3 Maggio 2022

Deduzione di errore materiale a mezzo di revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c.: la conversione del rimedio in istanza di correzione

di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di Parma Scarica in PDF

Cass., Sez. Un., 14 aprile 2022, n. 12210 Pres. Amendola – Rel. Perrino

Revocazione ordinaria per errore di fatto – Deduzione di errore materiale – Conversione in istanza di correzione – Ammissibilità (C.p.c. artt. 287, 391-bis, 395; L. n. 69/2009 art. 59)

Massima: “Se è da escludere la possibilità di convertire in ricorso per revocazione l’istanza di correzione con la quale sia stato fatto valere un errore che il giudice abbia ricondotto alle previsioni dell’art. 395, n. 4, c.p.c., non altrettanto vale nella speculare eventualità di deduzione a mezzo di istanza di revocazione di quello che il giudice finisca per qualificare come mero errore materiale, suscettibile di correzione ai sensi dell’art. 287 c.p.c.”.

CASO

[1] Vistosi investito, a séguito di rimessione disposta dal giudice speciale tributario originariamente adito, del ricorso avanzato contro una cartella di pagamento finalizzata alla riscossione di alcune annualità del contributo agli oneri di funzionamento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, il Tar del Lazio, ritenendosi a sua volta privo di potestas iudicandi al riguardo, ha sollevato, dinanzi alle Sezioni unite della Corte di cassazione, conflitto negativo di giurisdizione ai sensi dell’art. 59, 3° co., l. 19 giugno 2009, n. 69.

La Corte, allineandosi ai propri precedenti in materia, ha definito il conflitto nel senso dell’appartenenza della controversia alla sfera di competenza del giudice tributario e, conseguentemente, ne ha ordinato la rimessione alla Commissione tributaria regionale del Lazio. Questa pronuncia è stata, però, fatta segno, da parte della società che aveva proposto il ricorso introduttivo di lite, rectius, da parte del fallimento che era ad essa subentrato, di domanda di revocazione ex artt. 391-bis e 395, n. 4, c.p.c., fondata sulla denuncia della svista in cui il supremo consesso sarebbe incorso nel disporre la translatio iudicii davanti alla Commissione tributaria regionale quando, in realtà, nessun giudizio d’appello era stato promosso da parte ricorrente.

Anche sulla doglianza che ne ha richiesto un nuovo coinvolgimento nella vicenda, le Sezioni unite si sono pronunciate favorevolmente: nei termini e sulla scorta delle ragioni che verremo ad esporre in immediato prosieguo di questa brevissima nota.

SOLUZIONE

[1] Il ragionamento della Suprema Corte si è sviluppato dalla constatazione che quello sottoposto al suo esame non configurasse un errore revocatorio, bensì un mero errore materiale, vale a dire un errore che non aveva inciso sul percorso di formazione della volontà del decidente ma che era intervenuto nella fase di estrinsecazione di quella volontà e della sua consacrazione in apposito documento cartaceo: ciò in quanto, non essendosi svolto alcun giudizio d’appello, non era ipotizzabile che si fosse erroneamente formata la volontà di rimettere la controversia a un giudice d’appello che non era stato adito.

L’utilizzo della revocazione per la denuncia di una patologia esorbitante dai suoi motivi tipici non ne ha, però, comportato l’immediato rigetto, con pronuncia di absolutio ab instantia. La Corte ha, infatti, ravvisato nella fattispecie le condizioni per procedere alla conversione dell’esperito gravame in ricorso ex art. 287 c.p.c. per la correzione degli errori materiali, testualmente assumendo che, «mentre il ricorso per correzione di errore materiale non può essere convertito in ricorso per revocazione, in quanto con questo ricorso si assume l’erroneità del deciso per effetto di un’errata percezione delle risultanze di fatto […], con la conseguente necessità di un’impugnazione, non vale il contrario, proprio perché la correzione di errore materiale implica l’esattezza della decisione, nonostante l’erroneità dell’indicazione dei dati documentali».

L’ordinanza emessa dalle Sezioni unite in sede di conflitto negativo di giurisdizione è stata così rettificata, attraverso la sostituzione di tutti i riferimenti ivi operati alla Commissione tributaria regionale del Lazio con quello alla Commissione tributaria provinciale di Roma.

QUESTIONI

[1] La posizione qui professata dal giudice di legittimità è coerente con il suo costante insegnamento in tema di conversione degli atti processuali di parte, quale operazione consentita là dove l’atto che risulti inidoneo, in virtù della mancata rispondenza al relativo schema legale, a produrre gli effetti suoi propri, presenti al contempo, però, tutti i requisiti, di forma e di sostanza, necessari per integrare lo schema legale di un atto diverso e, quindi, per dispiegare gli effetti propri di quest’ultimo (v., in proposito, l’amplissima rassegna elaborata da Poli, sub art. 159, in Codice di procedura civile. Commentario, diretto da Consolo, VI ed., I, Milano, 2018, 1889 ss.; in dottrina, per ogni altro, Martino, La conversione della amministrazione straordinaria in fallimento, Milano, 2004, 21 ss.; Marelli, La conservazione degli atti invalidi nel processo civile, Padova, 2000, 102 ss.). Il che non è seriamente dubitabile nei rapporti tra revocazione e istanza di correzione, sia pure nella sola direzione, da revocazione a correzione, di cui alla fattispecie qui venuta in discorso e non anche nella direzione opposta, giacché, necessariamente conseguendo, all’accertamento dell’errore revocatorio, la reiterazione del giudizio di fatto, imprescindibile, a questo fine, è l’esperimento di un mezzo di impugnazione, quale l’istanza di correzione indiscutibilmente non è (così, già, Cass, 17 gennaio 2003, n. 657).

Che poi il richiamo al principio di conversione non possa dirsi del tutto appropriato nelle ipotesi, come quella in esame, dove il rimedio formalmente proposto sia strutturalmente idoneo a produrre gli effetti suoi tipici ma sia stato al contempo utilizzato in una situazione che richiedeva l’impiego di un differente rimedio, sì che, per potersi trasformare in quest’ultimo, si renda necessaria l’intermediazione di un apposito potere giudiziale di riqualificazione dello strumento impiegato (cfr. Salvaneschi, Riflessioni sulla conversione degli atti processuali di parte, in Riv. dir. proc., 1984, 150 ss.), è questo un dato di rilievo eminentemente speculativo, che non incide sull’intrinseca correttezza della decisione adottata, nella circostanza, dal Supremo Collegio.

[2] Anche nel tracciare la linea di demarcazione tra le figure dell’errore materiale e dell’errore di fatto revocatorio, il provvedimento in epigrafe si muove in consonanza alla communis opinio in materia, che tale demarcazione vuole correlata al livello di incidenza dell’errore medesimo: nel senso di collocare il primo di quegli errori nella fase di manifestazione del pensiero del giudice, così da dar luogo a una difformità tra esso pensiero e la sua materiale espressione; e di collocare il secondo nella fase di formazione dello stesso pensiero, siccome addebitabile a una difettosa percezione degli elementi probatòri sulla base dei quali il giudice matura il proprio convincimento intorno ai fatti di causa (la pronuncia in commento richiama a questo proposito le recenti Cass., 16 novembre 2021, n. 34622, e 9 novembre 2021, n. 32665, entrambe in motiv.; ma per ulteriori e copiosi ragguagli, segnatamente nel panorama dottrinale, cfr. Boccagna, Errore materiale e correzione dei provvedimenti del giudice, Napoli, 2017, 119 ss.).

La lettura del provvedimento qui fatto oggetto di ricorso per revocazione convertito in istanza di correzione, vale a dire Cass., Sez. un. 14 aprile 2021, n. 9841, non permette, invero, di affermare con totale sicurezza che la decisione del supremo giudice di rimettere gli atti al giudice tributario di secondo grado sia stata il frutto di una svista commessa all’atto di dare formale espressione alla volontà di disporre quella rimessione al giudice di primo grado. Ma resta inteso che, anche a supporre che alla radice del decretato trasferimento del giudizio innanzi alla Commissione tributaria regionale sia stata la falsa lettura degli atti di causa e, dunque, l’errore abbia inficiato la formazione della volontà giudiziale e non solamente la sua traduzione in veste scritta, il rimedio revocatorio sarebbe stato comunque esorbitante, non altro implicando, l’accertamento di quell’errore, che una mera rettifica del provvedimento impugnato e non certo un complessivo riesame del compendio istruttorio acquisito. Il che finisce per avvalorare quella recente proposta dottrinale a tenore della quale debbono reputarsi suscettibili di correzione a norma dell’art. 287 c.p.c. «tutti (e solo) quegli errori (siano essi di espressione, di percezione, di attività) che, per un verso, non risiedendo nel giudizio, possono essere eliminati senza ripetere il giudizio (cosa consentita, nel nostro ordinamento, solo al giudice dell’impugnazione), per altro verso, in ragione della loro natura non invalidante, non pregiudicano l’attitudine dell’atto-sentenza a produrre effetti» (Boccagna, op. cit., 217).

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