1 Dicembre 2020

Il disconoscimento dell’interesse ad impugnare il testamento

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Cass. Civ., Sez. VI, Ord. 9 novembre 2020, n. 25077 –  LOMBARDO – Presidente, TEDESCO – Relatore

Testamento olografo – Successione di altri parenti

(C.c., art. 602- 572)

“L’interesse del successibile ex lege a impugnare il testamento non può essere negato in forza della considerazione, teorica e astratta, che potrebbero esistere altri successibili. L’interesse del successibile potrebbe essere disconosciuto solo in presenza di un chiamato “noto” che lo preceda nell’ordine successorio.”

CASO

Nel giudizio di primo grado, il Tribunale di Trieste, decidendo la causa promossa da B.G. contro il Comune di Trieste, aveva negato che l’attrice avesse interesse all’impugnazione del testamento olografo di P.A., con la quale sosteneva l’invalidità della scheda testamentaria per mancanza di data. In particolare, la Corte d’appello, riconfermando la sentenza del giudice di merito, ha rilevato che l’appellante, pur avendo dimostrato la propria qualità di successibile ex lege del testatore per la linea materna, non aveva, tuttavia, dato prova certa e documentale della mancanza di successibili di grado poziore per la linea paterna. Per questo motivo, secondo la Corte d’Appello, l’omessa prova costituiva una mancanza di interesse, concreto e attuale, all’impugnazione del testamento da parte della successibile. Per questi motivi, B.G. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza.

SOLUZIONE

La Corte d’Appello, condividendo la tesi del giudice di primo grado, ha riconosciuto la qualità di chiamata all’eredità dell’attrice, a fronte del comprovato rapporto di parentela con il de cuius per linea materna, negando, tuttavia, l’interesse della stessa ad impugnare il testamento, a causa della mancata prova dell’inesistenza in vita di altri eredi legittimi, per linea paterna, di grado poziore. Come riporta la pronuncia in esame, la Corte d’Appello ha affermato come sebbene l’appellante abbia ricostruito, mediante documentazione, il legame di parentela che la univa al testatore ed avendo, altresì, dimostrato l’assenza in vita di ulteriori parenti di quest’ultimo in linea materna, l’onere probatorio non risultava adeguatamente soddisfatto con riferimento agli eventuali parenti del de cuius dal lato paterno. Infatti, la ricerca avviata presso il Comune di nascita del de cuius e del di lui padre, non era stata affiancata da un ulteriore tentativo da parte dell’attrice stessa, ad esempio, secondo i giudici di secondo grado, presso gli archivi parrocchiali del luogo di nascita degli stessi. Laddove la ricerca avesse dato notizie di altri parenti, in linea paterna, la presenza di altri cugini ancora in vita del de cuius avrebbe portato l’attrice ad essere esclusa dalla successione ab intestato a norma dell’art. 572 c.c., considerato, inoltre, che per i discendenti dei collaterali degli ascendenti del de cuius non opera l’istituto della rappresentazione. In altre parole, la Corte d’Appello ha affermato il disinteresse dell’attrice ad impugnare il testamento olografo a causa della mancanza di una prova documentale, oggettiva e certa, circa l’inesistenza di chiamati di grado pozione sulla linea paterna.

La Corte di Cassazione, discostandosi dalla tesi precedente, ha condiviso l’orientamento secondo cui la prova della qualità di erede, da parte di colui che si affermi successibile ex lege ai sensi dell’art. 572 c.c., implichi sia la prova positiva del rapporto di parentela rilevante sul piano successorio, ossia il grado di parentela effettivamente esistente tra colui che si afferma successibile e il de cuius, sia la prova negativa dell’inesistenza di chiamati di grado poziore. Tuttavia, quest’ultima prova, di tipo negativo, può essere data anche attraverso presunzioni dalle quali sia desumibile l’inesistenza di chiamati in grado poziore, essendo sufficiente, dunque, la probabilità dell’inesistenza.

Infine, i giudici di merito avevano erroneamente valutato la certezza dello status di erede quale presupposto per il riconoscimento dell’interesse ad esperire un’azione di annullabilità del testamento, seppure l’azione di impugnare un testamento, non competa al solo erede, ma a chiunque vi abbia interesse. Da tale pronuncia si evince il principio per cui “l’interesse del successibile ex lege a impugnare il testamento non può essere negato in forza della considerazione, teorica e astratta, che potrebbero esistere altri successibili. L’interesse del successibile potrebbe essere disconosciuto solo in presenza di un chiamato “noto” che lo preceda nell’ordine successorio”.

La causa è stata, di conseguenza, rinviata alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione.

QUESTIONI

L’ordinanza qualifica l’appellante come chiamata all’eredità, in virtù della probabile inesistenza di successibili ex lege di grado poziore che, in caso contrario, l’avrebbero certamente esclusa dalla successione ab instestatio. Ricordiamo che in forza dell’art. 460 c.c. il chiamato all’eredità, prima dell’accettazione, ha alcuni limitati poteri diretti alla conservazione dei beni e alla loro tutela contro i terzi. Il termine chiamato è spesso utilizzato (anche dal legislatore, per il vero) in maniera generica, riferendosi tanto ai primi chiamati quanto ai c.d. chiamati ulteriori, e cioè a coloro che potrebbero divenire eredi solo una volta che i chiamati di primo ordine non potessero o non volessero accettare l’eredità stessa.

Occorre dunque una precisazione terminologica: autorevole dottrina (G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, Giuffrè, p. 100) suole differenziare il chiamato all’eredità in genere – c.d. “vocato” – dal chiamato in primo ordine, c.d. “delato”. In particolare, per “vocazione” si indica l’aspetto soggettivo del fenomeno successorio, ossia la designazione di coloro che potrebbero succedere al de cuius; in questa categoria rientrano, come detto, sia i primi chiamati che i chiamati ulteriori. Al contrario, per “delazione” si intende l’elemento oggettivo del fenomeno successorio, e si indica quindi il complesso di diritti, doveri e situazioni giuridiche che, con la morte del de cuius, vengono preservate e imputate ad un altro soggetto il quale può decidere di accettare o rifiutare.  In altri termini, il delato è il soggetto al quale l’ordinamento (per legge o in forza del testamento) rivolge l’offerta di accettare l’eredità, e quindi solo i delati hanno facoltà di accettare l’eredità. Si tratta dunque, come già chiarito, dei chiamati in primo ordine.

Nella maggior parte dei casi, vocazione e delazione si verificano nello stesso momento, all’apertura della successione, ma può anche accadere che “l’offerta” dell’eredità (i.e. la delazione) si realizzi in un secondo momento, in quanto la fattispecie successoria non sempre comporta un effetto devolutivo immediato – si pensi al caso di disposizione testamentaria sottoposta a condizione sospensiva (M. Bianca, Le successioni, Milano, Giuffrè, p.62).

In caso di successione legittima, dapprima sono chiamati i parenti di grado più prossimo e successivamente, nel caso in cui questi non vogliano accettare o non possano, sono chiamati i parenti di grado ulteriore.

Nel caso in esame la ricorrente si affermava successibile ex lege, ai sensi dell’art. 572 c.c., ossia nell’ultimo ordine di successibili, i quali sono chiamati a succedere in mancanza di successibili di grado antecedente. In mancanza, dunque, del coniuge, dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e delle sorelle, l’eredità si devolve ai parenti di grado più vicino, con esclusione di quelli di grado ulteriore. A contrario, i parenti verranno esclusi nell’ipotesi in cui operi l’istituto della rappresentazione a favore dei discendenti dei fratelli e sorelle del defunto, sebbene di grado parentale uguale o più lontano, e sono esclusi dal coniuge (M. Bianca, Le successioni, Milano, Giuffrè, p.247; L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Successione legittima, 6a ed., in Tratt. Cicu, Messineo, Milano, 1999, p. 104). La successione dei parenti viene regolata dal principio del grado, ossia il parente più prossimo esclude tutti gli altri, mentre nell’ipotesi di parità di grado l’eredità si divide per capi. La giurisprudenza è chiara nell’affermare che, qualora siano chiamati alla successione tutti i parenti in quarto grado del de cuius, sia quelli della linea paterna sia quelli della linea materna, l’eredità è devoluta in favore di tutti i chiamati in parti eguali, mentre sembra discutibile che 1’eredità venga devoluta per metà ai parenti del ramo paterno e per metà ai parenti del ramo materno (Trib. Messina 6.9.2016).

Venendo al thema decidendum, non si può non osservare come attraverso la riforma dello stato unico di filiazione, con la legge n. 219/2012 e il d.lgs. n. 154/2013, la norma abbia subito una conseguente modifica in quanto la parentela, ormai, sorge anche in caso di filiazione avvenuta al di fuori del matrimonio – al pari della filiazione in circostanza di matrimonio- sia in caso di adozione, con esclusione dell’adozione dei maggiorenni (M. Bellomo, La parentela: l’evoluzione della nozione nel tempo e gli interventi della giurisprudenza, Diritto di famiglia e delle persone, III, fasc.3, 1 settembre 2020, p. 1181). Per questo motivo, nell’individuare coloro che possono chiamati all’eredità sarà necessario tener conto del nuovo ambito di applicazione della nozione di parentela.

Nel caso in esame, alla successibile era stata riconosciuta la qualità di chiamata, in ragione del suo comprovato di parentela con il de cuius per linea materna, ma le era stato negato altresì l’interesse a impugnare il testamento per l’asserita mancata prova della non esistenza in vita di altri eredi legittimi, per linea paterna di grado poziore. Come osservato dalla Corte di Cassazione, l’impugnazione del testamento non necessita di alcuna una prova che dia certezza, in termini assoluti, dell’inesistenza di successibili in grado poziore essendo sufficiente ricorrere a presunzioni per dimostrarne la sola probabilità. Dunque, per dimostrare il suo grado di parentela, si osserva solo per la linea materna, l’attrice aveva fatto uso di uno dei principali mezzi di prova ossia la prova documentale. Dall’altro lato, le presunzioni, ex art. 2727 c.c., non indicano un mezzo di prova in senso stretto ma sono le conseguenze o il risultato del procedimento logico- deduttivo utilizzato dal giudice, per risalire, partendo da un fatto noto, ad un fatto ignorato. La giurisprudenza ha precisato come “per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’ “id quod plerumque accidit” sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti” (Cass. sez. lav., n. 2632/2014; Cass. civile sez. II, n. 22656/2011; Cass. sez. III, n.12802/2006)

Pertanto tra il fatto noto e quello ignoto non è necessario alcun legame di assoluta ed esclusiva necessità causale ma è sufficiente che il fatto da provare sia conseguenza ragionevolmente possibile del fatto noto, secondo un criterio di normalità (Cass., n. 22656/2011; Cass. sez. Unite, n. 9961/1996). In sostanza, sembra che i giudici di primo grado avrebbero dovuto effettuare un giudizio di probabilità, basato sull’id quod plerumque accidit, per desumere l’inesistenza di ulteriori chiamati all’eredità per il ramo paterno.

Inoltre, l’errore commesso dal Tribunale e dalla Corte d’Appello è stato quello di qualificare lo status di chiamato all’eredità come presupposto necessario per impugnare il testamento. Come osservato dai giudici di legittimità “l’azione diretta a conseguire la nullità del testamento può essere proposta da chiunque abbia un interesse meritevole di tutela, e prescinde dalla qualità di erede dell’attore si distingue nettamente dall’azione di petizione dell’eredità, di cui all’art. 533 c.c., la quale ha come oggetto il riconoscimento, a favore dell’istante, della sua qualità di erede al fine di ottenere la restituzione dei beni ereditari da parte di chi possieda questi a titolo di erede o senza titolo alcuno” (Cass. n. 16/1985). Tuttavia, sembra rilevante osservare come la giurisprudenza ritenga inammissibile per difetto di interesse “l’impugnazione del testamento per incapacità del testatore proposta, ex art. 591 c.c., da eredi legittimi (nella specie, cugini del de cuius) esclusi dall’ordine della successione legittima in conseguenza delle esistenza in vita di altri eredi legittimi di grado poziore (nella specie, le sorelle del testatore) che non abbiano, invece, impugnato la scheda testamentaria, poiché nessun concreto vantaggio potrebbe loro derivare dall’eventuale accoglimento dell’azione così proposta, essendo l’eredità destinata a devolversi, in tal caso, ai detti eredi di grado poziore(Cass. sez. II, n.12291/1998). In sintesi, la Corte ritiene che, come per la pronuncia da ultimo citata, nel caso in cui siano ancora in vita successibili “noti”, individuati, di grado poziore non può esservi un concreto interesse ad impugnare il testamento da parte di un parente di grado inferiore in quanto dall’azione non vi trarrebbe alcun vantaggio. A contrario, secondo quanto osservato dalla Corte di Cassazione, non può negarsi l’interesse se colui che impugna il testamento sia successibile ex lege e vi sia una presunzione sull’inesistenza di successibili di grado poziore.