28 Maggio 2024

Diritto di difesa ed economia processuale: il doppio grado di tutela per l’intimante opposto

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Ordinanza del 28.02.2023 n. 5955, Presidente Dott. Frasca, Estensore Dott. Guizzi.

Massima: Nel procedimento di convalida di sfratto per finita locazione l’opposizione dell’intimato determina la conclusione del procedimento sommario e l’instaurazione di un autonomo processo di cognizione ordinaria, con la conseguenza che il locatore può introdurre a fondamento della domanda una “causa petendi” diversa da quella originariamente formulata, purché la nuova domanda risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta con l’atto introduttivo del procedimento sommario.

CASO

Tizio, locava a Caia e Sempronia un immobile ad uso abitativo di sua proprietà mediante contratto transitorio stipulato l’11 dicembre 2012, con termine in data 30 novembre 2013, accordandosi per la corresponsione di un canone mensile pari ad € 380,00 da versare entro il quinto giorno di ogni mese.

Alla scadenza del contratto, le anzidette conduttrici si sottraevano dall’obbligo di rilasciare l’immobile, omettendo altresì di saldare l’ultimo canone mensile residuo.

Il locatore Tizio, pertanto, adiva il Tribunale di Palermo per ivi ottenere la convalida dello sfratto per finita locazione già notificato alle conduttrici.

Comparse all’udienza di convalida, Caia e Sempronia, proponevano opposizione alla domanda attorea rilevando che il contratto per cui era lite fosse un contratto di locazione ordinaria di durata quadriennale.

Il Tribunale del Capoluogo siciliano, sulla scorta di detti motivi, rigettava la richiesta di convalida e rilevata la necessità di provvedere all’esperimento della procedura di mediazione ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. 28/2010, pertanto rinviava il giudizio ad una nuova udienza, assegnando altresì un termine perché le parti integrassero i rispettivi atti introduttivi.

Nelle more dell’udienza fissata dal Giudice del merito, si svolgeva ritualmente la procedura di mediazione la quale si concludeva con verbale di accordo negativo.

L’intimante precisava che, ove in denegata ipotesi il giudice avesse riscontrato la sussistenza di un contratto di locazione a canone libero della durata di quattro anni, le intimate, ad ogni modo, non avrebbero goduto del diritto di occupare ovvero detenere detto locale abitativo, avendo le stesse maturato una apprezzabile morosità dal mese di novembre 2013 in poi.

Le intimate depositavano memoria integrativa con la quale, solo una delle due, avanzava domanda riconvenzionale con cui censurava la violazione del dovere di buona fede contrattuale per aver il locatore concluso un contratto transitorio benchè fosse riscontrabile una “assenza di qualunque esigenza di tal fatta”.

A detta domanda riconvenzionale, si opponeva il locatore ribadendo la domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento contrattuale avuto riguardo all’ammontare della morosità maturata dalle conduttrici.

La Corte territoriale, in esito al giudizio di primo grado, con sentenza n. 2896 del 2 maggio 2015, accertava e dichiarava la natura quadriennale del contratto dedotto nella vertenza, rigettava, da ultimo, la domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento delle conduttrici in quanto ritenuta domanda nuova rispetto a quella formulata nell’atto introduttivo che aveva ad oggetto la richiesta di convalida di sfratto per finita locazione, ritenendo la domanda ontologicamente diversa.

Avverso detta sentenza, l’attore in primo grado interponeva appello innanzi la Corte d’Appello di Palermo.

Con sentenza n. 1309 del 5 settembre 2018, la Corte distrettuale rigettava il gravame confermando integralmente la decisione del giudice delle prime cure.

Soccombente in secondo grado Tizio proponeva ricorso per Cassazione sulla base di un unico motivo.

La trattazione del ricorso veniva fissata ai sensi dell’art. 380 bis, comma 1, c.p.c.

Il ricorrente depositava memoria.

Non risultavano alcune conclusioni scritte depositate dal Procuratore presso la Corte di Cassazione.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 5955 del 28 febbraio 2023, accolto il ricorso proposto dal ricorrente, disponeva la cassazione della sentenza impugnata e rinviava la causa alla Corte d’Appello di Palermo, in diversa composizione, per la decisione della controversia, nonché per la liquidazione delle spese del giudizio, comprese quelle del giudizio di legittimità.

QUESTIONI

Con il primo ed unico motivo il ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 665 e 667 c.p.c., oltre che degli artt. 426-420 c.p.c. “applicati al rito locatizio”, nonché degli artt. 101, 112 e 115 c.p.c., e violazione del D.Lgs. n. 28 del 2010 sulla mediazione.

Tizio censurava la decisione d’appello per aver il giudice di seconde cure riscontrato nella di lui attività difensiva, la proposizione di una domanda nuova, così integrando una c.d. mutatio libelli.

La Corte palermitana, infatti, a conferma di quanto statuito dal giudice del primo grado, qualificava come nuova, la domanda avanzata in sede di mediazione nonché in occasione del deposito della memoria integrativa, ex art. 426 c.p.c., volta all’ottenimento della risoluzione giudiziale del contratto di locazione controverso in ragione dell’inadempimento contrattuale delle conduttrici per mancato pagamento dei canoni.

A fondamento della propria censura il ricorrente poneva il consolidato orientamento per cui nel procedimento per convalida di sfratto, a seguito dell’opposizione avanzata dall’intimato si instaura un giudizio ordinario nuovo ed autonomo rispetto al rito speciale anzidetto.

L’oggetto di detto giudizio di cognizione, pertanto, sarà perfezionato mediante la combinazione “degli atti della fase sommaria e delle memorie integrative di cui all’art. 426 c.p.c., potendo in particolare, la parte intimante non solo emendare le proprie domande, ma anche modificarle, soprattutto in dipendenza delle difese svolte da controparte”.

La Corte di Cassazione riteneva tale motivo fondato.

Quanto al motivo di ricorso, invece, è cogente evidenziare quanto segue.

Il procedimento per convalida di sfratto, per cui è lite, si caratterizza in quanto procedimento sommario speciale, previsto e disciplinato dalle norme di cui agli artt. 657-669 c.p.c..

Detto procedimento sommario, condivide con il ricorso per ingiunzione – anch’esso caratterizzato dalla sommarietà della cognizione – la finalità.

Segnatamente scopo ultimo del procedimento per convalida di sfratto al pari del procedimento monitorio è quello di ottenere in un termine piuttosto breve un valido e legittimo titolo esecutivo.

Nel caso di specie, il titolo esecutivo ottenuto mediante il procedimento di cui all’art. 657 ss. c.p.c. – nelle forme dell’ordinanza di convalida di sfratto – permette al locatore di riottenere, in via d’esecuzione coatta, la disponibilità dell’immobile a fronte della morosità dei conduttori che ivi permangono (c.d. sfratto per morosità), ovvero a fronte dell’illegittima detenzione o occupazione dell’immobile, da parte di quest’ultimi, a seguito dello spirare del termine pattiziamente previsto dai contraenti (c.d. sfratto per finita locazione).

Orbene, nell’ambito di un giudizio per convalida di sfratto, qualora il convenuto comparendo all’udienza di convalida proponga opposizione, la fase a carattere sommario termina, determinando al contempo l’instaurazione di un nuovo giudizio, questa volta a cognizione piena secondo le modalità del rito ordinario.

In questa seconda “fase” processuale, “le parti possono esercitare tutte le facoltà connesse alle rispettive posizioni, ivi compresa per il locatore la possibilità di porre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da quella originariamente formulata, e per il conduttore la possibilità di dedurre nuove eccezioni e di spiegare domanda riconvenzionale”, secondo quanto costantemente sostenuto e confermato dalla giurisprudenza di legittimità[1].

Ciò in ossequio alla decennale pronuncia a Sezioni Unite del 2015 n. 12310 che circa la possibilità dell’attore di mutare, e non solo emendare, la domanda formulata con l’atto introduttivo si è così espressa “la modificazione della domanda ammessa ex art. 183 cod. proc. civ. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali. Ne consegue l’ammissibilità della modifica, nella memoria ex art. 183 cod. proc. civ., dell’originaria domanda formulata ex art. 2932 cod. civ. con quella di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo”.

Infatti, sul punto il Supremo Collegio, precisa che “ridurre la modificazione ammessa ad una sorta di precisazione o addirittura di mera diversa qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto” avrebbe come conseguenza di “costringere la parte che abbia meglio messo a fuoco il proprio interesse e i propri intendimenti in relazione ad una determinata vicenda sostanziale” a “rinunciare alla domanda già proposta per proporne una nuova in una altro processo, in contrasto con i principi di conservazione degli atti e di economia processuale, ovvero a continuare il processo perseguendo un risultato non perfettamente rispondente ai propri desideri ed interessi, per poi eventualmente proporre una nuova domanda (con indubbio spreso di attività e risorse) dinanzi ad un altro giudice[2].

Orientano, pertanto, detta interpretazione ragioni puramente processuali relative al diritto di difesa dell’intimante-attore, che altrimenti si troverebbe in maniera ingiustificata innanzi ad una compressione del suo diritto ad ottenere una piena tutela; nonché ragioni squisitamente di carattere economico in un’ottica di coerente e ragionevole allocazione delle risorse processuali che, altrimenti, in denegata ipotesi, verrebbero impiegate per una dispendiosa duplicazione di attività giudiziaria e difensiva.

Posto quanto finora argomentato, la Sezioni Unite, impongono quale unico limite alla sostituzione della domanda l’identità dei soggetti parte del rapporto processuale, c.d. personae, e che il libello così modificato, riguardi comunque la stessa vicenda sostanziale dedotta in giudizio dall’intimante-attore con la domanda principale o che ad essa sia in ogni caso collegata – il che si ritiene ricavabile “da tutte le indicazioni contenute nel codice in relazione alle ipotesi di connessione a vario titolo, ma soprattutto se si considera in particolare che […] la domanda modificata si presenta certamente connessa a quella originaria quanto meno per alternatività[3].

Nel caso in esame la Corte di ultima istanza, constatava che nulla impediva al locatore attore, già intimante nel giudizio per la convalida dello sfratto per finita locazione, di proporre a seguito di opposizione delle intimate – in ordine alla natura transitoria del contratto concluso – domanda per l’accertamento e la dichiarazione di risoluzione del contratto per inadempimento avuto riguardo alla morosità di Caia e Sempronia.

A tal proposito affermando che “tanto appare a maggior ragione giustificato in una ipotesi come quella dell’art. 667 c.p.c., in cui si passa dalla cognizione sommaria alla piena”.

La Corte di Cassazione per tali ragioni accoglieva integralmente il ricorso proposto da Tizio e rimetteva la causa alla Corte di Appello di Palermo perché, in diversa sezione e composizione, adottasse la decisione nel merito oltre che sulle spese processuali.

[1] Ex multis cfr. Cass. Civ. ord. n. 17955/21.

[2] Sul punto si veda supra Cass. Civ. SS.UU, cit.

[3] Sul punto si veda supra Cass. Civ. SS.UU, cit.

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