Il diritto al compenso dell’esecutore testamentario
di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDFCass. Civ., Sez. 2, Ordinanza n. 24798 del 12/08/2022
Successioni “mortis causa” – successione testamentaria – esecutori testamentari – in genere Mancata previsione del compenso da parte del testatore – Previsione da parte degli eredi – Effetti.
Massima: “La retribuzione a favore dell’esecutore testamentario non soltanto può essere disposta dal testatore, come prevede l’art. 711 cod. civ., ma è altrettanto possibile, in assenza di disposizione testamentaria “ad hoc”, che il compenso per l’opera prestata sia convenuto tra gli eredi e l’esecutore; tuttavia, mentre la retribuzione prevista dal testatore è a carico dell’eredità secondo quanto dispone l’art. 711 cod. civ., l’impegno autonomamente assunto dagli eredi non è idoneo a diminuire l’attivo ereditario in pregiudizio dei creditori ereditari e dei legatari, ma vincola soltanto i successori che l’abbiano stretto, nei cui confronti l’esecutore dispone di un diritto azionabile per ottenere quanto promessogli”.
Disposizioni applicate
Codice Civile, articolo 711
[1] Tizia, nel proprio testamento, nominava Caio e Mevio quali esecutori testamentari, senza espressamente prevedere alcun compenso a loro favore.
In previsione dell’accettazione dell’incarico, gli eredi testamentari avevano sottoscritto una dichiarazione del seguente tenore: “in relazione alla nomina ad esecutore (…), Vi preghiamo di volere accettare l’incarico che sarà da noi retribuito con addebito a carico dell’eredità a semplice presentazione delle Vostre parcelle redatte sulla base delle vigenti tariffe professionali, con contestuale rimborso delle spese”.
Accettato ed eseguito l’incarico, gli esecutori avevano chiesto l’adempimento della scrittura, ottenendo il pagamento solo da alcuni dei firmatari. Agivano, pertanto, in giudizio nei confronti degli altri per ottenere il saldo.
I convenuti si costituivano contestando la pretesa e promuovevano separati giudizi, poi riuniti, per la restituzione degli acconti percepiti dagli esecutori in remunerazione dell’opera prestata.
Il Tribunale di primo grado rigettava la domanda degli esecutori accogliendo la domanda restitutoria dei convenuti. La sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte d’appello, che ha riconosciuto la nullità dell’accordo intercorso fra gli esecutori e gli eredi, e ciò in applicazione della norma dell’art. 711 cod. civ. osservando che tale norma sancisce la gratuità dell’incarico, a meno che il testatore non abbia stabilito una retribuzione a carico dell’eredità.
Dal momento che, nel caso in esame, una tale previsione non era ravvisabile nel testamento, la stessa corte di merito, ha concluso che l’impegno assunto dagli eredi, essendo in contrasto con la norma, non costituiva titolo idoneo a giustificare la pretesa degli esecutori testamentari.
[2] Caio e Mevio hanno proposto ricorso in Cassazione, sostenendo, per quanto qui di interesse, che l’art. 711 cod. civ. debba essere inteso nel senso che i compensi dell’esecutore, quando non dipendano dalla volontà del testatore ma siano stati liberamente pattuiti dagli eredi, non possono essere posti a carico dell’eredità, con pregiudizio dei legatari e dei creditori ereditari. Salvo tale limite, non sarebbe vietato agli eredi di assumere in proprio l’obbligazione di retribuire gli esecutori.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendo tale motivo fondato.
Nella propria motivazione, essa ricorda innanzitutto come “l’art. 711 cod. civ., pur riaffermando, in linea di principio, la gratuità dell’incarico, ha ammesso la possibilità che il testatore stabilisca una retribuzione a favore dell’esecutore e a carico dell’eredità, salvo, in ogni caso, il diritto dell’esecutore testamentario di ripetere le spese sostenute per l’esercizio dell’ufficio”.
Anche qualora il testatore non abbia previsto alcun compenso a favore dell’esecutore, è ben possibile che questo sia convento tra gli eredi e l’esecutore stesso. In tale ipotesi, “l’esecutore testamentario maturerà il diritto al compenso in virtù di un impegno che vincola soltanto i successori che l’abbiano stretto”, posto che la prestazione non trova fondamento nella volontà del testatore. Secondo gli Ermellini, dunque, “l’impegno assunto dagli eredi, sebbene non idoneo a diminuire l’attivo ereditario in pregiudizio dei creditori ereditari e dei legatari, è sorretto da una causa lecita, disponendo pertanto l’esecutore di un diritto azionabile per ottenere quanto promessogli”.
[3] La sentenza in commento appare in contrasto con un precedente giurisprudenziale richiamato dalla Corte d’Appello nella propria decisione. Con la pronuncia n. 17382 del 30/08/2004, effettivamente, la Suprema Corte era venuta ad affermare che “per l’espletamento dell’incarico di esecutore testamentario non è prevista una retribuzione, salvo che questa non sia stabilità dallo stesso testatore a carico dell’eredità” e che “se per un verso, la gratuità dell’ufficio di esecutore testamentario appare difficilmente conciliabile con la più che probabile e verosimile onerosità e gravosità dell’espletamento delle attività, a volte non semplici, ad esso connesse (ved. artt. 703 – 709 cod. civ.), e se, per altro verso, ed evidentemente proprio per questo, è data la possibilità a chi è stato investito di un compito basato, oltre che sull’intuitu personae, sulla stima e la fiducia che il testatore ha avuto per il designato, di rinunciarvi (art. 702 cod. civ.), deve ritenersi che proprio siffatta alternativa, offerta dalla legge all’esecutore nominato dal testatore (art. 700 cod. civ.), consente di interpretare univocamente e ragionevolmente la disposizione de qua; nel senso che la gratuità dell’ufficio da essa prevista si spiega con la possibilità che il soggetto che ne è investito ha di non accettare l’incarico, sottraendosi, in tal modo, agli oneri derivanti dall’espletamento dello stesso, ovvero di espletarlo e di sobbarcarsi viceversa a tutte le incombenze che vi sono connesse, senza poter reclamare alcun compenso, salvo che questo non sia stato stabilito dal testatore e salvo, comunque, il suo diritto a ripetere le spese sostenute per l’esercizio dell’ufficio”.
Sono gli stessi giudici, nella pronuncia oggetto della presente nota, a dirimere tale apparente conflitto, ritenendo che il richiamato precedente, correttamente inteso, non supporti la tesi, fatta propria dalla sentenza impugnata, secondo cui l’accordo fra esecutore ed eredi, con il quale sia pattuito un compenso non previsto dal testatore, sarebbe nullo per contrarietà a norma imperativa.
Essi affermano che “in quella occasione la Corte di cassazione ha deciso una lite nella quale, in assenza di previsione del testatore, il giudice di merito aveva riconosciuto un compenso in favore dell’esecutore testamentario, in forza del rilievo che gli eredi avevano conferito per iscritto un mandato congiunto all’esecutore. In relazione a tale ratio decidendi, oggetto di uno dei motivi di ricorso, la Corte di legittimità osservò che, «una volta escluso, sulla base delle considerazioni più sopra svolte, che il diritto […] alla retribuzione, per l’attività svolta quale esecutore testamentario, trovi fondamento nella legge, deve parimenti escludersi che il menzionato mandato possa costituire esso stesso, comunque, titolo idoneo a sorreggere la pretesa di pagamento del compenso da lui avanzata nei confronti della […], non rinvenendosi, nella sentenza impugnata, alcuna indicazione circa gli effettivi atti che, diversi da quelli già rientranti nella normale competenza dell’esecutore testamentario (ved. artt. 703-709 cod. civ.) e come tali non retribuibili, egli avrebbe dovuto compiere (e, in effetti, avrebbe compiuti), in esecuzione del mandato e per i quali avrebbe dovuto essere, invece, normalmente retribuito ai sensi dell’art. 1709 cod. civ. In altri termini, la corte non ha dato debito conto delle ragioni per cui, a suo giudizio, il […] – al quale non spetta, come si è detto, la retribuzione per l’attività svolta quale esecutore testamentario – avrebbe diritto, in ogni caso, al compenso in virtù del mandato conferitogli dagli eredi e, quindi, per gli atti o le attività compiuti in esecuzione del mandato medesimo»”. Con tale sentenza, la Cassazione avrebbe solo chiarito che “nell’ipotesi il testatore non abbia contemplato alcuna retribuzione in favore dell’esecutore testamentario, l’ufficio di esecutore testamentario, circoscritto all’attuazione della volontà del de cuius, rimane gratuito, pure in presenza di mandato degli eredi, spettando al giudice del merito valutare se, oltre agli atti che rientrano nella normale competenza dell’esecutore testamentario (e, come tali, non retribuibili ove sia assente la volontà mortis causa in favore della retribuzione), questi abbia effettivamente compiuto atti diversi, che debbano essere compensati ad altro titolo”.
Conclude, dunque, la sentenza in commento che “il principio, sancito da Cass. n. 17382 del 2004, lascia del tutto impregiudicata la diversa questione, rilevante in questa sede, della validità dell’impegno, autonomamente assunto dagli eredi in assenza di disposizione testamentaria ad hoc, di corrispondere un compenso all’esecutore testamentario designato dal testatore. In conformità all’opinione prevalente in dottrina, deve riconoscersi che un siffatto impegno è certamente sorretto da una causa lecita. Invero, ciò che l’art. 711 cod. civ. impedisce, in assenza di disposizione testamentaria che stabilisca un compenso a vantaggio dell’esecutore, non è la possibilità degli eredi di riconoscere ugualmente la retribuzione, ma piuttosto la possibilità di considerare la retribuzione, in ipotesi da essi autonomamente riconosciuta all’esecutore, alla stregua di quella prevista dal testatore, e cioè a carico dell’eredità”.
[4] Le conclusioni cui giunge la Suprema Corte (attraverso argomentazione non sempre immediatamente intellegibili) sposano, dunque, quella autorevole dottrina che da sempre afferma la possibilità di accordi tra eredi ed esecutori testamentari in ordine alla retribuzione dovendosi, piuttosto, spostare il campo di analisi da quello della liceità a quello dell’inquadramento di tali accordi.[1] In assenza di previsione testamentaria, infatti, gli eredi potrebbero voler mostrare la loro gratitudine all’esecutore per l’attività prestata mediante il riconoscimento di una somma a titolo di liberalità. Diversamente, potrebbe rinvenirsi un vero e proprio accordo a titolo oneroso: in simili ipotesi – come anche precisato dalla Cassazione nella nota in commento – il diritto al compenso non deriva dalla disposizione mortis causa (e non graverà, dunque, sulla massa ereditaria né potranno gli eredi obbligati giovarsi di una eventuale accettazione con beneficio d’inventario) e, pertanto, maturerà solo nei confronti dei soggetti che avranno sottoscritto il patto che, certamente, rimarrà lecito.
La pronuncia in commento fornisce, altresì, l’occasione per una breve disanima più generale in ordine al compenso dell’esecutore testamentario.
Sovente, tale incarico viene conferito a persone legate da rapporti di amicizia che superano la mera fiducia che certamente caratterizza l’istituto. Per tale ragione, spesso non viene indicato alcun compenso a titolo di retribuzione; piuttosto, è riconosciuto un piccolo lascito, costituente più che altro un ricordo del defunto.
Non può, tuttavia, negarsi che nell’epoca più recente la nomina dell’esecutore testamentario si sia sempre più distaccata dai rapporti di amicizia, per divenire una diposizione dettata dalla sempre più avvertita esigenza di vedere realizzate volontà testamentarie anche complesse. Ciò ha portato all’affidamento dell’incarico a soggetti nei confronti dei quali il testatore riponeva fiducia in ragione, non di un rapporto amicale, bensì delle loro qualità o competenze professionali. In tali ipotesi, difficilmente l’incarico sarà conferito (e diametralmente accettato) senza il riconoscimento di una retribuzione; non di rado, tuttavia, non vi sarà una esatta quantificazione della somma da riconoscere, ma il semplice rinvio a parametri oggettivi quali il richiamo alla tariffa professionale vigente per la categoria di appartenenza dell’esecutore incaricato. Parte della dottrina ritiene, addirittura, che anche in assenza di specifica indicazione in tal senso da parte del testatore possa presumersi che egli abbia voluto riferirsi a detto parametro.[2]
A giudizio di autorevole dottrina, infine, l’ammontare della retribuzione può essere, dal testatore, anche demandata ad un terzo o all’arbitrium boni viri dell’erede.[3]
In assenza di indicazioni atte ad individuare l’ammontare della retribuzione, essa dovrà essere stabilita d’accordo tra eredi ed esecutore, o, in caso di mancato accordo, dall’autorità giudiziaria.[4]
Indipendentemente dal soggetto beneficiario della disposizione retributiva, la considerazione che tale lascito sia strettamente connesso all’attività di esecutore porta la dottrina più attenta[5] a ritenere che qualora il lascito non ecceda il valore dell’attività prestata, debba intendersi fatta a titolo remuneratorio, con ogni conseguenza in ordine alla sua (non) riducibilità in caso di lesione dei diritti di un legittimario. Allorché, invece, il lascito dovesse eccedere un’equa retribuzione dell’attività svolta si avrà un vero e proprio legato.
La differenza non è di poco conto, considerato che, qualora sia configurabile in termine di legato, il lascito sarà, oltre che riducibile, soggetto ad imposta di successione. Inoltre, venendo a rivestire la qualità di legatario, all’esecutore non potrà essere demandata la divisone dell’eredità ex art. 706 cod. civ.[6]
[1] Per una più compiuta analisi, si rinvia a BONILINI, Degli esecutori testamentari, in Codice Civile Commentario fondato da P. Schlesinger, Milano, 2005, pagg. 606 ss.; nonché, dello stesso autore La remunerazione dell’esecutore testamentario, in Famiglia Persona e Successioni, 2005, pag. 441 ss.. Si vedano, anche, ALBANESE, Degli esecutori testamentari, in Commentario del codice civile Scialoja – Branca – Galgano, Artt. 679-712, Bologna, 2015, pagg.388 ss.; CRISCUOLI, Il testamento. Norme e casi, Padova, 1995, pag. 516
[2] In tal senso si esprime ALBANESE, op. cit., pag. 389
[3] BONILINI, L’esecutore testamentario, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, a cura di Bonilini, Tomo 2 – La successione testamentaria, Milano, 2009, pag. 1905
[4] Secondo Trib. Varese del 25/07/2012, qualora il compenso, genericamente previsto dal testatore, non venga concordato tra eredi ed esecutore potrà essere determinato dal giudice non in sede camerale, bensì contenziosa
[5] Per tutti, si veda BONILINI, Degli esecutori testamentari, op.cit., pag. 614
[6] Evidenzia puntualmente tali aspetti ALBANESE, op. cit., pag. 392
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