Il diritto di intervento in assemblea è inscindibilmente connesso al diritto di voto: il nudo proprietario non può intervenire all’assemblea di approvazione del bilancio
di Massimo Di Terlizzi - Studio Pirola Pennuto Zei e Associati Scarica in PDFIntestazione provvedimento: Tribunale di Firenze, Sezione V civile, Sezione specializzata in materia di impresa, Ordinanza del 27 aprile 2019
Parole chiave: società di capitali – diritto di voto – diritto di intervento – diritti amministrativi del socio – diritti parziari – usufrutto su partecipazioni – intervento in assemblea – approvazione del bilancio d’esercizio
Massima: “Va affermato il principio per cui in caso di usufrutto su azioni o quote sociali, spetta all’usufruttuario, e non al socio nudo proprietario, il diritto di partecipare all’assemblea per l’approvazione del bilancio. Da una lettura sistematica delle norme si desume la stretta strumentalità tra la partecipazione in assemblea e l’esercizio del diritto di voto che, ai sensi dell’art. 2352 c.c., spetta all’usufruttuario; l’art. 2370 c.c., ai sensi del quale possono intervenire in assemblea coloro ai quali spetta il diritto di voto, non fa che esprimere un principio di carattere generale derogabile solo nelle ipotesi espressamente previste dal legislatore, tra le quali non rientra quella relativa all’usufrutto”.
Disposizioni applicate: artt. 2352; 2370 e 2471 bis c.c..
Con l’Ordinanza emessa dalla Sezione specializzata in materia di impresa, il Tribunale di Firenze si è espresso sulla tematica dell’esercizio dei diritti sociali in presenza di diritti parziari sulla partecipazione (usufrutto, pegno, sequestro, pignoramento) e, in particolare, in merito alla sussistenza o meno del diritto di intervento in assemblea del socio (nudo proprietario), allorquando la sua partecipazione (in una S.r.l.) sia costituita in usufrutto.
Com’è noto, stante il richiamo di cui all’art. 2471 bis c.c., “Nel caso di pegno o usufrutto sulle azioni, il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria, al creditore pignoratizio o all’usufruttuario. Nel caso di sequestro delle azioni il diritto di voto è esercitato dal custode.” (cfr. art. 2352 c. 1 c.c.). La riforma ha quindi confermato (e previsto espressamente con riferimento al solo sequestro) il principio secondo il quale il diritto di voto spetta al titolare del diritto parziario. Salva la “convezione contraria” delle parti (negozio bilaterale e accessorio al pegno ovvero all’usufrutto) e, secondo l’opinione prevalente, anche dello statuto sociale di prevedere una ripartizione del voto e degli altri diritti ammnistrativi diversa rispetto a quella legale. È invece molto più discussa la “libertà” dell’autonomia statutaria nel caso di sequestri e pignoramenti, in quanto per taluni la regola legale sarebbe, in tal caso, inderogabile (cfr. Massima n. 52/2015, Consiglio Notarile Firenze, secondo cui “Ai sensi dell’art. 2471 bis e 2352, cod. civ., nel caso di sequestro (e pignoramento) di quota di srl il diritto di voto è esercitato dal custode. Tale norma è inderogabile e dunque non è ammissibile l’attribuzione esplicita del diritto di voto a soggetto diverso dal custode, ove questo sia nominato”).
La nuova formulazione dell’art. 2352 c.c. ha inoltre inteso risolvere alcuni dubbi interpretativi che avevano agitato la prassi anteriore al 2003 (considerato che nulla era disposto a riguardo) precisando come “i diritti amministrativi diversi … spettano, nel caso di pegno o di usufrutto, sia al socio sia al creditore pignoratizio o all’usufruttuario; nel caso di sequestro sono esercitati dal custode” (cfr. art. 2352 c. 6 c.c.). Ma, come talvolta accade, di buone intenzioni sono lastricate vie ben poco commendevoli, tant’è che la disposizione citata, per la sua vaghezza terminologica, ha dato luogo ad un accesso dibattito. Gli interpreti si sono infatti interrogati circa le modalità di esercizio, disgiuntive, di tali diritti, nonché su quali “diritti amministrativi diversi” possano essere ricompresi nel perimetro dell’espressione legislativa. Le opinioni sono state abbastanza uniformi (sia nelle S.p.A. che nelle S.r.l.) circa i diritti informativi e di ispezione dei libri sociali ex artt. 2422 e 2476 c. 2 c.c., il diritto di esercitare l’azione sociale di responsabilità ex artt. 2393 bis e 2476 c.c. e, solo nelle S.p.A., il diritto di chiedere la convocazione dell’assemblea ex art. 2367 c.c.. Meno concordi invece sono state le interpretazioni in merito al diritto di impugnativa delle delibere ex artt. 2377 e 2479 ter c.c., vi è infatti chi sostiene che le stesse possano essere impugnate dal solo titolare del voto e ancora, circa la legittimazione attiva del socio, si pone il problema di stabilire se la stessa sussista nei casi in cui il titolare del diritto parziario abbia espressamente votato a favore della delibera.
È evidente come intimamente connesso all’esercizio del voto – e anzi presupposto logico dello stesso – sia il diritto di intervento in assemblea, sicché “possono intervenire all’assemblea coloro ai quali spetta il diritto di voto” (cfr. art. 2370 c.c.). Senza voler anticipare il verdetto dell’Ordinanza in commento è discusso se il diritto di intervento sia riconducibile al perimetro degli “altri diritti amministrativi” (ex art. 2352 c. 6 c.c.) e se esso spetti in via disgiunta anche al socio ovvero se la norma di cui all’art. 2370 c.c. sia inderogabile e quindi attribuisca il diritto di intervento al solo titolare del voto.
Orbene, da una lettura combinata delle disposizioni citate (artt. 2352 e 2370 c.c.), soprattutto all’esito della riforma, si evince un principio generale endosocietario di strumentalità e inscindibilità del fra intervento e voto in guisa che, illustra la Relazione alla riforma del diritto societario, “il diritto di intervento in assemblea è stato reso funzionale all’espressione del voto; si è perciò circoscritto il diritto di intervento ai soli azionisti cui spetta il diritto di voto, così escludendo l’intervento dei nudi proprietari delle azioni”. Infatti fino al 2003 taluni sostenevano che il diritto di intervento costituisse un diritto autonomo e scindibile rispetto al voto.
Nel caso di specie, l’istante (socio-nudo proprietario di una partecipazione di S.r.l.) radicava un cautelare d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 c.p.c., chiedendo di far accertare e dichiarare, a fronte del diniego della società, il proprio diritto di intervento all’assemblea di approvazione del bilancio. Asseriva il ricorrente come tale intervento fosse strumentale non già unicamente ad una sua corretta e completa informativa sull’andamento della gestione societaria ma anche all’eventuale impugnativa della relativa delibera assembleare di approvazione del bilancio. A sostegno della domanda il ricorrente avrebbe invocato il disposto del citato art. 2352, comma 6, c.c. (“… i diritti amministrativi diversi … spettano… sia al socio sia … all’usufruttuario …”) e fra questi, ad avviso del ricorrente, anche il diritto di intervento.
L’iter del Tribunale di Firenze è piuttosto chiaro laddove, laconicamente, osserva da subito come “l’art. 2370 c.c. esprime un principio di carattere generale derogabile solo nelle ipotesi espressamente previste dal legislatore”. La norma citata ad avviso del Giudice deve quindi “essere interpretata restrittivamente: … possono partecipare alle assemblee solo gli azionisti (o i titolari di partecipazioni di s.r.l.) che hanno diritto di voto”.
Secondo il Giudice fiorentino, in altre parole, il diritto di intervenire è strumentale e inscindibilmente collegato al diritto di voto; l’equazione è semplice: può intervenire solo chi può votare. Alle medesime conclusioni è giunta anche la prassi notarile (cfr. massima I.B.11 Triveneto) secondo la quale “il diritto di intervento all’assemblea non può essere riconosciuto sia al socio che al creditore pignoratizio e all’usufruttuario a sensi dell’art. 2352 ultimo comma c.c. ma esclusivamente al creditore pignoratizio e all’usufruttuario in quanto investiti del diritto di voto”.
Prosegue altresì il Tribunale osservando come nel caso di specie il diritto di informativa e l’ulteriore diritto di impugnare del ricorrente “troverebbero piena attuazione indipendentemente dalla partecipazione all’assemblea”. Con riferimento all’impugnativa occorre ricordare come secondo l’opinione maggioritaria il nudo proprietario non sia legittimato a impugnare la delibera pregiudizievole, poiché privo del diritto di voto; ciò, a fortiori, laddove l’usufruttuario abbia, per ipotesi, votato a favore (cfr. supra). Tale “incertezza interpretativa”, della quale pure dà atto l’Ordinanza, sembrerebbe tuttavia mal conciliarsi con la “piena attuazione” quantomeno del diritto di impugnazione di cui all’art. 2479 ter c.c..
Sul punto, prosegue il Tribunale, il socio non rimarrebbe in ogni caso sprovvisto di strumenti di tutela essendo pur sempre legittimato “alla proposizione dell’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori e … domandare al Tribunale l’adozione di provvedimenti cautelari di revoca degli amministratori medesimi” ma, com’è evidente, petitum e causa petendi di tali ultime azioni differiscono diametralmente dal rimedio volto ad annullare la decisione dei soci ex art. 2479 ter e ss. c.c..
Nel bilanciamento di interessi fra quello individuale del socio e quello capitalistico dalla collettività societaria il Tribunale, in definitiva, osserva come nella fattispecie difetterebbe “un apprezzabile interesse economico del socio nudo proprietario, interesse che deve pur sempre sottintendere ogni iniziativa nei confronti della società”.
Il Tribunale di Firenze, in conclusione, ha rigettato il ricorso e, in considerazione del contrasto interpretativo esistente in ordine alla fattispecie esaminata, ha compensato integralmente le spese di lite.