Profili generali e prescrizione quinquennale dell’azione individuale di responsabilità, ex art. 2476 comma 6 cc, dal giorno “in cui il fatto si è verificato”
di Gian Luca Grossi - Studio Pirola Pennuto Zei & AssociatiMarcello Guerzoni - Studio Pirola Pennuto Zei & Associati Scarica in PDFIntestazione provvedimento: Tribunale di Roma, Sezione specializzata in materia di imprese Sentenza n. 7050/2019 del 19 febbraio 2019 (pubblicata il 1° aprile 2019)
Parole chiave: azione di responsabilità dei creditori sociali – natura extracontrattuale – risarcimento del danno – danno non patrimoniale
Massima: “Con riferimento all’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori, il sesto comma dell’art. 2476 c.c. non riproduce quanto previsto in punto di prescrizione per l’analogo rimedio esperibile da soci e terzi nei confronti degli amministratori di società per azioni (“L’azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo”); pertanto, dovendosi escludere – a norma dell’art. 14 disp. prel. c.c. – la applicabilità in via analogica alle società a responsabilità limitata della “speciale” disposizione in tema di prescrizione trasfusa nel secondo comma dell’art. 2395 c.c., non può che ritenersi applicabile, con riferimento al rimedio di cui al sesto comma dell’art. 2476 c.c., la disposizione di portata generale contenuta nell’art. 2497 c.c. secondo cui la prescrizione in materia di diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito decorre dal giorno “in cui il fatto si è verificato”, dovendosi intendere per tale non già la semplice condotta illecita ma l’evento lesivo nel suo complesso, comprensivo, dunque, della lesione della sfera giuridica altrui.”
Disposizioni applicate: 2394 – 2395 – 2476 – 2497 e 2949 c.c.
Con la sentenza n. 7050/2019 del 19 febbraio 2019 (pubblicata il 1° aprile 2019), in commento, il Tribunale di Roma, Sezione sedicesima civile specializzata in materia di imprese, ha ripercorso, obiter dictum, i caratteri delle azioni di responsabilità di cui al comma sesto dell’art.2476 e 2394 cc, con particolare riferimento, fra l’altro, al dies a quo di decorrenza del relativo termine prescrizionale.
La pronuncia del Tribunale di Roma, per inciso, originava da un caso di inadempimento contrattuale, derivante dalla mancata consegna del certificato di abitabilità relativo ad un immobile, ad uso abitativo, venduto da una società di costruzioni (una S.r.l.). L’attore avrebbe infatti richiesto l’accertamento e la condanna della Società e del suo amministratore unico al risarcimento dei danni subiti e, solo incidentalmente, in sede di prima memoria (ex art. 183, sesto comma, n. 1, cpc) – senza introdurre alcuna specifica domanda in tal senso – avrebbe ritenuto “necessario esperire contestualmente un’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore unico … con il suo comportamento, era stato la causa diretta dei danni subiti”.
La Sezione sedicesima, con riferimento alla domanda proposta nei confronti della Società, ha subito cura di precisare come l’istante abbia radicato la propria azione “allorquando era già vanamente decorso il termine decennale di prescrizione”. Infatti, contrariamente a quanto dedotto dall’attore, l’inadempimento della società venditrice, sussisterebbe già nel momento in cui, con l’immissione dell’acquirente nel possesso materiale e giuridico del bene, “venga omessa la consegna allo stesso del certificato di abitabilità”. È dunque da tale data, afferma il Tribunale che “decorre il termine decennale di prescrizione dell’azione volta a far valere la responsabilità risarcitoria per inadempimento”.
Quanto, poi, alle pretese risarcitorie azionate nei confronti dell’amministratore unico il Tribunale osserva come l’attore “avesse svolto deduzioni oltremodo generiche, tali da non consentire neppure di individuare, senza incertezze, lo specifico titolo di responsabilità invocato”. Quest’ultimo infatti aveva richiamato sia le norme dettate in tema di S.p.A. – evidentemente, in modo del tutto ultroneo – dagli artt. 2394 e 2395 cc (rispettivamente, azione di responsabilità verso i creditori sociali e azione individuale di responsabilità promossa dal socio o dal terzo direttamente danneggiato da atti colposi e/o dolosi dell’amministratore) sia la norma in tema di S.r.l. dettata dal sesto comma dell’art. 2476 cc, in sede di memoria.
Pertanto il Tribunale di Roma passa in rassegna i rimedi citati in favore dei creditori sociali.
Con riferimento all’azione individuale spettante ai soci e ai terzi, ai sensi del sesto comma dell’art. 2476 cc, la Corte, una volta affermata la i) natura di “species delle forme di responsabilità extracontrattuale” e come la stessa ii) sia volta a risarcire il socio o il terzo direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi del patrimonio sociale da parte degli amministratori (cfr., specularmente, in tema di S.p.A., l’art. 2395 c.c.), osserva come ciò rilevi “non solo ai fini del riparto dell’onere della prova ma anche in relazione al regime della prescrizione”. Invero, “il diritto del terzo al risarcimento dei danni cagionati direttamente al suo patrimonio dalle condotte dolose o colpose dell’amministratore di società si prescrive nel termine di cinque anni, che decorre dal verificarsi dell’evento lesivo” ossia dal momento “in cui il fatto si è verificato”. Dovendosi intendere per tale – secondo la prevalente giurisprudenza – non già la semplice condotta illecita, ma l’evento lesivo nel suo complesso (comprensivo, dunque, della lesione della sfera giuridica altrui). Peculiare è anche, ricorda il Tribunale, il nesso causale richiesto dall’art. 2476 c. 6 c.c., giacché il danno subito dal socio o dal creditore sociale deve derivare, secondo un rapporto di consequenzialità diretta e immediata, dal contegno degli amministratori, essendo pertanto richiesta “la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente” (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 8 settembre 2015, n. 17794).
Quanto poi al secondo dei rimedi indicati, a mente dell’art. 2394 c.c., gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale (primo comma). Presupposti necessari per l’esperimento dell’azione citata devono ritenersi, ad avviso del Tribunale, “a) la veste di creditore sociale in capo all’istante; b) l’esistenza di un pregiudizio patrimoniale per il creditore, costituito dall’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfarne le ragioni di credito; c) la condotta illegittima degli amministratori; d) un rapporto di causalità tra pregiudizio e condotta, dovendosi, peraltro, commisurare l’entità del danno alla corrispondente riduzione della massa attiva disponibile in favore del medesimo creditore istante”.
Fatte tali considerazioni, di ordine generale, la Corte osserva con riferimento alla fattispecie che la pretesa risarcitoria azionata deve comunque disattendersi “alla luce dell’eccezione di prescrizione tempestivamente sollevata dalla parte convenuta” essendo fuor di dubbio “che, alla data in cui è stato notificato l’atto introduttivo del giudizio … era da tempo vanamente decorso il termine quinquennale di prescrizione dell’azione ex art. 2476, VI co., c.c.”.
Il Tribunale, proseguendo la propria disamina del caso, ricorda come per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di una società di capitali “non sia sufficiente invocare genericamente il compimento di atti di mala gestio e riservare una più specifica descrizione di tali comportamenti nel corso del giudizio, atteso che per consentire alla controparte di approntare un’adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio, la causa petendi deve, sin dall’inizio, sostanziarsi nell’indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale”.
Quanto innanzi affermato vale, a ben vedere, tanto ove venga esercitata un’azione sociale di responsabilità (art. 2394 cc) quanto laddove venga esperita un’azione dei creditori sociali (art. 2476 comma 6 cc), perché anche “la mancata conservazione del patrimonio sociale può generare una responsabilità in relazione alla violazione di doveri legali o statutari che devono essere identificati nella domanda nei loro estremi fattuali” (in tal senso, Cass. Civ., Sez. I, 27 ottobre 2006, n. 23180).
Ad ogni buon conto, osserva il Tribunale per completezza di argomentazione che, in ogni caso, le doglianze svolte da parte attrice “non potrebbero giammai valere a fondare la responsabilità … ex art. 2476, VI co., c.c. o, anche, ex art. 2043 c.c., non avendo, l’attore, allegato, a fondamento delle pretese azionate, null’altro che l’inadempimento di una obbligazione gravante … in forza del contratto di vendita di immobile concluso con tale società”.
Nel caso di specie l’inadempimento contrattuale, compiutosi nel maggio del 2000 (anno del rogito di compravendita), rappresenterebbe, secondo il Tribunale, il dies a quo dal quale far decorrere il termine quinquennale di prescrizione dell’azione ex art. 2476 c. 6 c.c., giacché “è solo a causa di detto inadempimento contrattuale che si è concretamente prodotto in capo all’asserito creditore il pregiudizio che lo stesso paventa come propedeutico della domanda de qua”.
In conclusione, il Tribunale di Roma ha pertanto rigettato le domande dell’attore ponendo le spese di lite secondo soccombenza.