Il diritto di abitazione non può sussistere se la casa era di proprietà del de cuius e di un terzo
di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDFCassazione civile, sez. II, 28 maggio 2021, n. 15000 – SAN GIORGIO– Presidente – ORICCHIO – Relatore
Diritto di abitazione e uso – Successione Legittima
(C.c. art. 540 c.c)
“Il diritto di abitazione del coniuge superstite si origina solo se la casa adibita a residenza familiare era di proprietà del coniuge defunto o di proprietà comune tra i coniugi. Ciò non accade, invece, se la proprietà apparteneva in comunione al coniuge defunto e a un altro soggetto, diverso dal coniuge superstite.”
CASO
La controversia in esame attiene alla successione ab intestato del de cuius F.M., in relazione alla quale la moglie di primo letto, la B., e figli convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Roma l’odierna ricorrente R., moglie di secondo letto del defunto. Gli attori chiedevano la divisione dei beni immobili relati dal de cuius, in particolare dell’abitazione occupata dalla convenuta (moglie di secondo letto). Altresì, chiedevano la condanna al pagamento di indennità per occupazione e solo la moglie di primo letto chiedeva la restituzione di mobili e gioielli contenuti nella già casa coniugale. La R. aderiva alla domanda di divisione chiedendo, in via riconvenzionale, il riconoscimento del proprio diritto di abitazione sul suddetto appartamento ed, in via subordinata, la dilazione della divisione della medesima unità immobiliare ai sensi dell’art. 1111 c.c.. Il Tribunale dichiarava aperta la successione ed individuava i beni costituenti l’asse ereditario, rigettando la domanda di restituzione della B. e le domande riconvenzionali della R.. Successivamente, si provvedeva come da atti alla divisione. Avverso la sentenza del giudice di primo grado interponevano appello, in via principale, la R. ed appello incidentale le originarie parti attrici. L’adita Corte, rigettando l’appello principale e dichiarando inammissibile quello incidentale, escludeva l’acquisto, da parte della R. (moglie di secondo letto del de cuius), del diritto di abitazione ed uso degli arredi della casa coniugale già di comproprietà del defunto e della moglie di primo letto del de cuius.
R.T.I. ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Roma.
SOLUZIONE
Per il ricorso veniva disposta la rimessione alla pubblica udienza, stante i contrasti giurisprudenziali inerenti sul tema e afferenti alla possibilità o meno dell’acquisizione del diritto di abitazione in favore del coniuge di defunto in caso di comproprietà con terzi dell’immobile adibito ad abitazione familiare. Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 540 c.c., comma 2 e art. 720 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Invero, la ricorrente lamenta non il mancato riconoscimento del diritto di uso, bensì la sua mancata valorizzazione in controvalore pecuniario. La Corte di Cassazione, respingendo tale doglianza, chiarifica che non sussiste alcuna possibilità di autonoma “valorizzazione pecuniaria” se viene riconosciuto il diritto all’abitazione ed uso, che della invocata valorizzazione è elemento prodromico necessario. Sul punto, i giudici di legittimità richiamano l’orientamento seguito da Cassazione n. 6691 del 23 maggio 2000 ove si afferma il principio che “a norma dell’art. 540 c.c., il presupposto perchè sorgano a favore del coniuge superstite i diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano è che la suddetta casa e il relativo arredamento siano di proprietà del “de cuius” o in comunione tra lui e il coniuge, con la conseguenza che deve negarsi la configurabilità dei suddetti diritti nell’ipotesi in cui la casa familiare sia in comunione tra il coniuge defunto ed un terzo“. Pertanto, ragionando in termini contrari, secondo la pronuncia in esame, si assisterebbe alla creazione di uno statuto speciale del diritto di proprietà dell’ex coniuge non previsto da alcuna disposizione di legge, né configurabile in assenza di apposita previsione normativa. Dunque, l’impossibilità di configurare, nel caso di specie quel diritto di abitazione e d’uso in favore del coniuge superstite, implica pertanto l’impossibilità di conseguire la richiesta valorizzazione monetaria.
A conclusione del ragionamento de quo la Corte rigetta il ricorso.
QUESTIONI
La sentenza in commento chiarisce e ripropone i contrasti giurisprudenziali nati in relazione alla possibilità per il coniuge superstite dell’acquisizione del diritto di abitazione in caso di comproprietà con terzi dell’immobile adibito ad abitazione familiare. In primo luogo, il legislatore con l’attribuzione del diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni, ha inteso tutelare, oltre l’interesse economico del coniuge superstite a disporre di un alloggio, l’interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e di consuetudine con la casa familiare (Calvo, Il diritto di abitazione del coniuge tra regole e valori, in Riv. Trim. proc. Civ., 2006, p. 20ss; Ferrentino – Ferrucci, Il diritto di uso e di abitazione del coniuge superstite: analisi e questioni nella dottrina e nella giurisprudenza, in Vita Notarile, 2002, III, CCII ss.). Un noto orientamento della Corte di Cassazione ha chiarito, infatti, che “oggetto della tutela dell’art. 540, secondo comma, non è il bisogno dell’alloggio ma sono altri interessi di natura non patrimoniale, riconoscibili solo in connessione con la qualità di erede del coniuge, quali la conservazione della memoria del coniuge scomparso, il mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status symbols goduti durante il matrimonio, con conseguente inapplicabilità, tra l’altro, dell’art. 1022 cod. civ., che regola l’ampiezza del diritto di abitazione in rapporto al bisogno dell’abitatore” (Corte Costituzionale, 26/05/1989, n. 310). Chiarita la finalità della norma, si deve anche evidenziare che i diritti de quo gravano sulla porzione disponibile e, in caso di incapienza, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli. Venendo al cuore dell’analisi svolta dalla Cassazione in commento, i giudici di legittimità si sono principalmente chiesti se la norma trovi applicazione anche nei casi di comproprietà con terzi della casa familiare. In primo luogo, la pronuncia in esame aderisce alle conclusioni della pronuncia di Cassazione n. 6691 del 23 maggio 2000 la quale, a sua volta, faceva propria la tesi con la quale si affermava che “i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la arredano, previsti in favore del coniuge superstite, presuppongono per la loro concreta realizzazione l’appartenenza della casa e del relativo arredamento al de cuius o in comunione a costui e all’altro coniuge, non potendo estendersi a carico di quote di soggetti estranei all’eredità nel caso di comunione degli stessi beni tra il coniuge defunto e tali altri soggetti” (Cassazione civile sez. II, 22/07/1991, n.8171). Sulla stessa scia, la sentenza di Cassazione del 26 febbraio 2004, n. 15594, benché in una fattispecie diversa da quella in esame, ha affermato che “ il principio della conversione del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite nel suo equivalente monetario nell’ipotesi in cui la residenza familiare del “de cuius” sia ubicata in un immobile in comproprietà, – e, per la l’indivisibilità dell’immobile, non possa attuarsi il materiale distacco della porzione spettante al coniuge qualora l’immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente – è applicabile anche all’ipotesi in cui, a seguito della vendita all’incanto dell’immobile ritenuto indivisibile, si verrebbe inevitabilmente a creare la convergenza sullo stesso bene del diritto di proprietà acquisito dal terzo aggiudicatario e del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite”. Tuttavia, con un’isolata pronuncia, si è affermato (traendo spunto dalla disciplina del legato), che “la titolarità del diritto di abitazione riconosciuto dall’art. 540 c.c., al coniuge superstite sulla casa adibita a residenza familiare, che, costituendo “ex lege” oggetto di un legato, viene acquisita immediatamente da detto coniuge, secondo la regola dei legati di specie (art. 649 c.c., comma 2), al momento dell’apertura della successione, ha necessario riferimento al diritto dominicale spettante sull’abitazione al de cuius. Pertanto, nel caso in cui la residenza familiare del de cuius sia sita in un immobile in comproprietà, il diritto di abitazione del coniuge superstite trova limite ed attuazione in ragione della quota di proprietà del coniuge defunto, con la conseguenza che ove per l’indivisibilità dell’immobile non possa attuarsi il materiale distacco della porzione dell’immobile spettante e l’immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente, deve farsi luogo all’attribuzione dell’equivalente monetario di quel diritto senza che – non ricorrendo l’ipotesi di legato di prestazione obbligatoria – possa verificarsi l’effetto estintivo per impossibilità della prestazione, previsto dall’art. 673 c.c., comma 2” (Cass. civ., Sez. II, 10/03/1987, n. 2474). Anche in dottrina si sono registrati diversi orientamenti. Parte della dottrina (Gabrielli, Commento sub. art. 540 cod. civ., in Comm. Dir. It. Fam. a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, p. 57; Falzone Calvisi, Il diritto di abitazione del coniuge superstite, Napoli, 1993, p. 132; Vicari, I diritti di abitazione ed uso riservati al coniuge superstite, in Diritto della famiglia e delle persone, 1978, p. 1329 ss.) ha affermato che il diritto di abitazione e uso spetterebbe al coniuge superstite anche nell’ipotesi in cui la casa familiare sia in comproprietà con terzi. Il termine “comune” si riferirebbe non solo all’ipotesi dell’immobile comune ai coniugi ma anche al caso di comunione fra il coniuge morto ed altri chiamati alla successione o terzi. Secondo questo orientamento, il diritto di abitazione sorgerebbe limitatamente alla quota di comproprietà del defunto.
Altra opinione, basata sulle affermazioni della sentenza di Cassazione n. 2474/1987, ritiene che se la residenza familiare del de cuius è sita in un immobile in comproprietà con terzi, il diritto di abitazione spettante al coniuge superstite si converte in equivalente monetario. Il diritto all’abitazione, quindi, troverebbe limite ed attuazione in ragione della quota di proprietà del coniuge defunto, cosicché, ove per indivisibilità del bene non possa attuarsi il materiale distacco della porzione dell’immobile e lo stesso venga assegnato per intero ad altri, si fa luogo all’attribuzione dell’equivalente monetario del diritto di abitazione medesimo.
Ad ogni buon conto, l’orientamento più recente e denominate, sancito anche dalla citata Cass. n. 6691/2000, nega l’attribuzione del diritto di abitazione in caso di comproprietà della casa familiare con terzi. Secondo autorevole dottrina (Finelli, Il diritto di abitazione non spetta al coniuge superstite se la casa familiare è in comunione con terzi, in Dir. Fam. 2001, p.167; Finocchiaro, La riforma del diritto di famiglia, Milano, 1975, p. 2295) l’espressione contenuta nell’art. 540 c.c., 2 comma, “se di proprietà del defunto o comuni” indicherebbe che la proprietà deve appartenere al defunto o ad entrambi i coniugi, secondo le regole della comunione ordinaria o legale ex art. 177 ss.. Quindi, nel caso di specie non si verificano i presupposti per la nascita del diritto di abitazione ed uso, non essendo realizzabile l’intento del legislatore di assicurare in concreto al coniuge il pieno godimento dei beni oggetto dei diritti stessi. Il criterio interpretativo seguito dalla sentenza in commento e, prima ancora, da Cass. n. 6691/2000, è pienamente fondato sul presupposto che la figura dell’ex coniuge comproprietaria di immobile con il de cuius non può che configurare, nel caso preso in esame, un motivo ostativo all’applicabilità a favore del coniuge superstite dei diritti di abitazione della casa adibita ad abitazione familiare. Conseguentemente, l’impossibilità di configurare il diritto di abitazione e d’uso in favore del coniuge superstite, implica anche l’impossibilità di conseguire la richiesta di valorizzazione monetaria.