18 Settembre 2018

Diritto all’oblio e diritto di satira: presupposti e limiti secondo la Cassazione

di Daniele Calcaterra, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ. Sez. I Ord., 20/03/2018, n. 6919, Pres. Tirelli, Rel. Valitutti

Persona fisica e diritti della personalità – Diffusione di immagini relative a episodio risalente – Diritto all’oblio – Notorietà del soggetto rappresentato – Illiceità – Presupposti (c.c. art. 10, 2043)

[1] Va cassata la sentenza di merito che, con riguardo alla diffusione di immagini relative a un episodio inidoneo ad aprire un dibattito di pubblico interesse (nella specie, rifiuto perentorio, da parte di un artista, di concedere un’intervista) a distanza di un lustro dalla loro registrazione, abbia escluso la violazione del diritto all’oblio in ragione della fama del personaggio rappresentato (molto noto, ma non investito di un ruolo primario nella vita pubblica).

Responsabilità civile – Diffamazione, ingiurie ed offese – Diritto di satira – Espressioni lesive dell’altrui reputazioni – Ammissibilità – Limiti (c.c. art. 10, 2043)

[2] La satira costituisce una modalità corrosiva e spesso impietosa del diritto di critica, sicché, diversamente dalla cronaca, è sottratta all’obbligo di riferire fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto, pur soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito. Conseguentemente, nella formulazione del giudizio critico, possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, purché siano strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o comportamento preso di mira e non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato.

CASO                                                                                                                                  

[1-2] Un noto cantautore italiano citava in giudizio una primaria emittente televisiva, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per effetto della messa in onda di un servizio che riproduceva un episodio concernente un tentativo di intervista, non andato a buon fine per il rifiuto del cantante, registrato dalla troupe della medesima trasmissione circa cinque anni prima, e già mandato in onda a quell’epoca dalla stessa emittente televisiva. Il tutto corredato da un nuovo commento ritenuto dal cantante lesivo della propria immagine.

Il giudice del merito rigettava, in primo e in secondo grado, la domanda.

Il cantante proponeva quindi ricorso per cassazione denunciando, tra l’altro, il fatto che il giudice del merito, con riferimento alla seconda trasmissione, avesse ritenuto inesistente il dedotto diritto all’oblio ed avesse inoltre considerato scriminato il carattere lesivo dei commenti alle immagini, dal legittimo esercizio del diritto di satira.

SOLUZIONE

[1-2] La S.C ritiene assorbente, rispetto ad ogni altra censura sollevata dal ricorrente, la valutazione in ordine alla dedotta illegittimità della trasmissione televisiva, per violazione del diritto all’oblio conseguente alla messa in onda di immagini registrate cinque anni prima, e all’affermato carattere lesivo della reputazione del ricorrente dei commenti che accompagnavano le immagini.

La Cassazione accoglie il ricorso e cassa con rinvio, dopo un’attenta analisi del diritto all’oblio e dei limiti di questo, nonché di ciò che debba intendersi per legittimo esercizio del diritto di satira.

QUESTIONI

[1] L’ordinanza in esame è di particolare interesse perché la Corte esamina le radici del diritto all’oblio, ponendo in evidenza come questo sia sempre stato inteso nella giurisprudenza europea e nazionale. Viene posto l’accento, in particolare, sull’esigenza di un contemperamento tra due diversi diritti fondamentali che vengono in gioco in questi casi: da un lato, il diritto di cronaca, posto al servizio dell’interesse pubblico all’informazione, e, dall’altro, il diritto della persona a che certe vicende della propria vita non vengano più diffuse dai media, ove non presentino più i caratteri dell’attualità, non potendo soddisfare un interesse apprezzabile della collettività a conoscerle.

Nello specifico, la Corte richiama anzitutto un paio di precedenti recenti della giustizia europea.

Nel primo caso, la Corte di Giustizia UE (Corte Giustizia, 13/05/2014, C131/12, Google Spain), chiamata ad esaminare il trattamento di dati personali da parte di un motore di ricerca, aveva posto l’accento sulla ricerca di un giusto equilibrio tra l’interesse degli utenti di Internet all’informazione e i diritti fondamentali della persona, previsti dall’art. 8 della CEDU e dagli artt. 7 e 8 della Carta di Nizza, nonché dall’art. 12, lett. b) e dall’art. 14, comma 1, lett. a) della Direttiva 95/46/CE (relativa alla tutela delle persone fisiche). La Corte aveva qui affermato che, in linea di principio, i diritti fondamentali della persona prevalgono non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse del pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona, con l’unica eccezione del caso in cui risulti, per ragioni particolari (ad esempio, per il ruolo ricoperto dalla persona nella vita pubblica), che l’ingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dall’interesse preponderante del pubblico ad avere accesso all’informazione di cui trattasi.

Nel secondo caso, la Corte EDU (Corte EDU, 19/10/2017, Fuschsmann c/o Germania) –  con riferimento ad una vicenda nella quale un cittadino tedesco, che rivestiva una posizione politica ed imprenditoriale di grande rilievo nel suo Paese, aveva chiesto la cancellazione dal Web dei dati informativi relativi ad un episodio di collusione con la criminalità russa risalente a diversi anni prima, ripubblicati a distanza di diversi anni dalla stampa – aveva ritenuto che l’interesse del pubblico all’informazione prevalesse su quello del singolo all’oblio, ma sulla base di specifici e tassativi criteri, la cui sussistenza deve essere sempre riscontrata. Secondo la Corte europea, infatti, in primo luogo l’articolo deve contribuire ad alimentare un dibattito di interesse pubblico, in relazione al grado di notorietà del soggetto; occorre, poi, in secondo luogo, avere riguardo alle modalità impiegate per ottenere l’informazione e al contenuto della pubblicazione, che devono, non soltanto riferirsi a notizie vere, accertate come tali sulla base di fonti affidabili e verosimili, ma devono essere altresì non eccedenti rispetto allo scopo informativo.

La Cassazione esamina anche la giurisprudenza nazionale, evidenziano come questa si sia allineata a quanto statuito dalle Corti europee.

Ad esempio in tema di diffamazione a mezzo stampa, il diritto del soggetto a pretendere che le proprie vicende personali passate non siano pubblicamente rievocate trova limite nel diritto di cronaca solo quando sussista un interesse effettivo e attuale alla loro diffusione, perché quanto recentemente accaduto renda le vicende pregresse tutt’ora attuali (Cass., 24/06/2016, n. 13161; Cass., 26/06/2013, n. 16111; Cass., 5/04/2012, n. 5525).

E perfino con riferimento alla conservazione di dati contenuti in registri tenuti da soggetti pubblici (ad esempio una Camera di Commercio), l’interessato non ha diritto ad ottenere la cancellazione dei dati iscritti ed è legittima la loro conservazione, ma solo quando essa sia prevista dalla legge e costituisca una misura necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del Paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui (Cass., 09/08/2017, n. 19761).

Secondo la Cassazione, quindi, l’intero quadro normativo e giurisprudenziale porta alla conclusione che il diritto fondamentale all’oblio può subire una compressione, a favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca, ma solo in presenza di specifici e determinati presupposti che la stessa Corte si premura di precisare e che sono: 1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia a un dibattito di interesse pubblico; 2) l’interesse effettivo e attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia (per ragioni di giustizia, di polizia o di tutela dei diritti e delle libertà altrui, ovvero per scopi scientifici, didattici o culturali), da reputarsi mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo o, peggio, meramente economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l’immagine; 3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato, per la peculiare posizione rivestita nella vita pubblica e, segnatamente, nella realtà economica o politica del Paese; 4) le modalità impiegate per ottenere e nel dare l’informazione, che deve essere veritiera (cioè attinta da fonti affidabili e con un diligente lavoro di ricerca), diffusa con modalità non eccedenti lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, scevra da insinuazioni o considerazioni personali, sì da evidenziare un esclusivo interesse oggettivo alla nuova diffusione; 5) la preventiva informazione circa la pubblicazione o trasmissione della notizia o dell’immagine a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della sua divulgazione al grande pubblico.

In assenza di tali presupposti, conclude la Corte, la pubblicazione dell’informazione integra senz’altro la violazione del fondamentale diritto all’oblio.

Tratti i principi, la Cassazione va al caso concreto portato alla sua attenzione arrivando ad affermare che mancano i presupposti per affermare la prevalenza del diritto di cronaca sul diritto all’oblio.

Ciò vuoi perché il cantante è personaggio certamente molto noto, ma non ha un ruolo primario nella vita pubblica nazionale, vuoi perché il servizio riproposto non serve ad aprire un dibattito di pubblico interesse, né risponde a ragioni di giustizia, sicurezza pubblica o di interesse scientifico o didattico, che possano giustificare una nuova diffusione della vicenda da parte di una trasmissione televisiva.

Di più. I commenti posti a corredo delle immagini sono diretti a far apparire il cantante come una persona costantemente scortese ed antipatica e, per di più, ormai sul viale del tramonto, con un pregiudizio all’identità personale dell’artista del tutto evidente.

[2] La Cassazione indaga poi se la lesività dei commenti alle immagini possa essere discriminata dal legittimo esercizio del diritto di satira.

La satira costituisce una modalità impietosa del diritto di critica, per cui, diversamente dalla cronaca, è sottratta all’obbligo di riferire esclusivamente fatti veri, in quanto esprime mediante il paradosso e la metafora surreale un giudizio ironico su di un fatto; ma è pur sempre soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia sociale o politica perseguito.

È quindi vero che possono essere utilizzate espressioni di qualsiasi tipo, anche lesive della reputazione altrui, ma devono pur sempre essere strumentalmente collegate alla manifestazione di un dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento preso di mira, non invece un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione del soggetto interessato (in questo senso, Cass., 17/09/2013, n. 21235; Cass., 28/11/2008, n. 28411).

Ciò induce la Corte a escludere, nel caso di specie, la sussistenza dei connotati tipici della satira, dovendo ritenersi che i commenti siano diretti ad una mera ed ingiustificata denigrazione dell’artista.

Da qui, per l’uno e per l’altro motivo, la cassazione della sentenza, che, per i principi espressi, si presta a dare adito a un dibattito sul tema dei rapporti tra diritto all’oblio, da un lato, e libertà di manifestazione del pensiero, dall’altro, che può ritenersi solo all’inizio (sul punto, Pardolesi-Bonavita, Diritto all’oblio e buio a mezzogiorno, in F. it., 2018, 4, I, 1151ss.).