21 Settembre 2021

Decreto di trasferimento dell’immobile a seguito di aggiudicazione e consegna aliud pro alio, rimedi endoesecutivi e processuali

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sezione II, ordinanza del 16 luglio 2021 n. 20331, Presidente D’Ascola, Relatore Picaroni

«L’ammissione, dopo la conclusione dell’esecuzione e la scadenza dei termini per le relative opposizioni, di azioni volte a contrastare gli effetti dell’esecuzione stessa, sostanzialmente ponendoli nel nulla o limitandoli, è in contrasto sia con i principi ispiratori del sistema, sia con le regole specifiche relative ai modi e ai termini delle opposizioni esecutive. Il giudizio così espresso risulta conforme al principio enucleato dalla già richiamata pronuncia n.7708 del 2014, che ha introdotto una sorta di flessibilità del termine perentorio per attivare il rimedio enodesecutivo, al fine di adeguare la tutela dell’aggiudicatario effettivamente incolpevole in relazione alle peculiarità delle singole fattispecie di manifestazione o di percepibilità della radicale diversità tra le caratteristiche del bene, in cui si sostanzia aliud pro alio”.

 CASO

 L’attrice, risultata aggiudicataria dell’immobile sito in Santa Marinella e oggetto della vendita all’incanto svoltasi nel 2003, nel 2006 instaurava un giudizio al fine di ottenere la dichiarazione di nullità ovvero l’annullamento del decreto di trasferimento dell’immobile, per vizio della volontà, chiedendo la condanna del creditore alla restituzione del prezzo dì vendita e dell’imposta di registro.

L’attrice deduceva di avere rilevato, successivamente all’immissione nel possesso dell’immobile avvenuta nel 2005, gravi difformità del bene rispetto alla sua descrizione nell’ordinanza di vendita e nella relazione del CTU.

La convenuta per contro eccepiva che l’attrice avrebbe dovuto proporre opposizione agli atti esecutivi in luogo dell’instaurazione di un giudizio ex novo.

SOLUZIONE  

Il Tribunale di Civitavecchia, con sentenza del 2007, accertando che la descrizione del bene era difforme dalla reale condizione dell’immobile, annullava il decreto di trasferimento, ordinando la restituzione all’attrice delle somme a lei dovute.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza del 2015, riformava la decisione.

Secondo i giudici del gravame, l’aggiudicataria avrebbe dovuto proporre opposizione agli atti esecutivi nel rispetto del termine previsto dall’art. 617 c.p.c., e pertanto la sua domanda era inammissibile.

L’attrice ricorreva quindi per cassazione deducendo con l’unico motivo di ricorso la violazione o falsa applicazione degli artt. 1422 e 1429 c.c. in relazione all’art. 617 c.p.c. La ricorrente lamentava in particolare che la Corte d’appello, nel conformarsi alla giurisprudenza di legittimità che riconduce l’azione di aliud pro alio dell’aggiudicatario nel regime dell’opposizione agli atti esecutivi[1], avrebbe ignorato che quella stessa giurisprudenza ammette, per i casi eccezionali in cui l’aggiudicatario non abbia avuto possibilità di azionare tempestivamente i rimedi endoprocessuali, la rimessione in termini, se il processo esecutivo è ancora pendente, o la proposizione dell’autonoma azione. A parere della ricorrente, la situazione in cui la stessa si era trovata avrebbe presentato caratteri tali da poter essere considerata eccezionale, e ciò in quanto all’epoca dei fatti – l’immissione nel possesso era avvenuta nel 2005, mentre l’atto di citazione era stato notificato nel 2006 – la giurisprudenza non era univoca sul tema del rimedio a disposizione dell’aggiudicatario che intendesse contestare l’alíud pro alio, e non era ancora conclusa la stagione di riforme del processo esecutivo, culminata con l’entrata in vigore della legge n. 51 del 2006.

La ricorrente avrebbe quindi incolpevolmente azionato il rimedio sbagliato (autonoma azione ordinaria di nullità e, in subordine, di annullamento), e ciò avrebbe costituito il presupposto per valutare come tempestiva e legittima l’originaria azione, in virtù dei principi tempus regit actum e di prevalenza della sostanza sulla forma, o, in subordine, per riconoscere il diritto dell’originaria attrice ad essere rimessa in termini per la proposizione dell’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c.

La Corte di Cassazione rigettava il ricorso, ritenendo il motivo privo di fondamento.

QUESTIONI

L’ordinanza di cui in epigrafe pone in evidenza le condizioni di esperibilità del rimedio dell’aliud pro alio all’interno del processo esecutivo.

In primo luogo, compiendo un’esaustiva ricostruzione storico-giurisprudenziale, la Corte di Cassazione confuta l’affermazione della ricorrente secondo cui all’epoca dell’introduzione del giudizio (gennaio 2006) il quadro normativo e giurisprudenziale relativo alla struttura del processo esecutivo non si era ancora stabilizzato.

Gli Ermellini affermano che in realtà la concezione del processo esecutivo come una successione di subprocedimenti, ovvero in una serie autonoma di atti ordinati a distinti provvedimenti successivi è risalente, analogamente al principio secondo cui «l’ammissione, dopo la conclusione dell’esecuzione e la scadenza dei termini per le relative opposizioni, di azioni […] volte a contrastare gli effetti dell’esecuzione stessa sostanzialmente ponendoli nel nulla o limitandoli – è in contrasto sia con i principi ispiratori del sistema, sia con le regole specifiche relativi ai modi e ai termini delle opposizioni esecutive» (Cass. 08/05/2003, n. 7036).

In secondo luogo, nella fattispecie, la Corte d’appello escludeva che ricorressero gli estremi dell’errore scusabile che connota la rimessione in termini, evidenziando che dalla data dell’immissione in possesso la ricorrente era consapevole della difformità dell’immobile oggetto di aggiudicazione rispetto a quanto descritto negli atti della procedura, come da lettera di segnalazione inviata al creditore procedente, e che pertanto era in condizione di proporre opposizione agli atti entro il termine di venti giorni.

Il giudizio espresso dai giudici di secondo grado risultava del tutto conforme al principio enunciato dalla Corte di Cassazione[2] che ha introdotto una sorta di flessibilità del termine perentorio per attivare il rimedio endoesecutivo, al fine di adeguare la tutela dell’aggiudicatario effettivamente incolpevole, in relazione alle peculiarità delle singole fattispecie di manifestazione o di percepibilità della radicale diversità tra le caratteristiche del bene, in cui si sostanzia l’aliud pro alio.[3]

Lo stesso principio era stato richiamato dalla Suprema Corte nell’ordinanza n. 22854 del 20 ottobre 2020, in cui viene sancito che “in tema di processo esecutivo, ogni questione relativa alla validità ed efficacia dell’aggiudicazione e della vendita forzata deve essere fatta valere, tanto dalle parti della procedura quanto dall’aggiudicatario, nell’ambito del processo stesso e attraverso i rimedi impugnatori ad esso connaturali (e, quindi, principalmente, mediante l’opposizione agli atti esecutivi), non essendo ammissibile un’autonoma azione di ripetizione, anche solo parziale, del prezzo di aggiudicazione.”[4]

In entrambe le citate ordinanze i Giudici di legittimità sottolineano l’importanza dei rimedi impugnatori endoprocessuali (in particolare, l’opposizione agli atti), che risultano connaturati all’azione esecutiva stessa. Infatti, eccetto qualora l’ordinaria diligenza delle parti non sia sufficiente a scongiurare invalidità ed inefficacia dell’aggiudicazione, in nessun caso risulta ammissibile una domanda giudiziale incardinata ex novo, ossia successivamente alla chiusura del processo esecutivo.

[1] La Corte d’appello citava al riguardo la sentenza della Corte di Cassazione n. 7708 del 2014, secondo la quale “nella vendita forzata l’aggiudicatario del bene pignorato, in quanto parte del processo di esecuzione, ha l’onere di far valere l’ipotesi di “aliud pro alio” con il solo rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, che va esperita – nel limite temporale massimo dell’esaurimento della fase satisfattiva dell’espropriazione, costituito dalla definitiva approvazione del progetto di distribuzione – comunque entro il termine perentorio di venti giorni dalla legale conoscenza dell’atto viziato, ovvero dal momento in cui la conoscenza del vizio si è conseguita o sarebbe stata conseguibile secondo una diligenza ordinaria.” Invero, con tale sentenza la Suprema Corte ha sancito il principio per cui l’aggiudicatario di un bene pignorato ha l’onere di far valere l’ipotesi di aliud pro alio con il solo rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi e quest’ultima deve essere esperita entro il termine perentorio di venti giorni dalla legale conoscenza dell’atto viziato, ovvero dal momento in cui la conoscenza del vizio si è conseguita o sarebbe stata conseguibile secondo una diligenza ordinaria.

[2] Ancora una volta il richiamo è alla già citata pronuncia n. 7708 del 2014.

[3] Sul caso di aliud pro alio nel contesto del processo esecutivo si era espressa la Suprema Corte con sentenza del 20 gennaio 2016 n. 1669, secondo la quale “la differenza strutturale tra la vendita forzata e quella negoziale è ostativa all’adozione, per la prima, di una nozione lata di “aliud pro alio”, con la conseguenza che la nullità del decreto di trasferimento è ravvisabile solo in caso di radicale diversità del bene oggetto di vendita forzata ovvero se ontologicamente diverso da quello sul quale è incolpevolmente caduta l’offerta dell’aggiudicatario, oppure perché, in una prospettiva funzionale, dopo il trasferimento risulti definitivamente inidoneo all’assolvimento della destinazione d’uso che, presa in considerazione nell’ordinanza di vendita, ha costituito elemento determinante per l’offerta dell’aggiudicatario.” (Cass. Civ. sez. III, 29 Gennaio 2016, n. 1669).

[4] Cfr. Cass. Civ. Sez. III, ord. 20 ottobre 2020, n. 22854. La fattispecie concerneva un’azione di ripetizione avanzata dall’aggiudicataria di un immobile all’asta nei confronti del creditore procedente, dopo aver adempiuto al pagamento del relativo prezzo e aver ottenuto il decreto di trasferimento, a causa di una discrepanza in termini di superficie tra quella reale dell’immobile e quella individuata nella relazione di stima.  La S.C. ha statuito che il predetto principio, di portata generale, trova applicazione pure nel caso di discrepanza tra la superficie reale dell’immobile venduto e quella indicata nella relazione di stima posta a base della vendita coattiva, senza che l’errore commesso dal consulente tecnico possa giustificare un’autonoma azione da parte dell’aggiudicataria.

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