Difesa personale della parte e liquidazione del compenso professionale
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. II, 8 novembre 2023, n. 31141, Pres. Manna, Est. Fortunato
[1] Processo civile – Difesa personale – Liquidazione secondo le regole della soccombenza e in base alle tariffe professionali
La circostanza che l’avvocato si sia avvalso della facoltà di difesa personale prevista dall’art. 86 c.p.c. non incide sulla natura professionale dell’attività svolta e, pertanto, non esclude che il giudice debba liquidare in suo favore, secondo le regole della soccombenza e in base alle tariffe professionali, gli onorari stabiliti per la prestazione resa.
CASO
[1] Avverso un decreto di pagamento di spese di giustizia pronunciato dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, proponeva opposizione ex art. 170, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 una delle parti del processo che, in tale giudizio, si era difesa personalmente ai sensi dell’art. 86 c.p.c.
Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, pur modificando parzialmente il decreto opposto, negava all’avvocato il rimborso delle spese processuali della fase di opposizione, riconoscendogli soltanto il diritto agli esborsi effettuati.
Tale ordinanza è stata fatto oggetto, da parte dell’avvocato, di ricorso per cassazione. Con l’unico motivo formulato il ricorrente denunciava, a norma dell’art. 360, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., lamentando che il Tribunale nulla avesse liquidato a titolo di spese processuali della fase di opposizione, benché il ricorrente, nel dichiarare di volersi difendere in proprio, si fosse avvalso della qualifica di avvocato e fosse poi risultato totalmente vincitore.
SOLUZIONE
[1] La Cassazione dichiara fondato il motivo proposto.
Secondo la Suprema Corte competevano dunque al ricorrente gli onorari del giudizio di opposizione.
È vero, infatti, che l’avvocato, nel proporre la medesima, aveva dichiarato di volersi difendere in proprio e di avvalersi della qualifica professionale; ma la circostanza che si fosse avvalso della facoltà di difesa personale prevista dall’art. 86 c.p.c. non ha inciso sulla natura professionale dell’attività svolta e, pertanto, non poteva escludere il dovere del giudice di liquidare in suo favore, secondo le regole della soccombenza e in base alle tariffe professionali, gli onorari stabiliti per la prestazione resa (in tal senso, Cass., 18 febbraio 2019, n. 4698; Cass., 31 gennaio 2008, n. 2193).
La Cassazione accoglie, pertanto, l’unico motivo di ricorso, cassando l’ordinanza con rinvio al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, in persona di altro giudice, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
QUESTIONI
[1] La questione sottoposta all’attenzione della Cassazione attiene alla spettanza, al soggetto che si avvalga della possibilità di difendersi personalmente ai sensi dell’art. 86 c.p.c., del rimborso di tutte le spese di lite ordinariamente spettanti all’avvocato che assista un soggetto all’interno di un giudizio civile.
A questo proposito, è noto come nel nostro ordinamento viga, quale regola generale, l’obbligo, in capo alla parte, di avvalersi del patrocinio di un difensore iscritto all’albo degli avvocati, come stabilito dall’art. 82 c.p.c.
Le uniche eccezioni ammesse sono considerate: a) dal medesimo art. 82 c.p.c., che ha riguardo alle cause davanti al giudice di pace di valore non eccedente i 1.100 euro (oltreché ai casi in cui sia il giudice di pace medesimo, in considerazione della natura ed entità della causa, ad autorizzare la parte a stare in giudizio personalmente); b) dal successivo art. 86 c.p.c., che ammette la difesa personale della parte quando questa presenti «la qualità necessaria per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso il giudice adito».
La qualità richiesta dall’art. 86 c.p.c. affinché la parte possa stare in giudizio personalmente è dunque di essere un avvocato legalmente esercente la professione in quanto iscritto nel relativo albo professionale. Ciò significa, evidentemente, che nel giudizio di legittimità la difesa personale è consentita solo se la parte risulti iscritta all’albo degli abilitati a esercitare il patrocinio davanti alle giurisdizioni supreme (Cass., 22 agosto 2002, n. 12348).
L’esercizio dello ius postulandi nel proprio interesse, peraltro, non va esente dal rispetto delle regole vigenti per il caso in cui l’avvocato agisca su mandato di un cliente: ciò significa, nello specifico, che quando l’avvocato esercita il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori dal circondario del tribunale di riferimento, egli è tenuto a eleggere domicilio nel luogo in cui ha sede l’autorità giudiziaria adita.
Il potere di stare in giudizio personalmente, a norma dell’art. 86 c.p.c., non richiede però il rilascio di apposita “procura a sé stesso” (in tal senso, la già citata Cass., n. 12348/2002): la volontà di assumere la propria difesa può infatti essere desunta dal fatto stesso che l’attività processuale è svolta direttamente dalla parte che dichiari di avere le qualità richieste dalla legge.
Venendo all’aspetto specificamente affrontato dal provvedimento in commento – ossia se, nel caso di difesa personale ex art. 86 c.p.c., alla parte-avvocato spettino gli onorari ordinariamente spettanti per lo svolgimento dell’attività professionale -, la Suprema Corte si esprime in senso positivo, richiamando alcuni precedenti della giurisprudenza di legittimità. In riferimento è, specialmente, a Cass., 18 febbraio 2019, n. 4698, la quale ha affermato, appunto, che “La circostanza che l’avvocato si sia avvalso della facoltà di difesa personale prevista dall’art. 86 c.p.c. non incide sulla natura professionale dell’attività svolta e, pertanto, non esclude che il giudice debba liquidare in suo favore, secondo le regole della soccombenza e in base alle tariffe professionali, i diritti e gli onorari stabiliti per la prestazione resa”, conseguentemente cassando la pronuncia con la quale il giudice del merito, accolta l’opposizione spiegata personalmente dall’avvocato avverso il decreto di liquidazione dei compensi per l’attività difensiva espletata in favore del cliente, ammesso a patrocinio a spese dello Stato, aveva omesso di regolare le spese dell’opposizione, adottando la formula “nulla per spese” (conf., in precedenza, Cass., 9 gennaio 2017, n. 189; Cass., 18 settembre 2008, n. 23847; Cass., 31 gennaio 2008, n. 2193; Cass., 27 agosto 2003, n. 12542).
L’elemento dirimente ai fini della possibilità di ottenere la liquidazione dei compensi professionali, però, è stato recentemente ribadito da Cass., 21 gennaio 2019, n. 1518, la quale ha opportunamente precisato che “in tema di giudizi in cui è consentita alla parte la difesa personale ex art. 82 c.p.c., è onere dell’interessato, che rivesta la qualità di avvocato, specificare a che titolo intenda partecipare al processo, poiché, mentre la parte che sta in giudizio personalmente non può chiedere che il rimborso delle spese vive sopportate, il legale, ove manifesti l’intenzione di operare come proprio difensore ex art. 86 c.p.c., ha diritto alla liquidazione delle spese secondo la tariffa professionale (conf., in precedenza, Cass., 9 luglio 2004, n. 12680). Nella specie, la Suprema Corte aveva confermato la sentenza di appello che aveva negato la liquidazione delle spese in base alla tariffa professionale ad un avvocato che, in una controversia avanti al giudice di pace, non aveva dedotto di volere provvedere alla difesa personale, ma si era limitato a qualificarsi in atti, oltre che con il proprio nome, anche con il titolo professionale.
Dunque, per poter maturare il diritto alla liquidazione delle spese processuali e dei compensi professionali, è altresì imprescindibile che la parte legittimata a stare in giudizio personalmente ex art. 86 c.p.c. dichiari di operare come difensore di sé stessa: circostanza che, nella fattispecie decisa dal provvedimento in commento, risulta positivamente integrata, con conseguente correttezza della decisione assunta dalla Cassazione.
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