Deposito telematico e certificazione della presenza nel fascicolo dei documenti indicati dalla parte
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. un., 11 ottobre 2023, n. 28403, Pres. Ferro
[1] Deposito telematico – Attività di accettazione del cancelliere – Valenza di certificazione della presenza nel fascicolo dei documenti indicati dalla parte – Esclusione – Fondamento
Nel deposito telematico l’accettazione da parte del cancelliere di un atto, che si conclude con un elenco di altri atti o documenti che si intende depositare, non costituisce certificazione dell’effettiva presenza nel fascicolo dei documenti indicati dalla parte, poiché il cancelliere non procede ad alcuna sottoscrizione dell’indice della parte, con la conseguenza che solo il buon fine dell’autonomo deposito telematico degli atti cc.dd. secondari o di corredo complementare determina la loro appartenenza al fascicolo informatico.
CASO
[1] Il provvedimento che si commenta è reso all’esito di un’impugnazione per revocazione ex art. 395, n. 4), c.p.c., proposta contro un’ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione che aveva deciso un ricorso presentato avverso una sentenza del Consiglio Nazionale Forense.
In particolare, l’ordinanza impugnata aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto in considerazione del mancato deposito, in una al ricorso medesimo (ossia, in data 21/07/2022), di copia autentica della decisione impugnata, come stabilito dall’art. 369, 2°co., c.p.c., deposito attuato solamente il successivo 05/09/2022, dunque tardivamente.
Il ricorso per revocazione proposto denunciava l’errore di fatto contenuto in tale ordinanza, nella misura in cui le Sezioni Unite sarebbero incorse in una “mera svista materiale”, ritenendo tardivo e successivo il deposito della sola sentenza impugnata, a dispetto di un primo deposito della stessa avvenuto invece regolarmente e contestualmente al deposito del ricorso; secondo il ricorrente, la prova del predetto deposito – avvenuto in via telematica sul PCT il 21/07/2022 e offerta in dimostrazione da due screen shots tratti da una visura effettuata su un portale di accesso – si evinceva dalle indicazioni dell’apposito “allegato”, richiamato al n. 3 dell’indice in calce al ricorso, corroborato in via indiretta dalla conferma di regolare ricezione della cancelleria (limitatasi a sollecitare il pagamento del contributo unificato e di quello integrativo), mentre il deposito del 05/09/2022 era stato effettuato dalla parte dopo avere constatato, a seguito di accesso al portale, la “non visibilità” proprio di alcuni allegati originari.
SOLUZIONE
[1] La Cassazione dichiara l’infondatezza del ricorso per revocazione proposto.
A giustificazione della propria decisione, la Suprema Corte invoca il consolidato orientamento secondo cui, per la configurabilità dell’errore revocatorio, è richiesta l’integrazione di un errore di fatto, che ricorre, in ossequio all’art. 395, n. 4), c.p.c., ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza o inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce a escludere o ad affermare, rimanendo viceversa estranee le vicende imperniate su una decisione conseguente a una pretesa errata valutazione o interpretazione delle risultanze processuali, cioè attinente alla sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (in tal senso, viene invocata la recente pronuncia di Cass., n. 10040/2022).
A tal proposito, la Cassazione rileva come la pronuncia collegiale avesse correttamente dato conto che, nell’archivio degli atti in PCT – e, dunque, tra gli unici afferenti al procedimento così promosso dalla parte -, nessuna sentenza impugnata risultasse depositata il 21/07/2022, avendo tale atto esordito solo il 05/09/2022, senza alcuna evidenza, nemmeno indiretta, di un “disguido di cancelleria” ovvero di un errore di accesso o stivaggio informatico o anomalo rifiuto; né gli elementi apportati con il ricorso per revocazione sono apparsi anche solo indizianti di un deposito rispettoso del dettato di cui all’art. 369, 2°co., c.p.c., asseritamente deviato dalla percezione del Collegio in virtù di errori del sistema informatico (non segnalati neanche dalla parte) o carenze di archiviazione o ricezione (in fase di accettazione degli atti da parte della cancelleria). Dal semplice riscontro della nota di iscrizione a ruolo a ricorso (cioè all’atto originario così denominato dalla parte in PCT, quale evidenziato nelle due schermate allegate, accluse al ricorso per revocazione come fotocopie), in particolare, non poteva ricavarsi, per la sola menzione interna degli estremi del provvedimento impugnato, la sua appartenenza al fascicolo informatico già al momento del deposito, ossia il 21/07/2022. Neppure – prosegue il provvedimento – può dirsi che la sentenza impugnata sia comparsa con la sua denominazione tra i separati “atti a corredo”.
In definitiva, con il deposito telematico, l’ingresso o meno nel corrispondente fascicolo di uno o alcuno degli atti genericamente e solo enumerati in calce all’atto (principale), e ivi citati in punto di “elenco” degli stessi, non rimette al cancelliere (cioè all’ufficio accettante) la certificazione del rispettivo e reale avvenuto deposito; anch’esso, infatti, dipende dall’autonomo deposito telematico di parte degli atti c.d. secondari o di corredo complementare.
Nel caso di specie, dal ricorso non è emerso alcun fattore interferente, idoneo a determinare un errore di percezione nell’ordinanza impugnata, la quale, pertanto, ha correttamente escluso che nel fascicolo informatico la sentenza impugnata fosse stata inserita nel termine di cui all’art. 369, 2°co., c.p.c.
Conseguentemente, le Sezioni Unite hanno rigettato il ricorso per revocazione proposto.
QUESTIONI
[1] La questione affrontata dalle Sezioni Unite riguarda l’eventuale integrazione di un errore di fatto ex art. 395, n. 4), c.p.c., compiuto dal giudice di legittimità il quale, non avendo riscontrato tra gli “allegati” al ricorso depositati nel fascicolo telematico la copia del provvedimento impugnato, avrebbe (erroneamente, secondo il ricorrente per revocazione) dichiarato l’improcedibilità dell’impugnazione proposta a norma dell’art. 369, 2°co., c.p.c. Secondo l’ordinanza impugnata, infatti, il deposito in discorso sarebbe avvenuto in via tardiva.
Il provvedimento in commento, tuttavia, ha escluso la possibilità di rinvenire, nel caso di specie, un errore di fatto idoneo a determinare la revocazione del provvedimento ex art. 391-bis c.p.c.
Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, infatti, sono estranee all’errore di fatto revocatorio le vicende imperniate su una decisione conseguente a una pretesa errata valutazione o interpretazione delle risultanze processuali, cioè attinente alla sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass., n. 10040/2022). Infatti, tra gli atti e documenti della causa dai quali l’errore deve risultare andrebbero al più compresi quelli ad essa attinenti e ritualmente depositati dalla parte interessata “pur se, per mero disguido della cancelleria non imputabile alla parte stessa, essi siano stati inseriti in diverso fascicolo d’ufficio” (Cass., n. 29634/2019, ripresa anche da Cass., n. 9786/2023).
Le Sezioni Unite, in particolare, affrontano (per poi escluderla) la possibilità di utilmente invocare, nel caso di specie, il principio del raggiungimento dello scopo, usualmente applicato dalla giurisprudenza di legittimità nella transizione da processo analogico a processo telematico davanti alla Cassazione. Le Sezioni Unite, in particolare, ne hanno fatto applicazione (sulla scia di Cass., n. 22438/2018 in tema di deposito in cancelleria di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore o con attestazione priva di sottoscrizione autografa; conf., Cass., n. 33433/2022), escludendo l’improcedibilità del ricorso con deposito in cancelleria di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca la conformità della copia informale all’originale notificatogli, con possibilità che alla mera intimazione della controparte segua il deposito di asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio (Cass., sez. un., n. 8312/2019; conf., Cass., nn. 15712/2019 e 7610/2021). Qui, il dato comune alle due vicende era costituito dal certo e previo deposito in cancelleria della predetta copia; si tratta di circostanza invece del tutto esclusa nella specie. Nel caso deciso dal provvedimento in epigrafe, infatti, la parte non ha allegato né indicato per rilevanza probatoria alcun elemento che integri, al fondo e pregiudizialmente, quel fatto necessario – il deposito della sentenza impugnata, al limite irregolare ma effettivo, nel prescelto contesto digitale – che permetta di superare ogni eventuale deficit di forme e modalità, per quanto contingenti, nelle quali però il processo stesso viene ad essere configurato in base all’esercizio, ragionevole, della discrezionalità di cui gode il legislatore nell’articolarne gli istituti.
In parte qua, l’attuazione di una procedura di giustizia digitale si traduce, pertanto, in una diversa portata dell’indice (a formazione del ricorrente) degli atti del fascicolo in precedenza inseriti manualmente, posto che, oggi, in termini di autoresponsabilità, solo il buon fine del procedimento di deposito attivato dalla parte determina per essi l’appartenenza al fascicolo informatico stesso; il cancelliere, in altri termini, accettando informaticamente l’atto di parte che pur si concluda con un elenco di altri atti che essa vuol depositare, non attribuisce alcuna attestazione di immediata esistenza nel fascicolo a quegli stessi atti, che la parte può depositare a corredo del primo, solo e proprio ciò bastando in realtà – rispettate le forme di introduzione – per la loro effettiva fascicolazione informatica. A sua volta, secondo il principio per cui, in tema di deposito telematico del ricorso in cassazione, il definitivo consolidarsi dell’effetto di tempestivo deposito prodottosi, in via anticipata, con la ricezione della ricevuta di avvenuta consegna (RdAC), è subordinato all’esito positivo dei successivi controlli, la cui prova è data dal messaggio di posta elettronica certificata contenente l’esito dell’intervento di accettazione da parte della cancelleria (Cass., n. 19307/2023), l’inserzione così conseguita stabilizza l’atto (ogni atto, principale o complementare) secondo una caratteristica di immutabilità e non rimuovibilità.
Occorre conseguentemente riconoscere che il pregresso valore certificatorio dell’attività del cancelliere, come desumibile dall’art. 36 (per tale parte ora abrogato) e dall’art. 74 (formalmente ancora vigente) disp. att. c.p.c. (affermato, ad esempio, da Cass., nn. 5893/2022 e 8217/2016, per le quali l’“effettiva presenza nel fascicolo di parte dei documenti indicati nell’indice […] può essere contestata solo con la proposizione della querela di falso”), appare irreversibilmente incrinato dalla utilizzazione, operata dalla parte, della costituzione mediante atto informatico, poiché il cancelliere – in occasione di tale operazione – non procede (come non ha proceduto nella specie, secondo le regole tecniche vigenti ratione temporis), ad alcuna sottoscrizione dell’indice del fascicolo della parte; valeva infatti anche nel caso in esame il disposto dell’art. 16-bis, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, per il quale il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici; la disposizione appare ora pienamente trasfusa nell’art. 196-quater disp. att. c.p.c., in materia di obbligatorietà del deposito telematico di atti e di provvedimenti.
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