29 Ottobre 2024

Diritto alla provvigione del mediatore: il contratto preliminare può considerarsi atto conclusivo dell’affare?

di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2024, n. 2359 – Pres. Orilia – Rel. Criscuolo

[1] Obbligazioni e contratti – Contratto di mediazione – Diritto alla provvigione – Contratto preliminare – Atto conclusivo dell’affare

 (Cod. civ. artt. 1755).

[1] “Al fine di riconoscere il diritto alla provvigione al mediatore ex art. 1755 c.c., l’affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore se sia validamente costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l’esecuzione del contratto. Pertanto, anche un contratto preliminare di compravendita deve considerarsi atto conclusivo dell’affare, salvo che le parti abbiano inteso derogare alla disciplina legale attribuendo il diritto alla provvigione al momento della sottoscrizione del contratto definitivo di compravendita.”

CASO

[1] Una società di intermediazione otteneva dal Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo per la somma di 142.000,00 ed accessori, a titolo di provvigione per l’attività di mediazione prestata in favore di Tizio che gli aveva conferito l’incarico per la conclusione di un preliminare di compravendita e del successivo contratto definitivo.

Tizio proponeva atto opposizione deducendo che la proposta di acquisto e l’impegno alla corresponsione della provvigione non erano stati da lui sottoscritti, a differenza, invece, del preliminare e che, in ogni caso, il diritto del mediatore alla provvigione era inesistente o nullo per non essere stati rispettati gli obblighi di indipendenza e di imparzialità, nonché quelli di informazione e di diligenza, per avere preso parte alla volontà di occultare all’acquirente i vizi dell’immobile.

Il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo.

La Corte di Appello di Roma, invece, decidendo sul gravame proposto da Tizio, accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, revocava il decreto ingiuntivo.

Il giudice d’appello, in particolare, rilevava come l’esigibilità della provvigione non era legata ad un termine certo quanto piuttosto alla condizione della stipula del contratto definitivo. Il mancato verificarsi di tale condizione, circostanza certa in quanto non contestata alla luce di una sentenza del Tribunale di Civitavecchia, passata in giudicato, che aveva dichiarato risolto il preliminare, determinava il venir meno del diritto alla provvigione. Emergeva, inoltre, che nell’atto di impegno sottoscritto da Tizio, su modulo predisposto dalla società di intermediazione, la corresponsione della provvigione era legata alla stipula del rogito notarile, il che denotava che le parti volevano consapevolmente derogare alla disciplina di cui all’art. 1755 c.c. secondo cui il diritto alla provvigione nasce con la conclusione dell’affare che coincide con la stipula del preliminare. Le parti avevano subordinato, quindi, il pagamento della provvigione, alla stipula del contratto definitivo. Il mancato verificarsi di questa condizione, non riconducibile alla volontà o a condotta imputabile al soggetto obbligato, era pacificamente riconducibile a plurimi inadempimenti della parte promittente alienante, verso la quale la società di intermediazione non aveva inteso agire per il pagamento della medesima provvigione.

Avverso la suddetta sentenza, la società di intermediazione proponeva ricorso per Cassazione.

SOLUZIONE

[1] Per quanto di interesse, con il secondo motivo la ricorrente si duole della violazione e della falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1364 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. in quanto, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, dalla lettura della clausola 4) di cui alla proposta sottoscritta da Tizio si evince che il compenso è stato pattuito per la data prevista per la firma del contratto definitivo, e non in conseguenza della stipula del rogito notarile. L’impegno alla provvigione è dunque completo di tutti gli elementi e non può essere interpretato in base ad atti il cui contenuto non è conoscibile dal mediatore, sia perché successivi, sia perché intervenuti inter alios.

Con il terzo motivo, invece, la ricorrente evidenzia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1755 e 1757 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per avere la Corte territoriale travisato il senso della nozione di affare rilevante ai fini del riconoscimento della provvigione, ritenendo che le parti abbiano inteso derogare alla norma relativa al momento del perfezionativo del diritto alla provvigione, quando la pattuizione non sposta tale momento ma si limita solo a stabilire da quale momento dovrà essere pagata, individuando inoltre esattamente la data in cui si prevede tale effetto. Inoltre, il giudice di secondo grado, qualifica il negozio come condizionato, per giungere alla conclusione che, a seguito della risoluzione del preliminare di compravendita, non si è verificata la condizione prevista ed il compenso non è pertanto dovuto. Tale ricostruzione, secondo la società ricorrente, appare erronea e illegittima poiché la clausola sottoscritta tra promittente acquirente e mediatore non costituisce alcuna deroga agli artt. 1755 e 1757 c.c. con la conseguenza che il diritto alla provvigione in capo alla società attrice sussiste nonostante al preliminare non faccia seguito la stipula del contratto definitivo.

QUESTIONI

[1] La sentenza della Corte di Cassazione indicata in epigrafe merita attenzione in quanto chiarisce quali effetti si producono nei confronti del mediatore nel caso in cui le parti, con la stipula del preliminare, abbiano condizionato il pagamento della sua provvigione differendolo al momento della stipula del contratto definitivo ma tale condizione (ossia la stipula del definitivo) non si verifica per sopravvenute vicende che riguardino le parti obbligatesi con il preliminare.

La Suprema Corte, in particolare, ha censurato la conclusione cui è pervenuta la Corte d’Appello che ha ritenuto che le parti, e precisamente la società di intermediazione ed il promissario acquirente (o meglio colui la cui attività è stata poi ratificata dal promissario acquirente con la conclusione del preliminare), avessero in realtà sottoposto a condizione il diritto al pagamento della provvigione, prescindendo quindi dalla stipula del preliminare, e concludendo per la necessità di concludere il definitivo affinché sorgesse il diritto del mediatore alla provvigione.

La Cassazione, in primo luogo, rammenta che, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, nel contratto di mediazione il diritto alla provvigione di cui all’art. 1755 c.c. sorge nel momento in cui può ritenersi intervenuta la conclusione di un affare, ossia quando fra le parti messe in contatto dal mediatore si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna ad agire per l’esecuzione (o risoluzione) del contratto stesso. Di conseguenza, la provvigione spetta al mediatore anche quando questi sia intervenuto per consentire la stipula tra le parti di un contratto preliminare di vendita (Cass. n. 20132/2022)

Le parti possono sottoporre il diritto alla provvigione ad una condizione, come nel caso in cui al preliminare di vendita concluso con l’intervento del mediatore sia apposta una condizione sospensiva, che si atteggia sul piano processuale alla stregua di un’eccezione in senso lato, con la conseguenza che essa non è soggetta alle preclusioni processuali (Cass. n. 24838/2022 e più di recente        Cass. n. 17919/2023)

Sebbene l’affare deve ritenersi concluso quando tra le parti poste in relazione dal mediatore si sia validamente costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna di esse ad agire per l’esecuzione del contratto, e quindi anche un contratto preliminare di compravendita, tuttavia è ben possibile che le parti deroghino alla disciplina legale attribuendo il diritto alla provvigione al momento della sottoscrizione del contratto definitivo di compravendita (Cass. n. 9676/1997).

Poste tali premesse, la Suprema Corte ha affermato come al fine di derogare alla generale regola ricavata dall’applicazione dell’art. 1755 c.c. che ricollega alla conclusione del preliminare la nozione di affare rilevante ex art. 1755 c.c., ai fini dell’insorgenza del diritto alla provvigione, la deroga alla disciplina legale avrebbe dovuto essere connotata dall’utilizzo di espressioni di maggiore significatività, non potendo nel caso di specie la sola omissione del termine “data”, deporre in maniera certa per la volontà di condizionare ad un evento ulteriore il diritto del mediatore (cfr. altresì Cass. n. 21575/2017 che sottolinea come nell’esegesi dell’accordo con il mediatore debba farsi riferimento anche ai principi di buona fede e correttezza).

Di conseguenza, in questi casi, al fine si stabilire se il mediatore abbia o meno diritto a riscuotere la provvigione, secondo la Corte di Cassazione, occorre fare riferimento sia al criterio letterale-sistematico sia alla ratio emergente dal contratto da interpretare nell’ottica del rispetto delle regole generali della correttezza e della buona fede.

Alla luce dei suesposti principi la Corte di Cassazione, in accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso, ha cassato la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

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