente sul patrimonio personale del singolo socio. L’azione esige quindi che il pregiudizio non sia di mero riflesso dei danni eventualmente recati al patrimonio sociale, ma si tratti di danni direttamente causati al socio come conseguenza immediata della condotta degli amministratori e grava sull’attore fornire rigorosa prova sia del danno concretamente subito, sia della natura colposo o addirittura dolosa della condotta dell’amministratore, sia del nesso causale esistente tra condotta ed evento, dal momento che, altrimenti qualora il danno prospettato risulti essere mera conseguenza riflessa del danno patito della società si esce dalla previsione invocata”
Disposizioni applicate: art. 2395 c.c. – 2476 c.c..
Il Tribunale di Catania, Sezione Specializzata in materia di imprese, si è pronunciato sul tema dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una S.r.l..
Nella fattispecie la società citava in giudizio un proprio ex socio, il quale aveva ricoperto la carica di amministratore unico per un quinquennio, per aver commesso una serie di atti distrattivi del patrimonio sociale. Invero la società eccepiva come il convenuto avesse “proceduto a molteplici prelievi di danaro, dal conto della società … anche dopo la cessione della sua quota” oltre a non avere mai versato, né accantonato, gli utili di esercizio all’altro socio.
La S.r.l. radicava quindi azione, ai sensi dell’art. 2476 c.c., nei confronti dell’ex socio e amministratore unico per sentirlo condannare a restituire le somme indebitamente incassate, nonché l’importo dovuto, a titolo di utile, all’altro socio.
Il convenuto, dal canto suo, chiedeva il rigetto di tutte le domande attoree, eccependo peraltro l’inammissibilità della domanda dovendo “l’azione essere promossa dal singolo socio e non dalla società”.
In proposito, si deve osservare come l’obiezione sollevata dal convenuto si fondi sul tenore letterale della norma (art. 2476 c.c.), post riforma del 2003, che nulla dice in merito all’azione di responsabilità ad iniziativa della società, prevedendo che “L’azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio …”. Si è così posto il problema di stabilire se il Legislatore abbia voluto escludere la legittimazione attiva della società, affidando la tutela del patrimonio sociale “esclusivamente alla legittimazione diffusa di ciascun socio” (in tale senso si era consolidato l’orientamento del Tribunale di Milano, almeno nel biennio dal 2006 al 2008; cfr. Tribunale Milano 12 aprile 2006 e Tribunale Milano 27 febbraio 2008, citato).
Il Collegio adito precisa subito in proposito come l’azione possa “essere esercitata anche dalla società … in quanto questa è titolare del diritto al risarcimento del danno da essa stessa subito”. Il Tribunale ricorda infatti come tale legittimazione attiva sia ammessa dalla Giurisprudenza e dalla dottrina prevalenti poiché “L’autonoma iniziativa del socio … non toglie che si tratta pur sempre di un’azione sociale di responsabilità, rifluendo l’eventuale condanna dell’amministratore unicamente nel patrimonio sociale e potendo solo la società (non il socio) rinunciare all’azione e transigerla.” (Cfr. ex multis Cassazione civile, Sez. I, 04 luglio 2018 n. 17493).
Ed anzi, osserva il Collegio, “una diversa opzione interpretativa, si mostrerebbe costituzionalmente illegittima, in quanto priverebbe il soggetto titolare del diritto di agire in giudizio per farlo valere” (Cfr. in tal senso anche Tribunale Napoli 28 aprile 2004; Tribunale Milano 2 novembre 2006; Tribunale Roma 22 maggio 2007).
Il socio infatti – almeno secondo l’opinione prevalente – agirebbe come sostituto processuale (art. 81 c.p.c.) vale a dire “in nome proprio ma nell’interesse della società, la quale è … pienamente legittimata ad agire per il relativo risarcimento” (Cfr. in tal senso, recentemente, Tribunale Catanzaro 4 dicembre 2018).
Proseguendo nella propria analisi il Collegio sottolinea come invece sia “dubbia la necessità della deliberazione assembleare o, comunque, di una decisione dei soci che autorizzi l’esercizio dell’azione”. Difatti, secondo l’orientamento prevalente (cfr. in tal senso Tribunale Milano 12 gennaio 2015) “l’azione diretta, volta ad accertare la responsabilità degli amministratori se esercitata dal legale rappresentante di S.r.l. senza apposita deliberazione assembleare è improcedibile. Apposita delibera assembleare è invero presupposto per l’esercizio dell’azione e il difetto della stessa può essere rilevato d’ufficio, in quanto attiene all’efficacia stessa della costituzione in giudizio della società in nome e per conto della quale l’azione di responsabilità viene esercitata”. Tuttavia, per inciso, ma è bene precisarlo, nel caso in esame non si poneva il problema, in quanto l’azione era stata deliberata all’unanimità dai soci.
A questo punto il Collegio ricorda come l’azione individuale risarcitoria ex art. 2476, c. 6, c.c., sebbene condivida la stessa natura dell’azione generale aquiliana di cui all’art. 2043 c.c., sia tuttavia connotata da profili di specialità “In considerazione della qualità del soggetto danneggiato e del soggetto danneggiante, e presuppone, oltre al compimento di atti gestori dolosi o colposi, la produzione di un danno direttamente incidente sul patrimonio personale del singolo socio e non dall’eventuale riflesso derivante dal danno incidente sul patrimonio della società” (Cfr. in tal senso anche Cassazione Civile, Sez. I, 23 ottobre 2014 n. 22573).
L’azione esige quindi che i danni, per espressa previsione legislativa, siano direttamente causati al socio come conseguenza immediata della condotta degli amministratori e grava sull’attore fornire rigorosa prova i) sia del danno concretamente subito; ii) sia della natura colposa o addirittura dolosa della condotta dell’amministratore; iii) sia del nesso causale esistente tra condotta ed evento, dal momento che, altrimenti, qualora il danno prospettato risulti essere mera conseguenza riflessa del danno patito dalla società si esce dalla previsione invocata.
Con riferimento poi alle questioni “sostanziali” il Collegio osserva come la consulenza tecnica d’ufficio abbia “correttamente ed analiticamente focalizzato” i comportamenti illegittimi posti in essere dal convenuto. Da un lato infatti sono stati “ampiamente motivati e documentati” dalla relazione del CTU un ingente ammontare di prelievi e di ammanchi; dall’altro risulta provato documentalmente che l’altro socio non abbia percepito la propria quota di utili né che il relativo importo sia stato accantonato.
Il Tribunale ha pertanto concluso con l’accoglimento di tutte le domande proposte dalla società ed ha condannato il convenuto al pagamento sia delle somme indebitamente prelevate sia degli utili mai versati all’altro socio.