Decreto Green Pass bis: le difficoltà applicative nel Real Estate
di Donatella Marino, Avvocato Scarica in PDFGreen Pass – DL 127/2021 – Real Estate – lavoratore dipendente – lavoratore autonomo – datore di lavoro – luogo di lavoro – contratto esterno – proprietario – Property Manager – appartamento – locazione – struttura ricettiva – interpretazione – FAQ
Sintesi
Chiunque svolga un’attività lavorativa nel Real Estate – così come chiunque operi nel “settore privato” – dal 15 ottobre al 31 dicembre 2021 dovrà osservare l’obbligo di “possedere ed esibire”, su richiesta di soggetti specificamente individuati, la certificazione verde Covid-19 (nota come Green Pass) “ai fini dell’accesso ai luoghi” in cui svolge tale sua attività lavorativa. La novità normativa ha come evidente scopo la prevenzione alla diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2 anche negli ambienti lavorativi privati. Tuttavia, ancorché sia chiara la ratio, le definizioni e i concetti della nuova normativa non sono correttamente agganciati alle categorie giuridiche conosciute nel nostro ordinamento e ai principi cardine che lo regolano. Tra questi, non ultimi, i criteri posti alla tutela della riservatezza dei dati personali in compliance con il GDPR europeo. Si tratta di criticità che rischiano di minare l’adeguatezza dell’intero impianto normativo creando forti disagi interpretativi per le aziende nelle fasi applicative. Il provvedimento richiederebbe quindi qualche intervento correttivo. Tre sono i nuclei problematici: i lavoratori effettivamente destinatari delle misure, gli ambienti lavorativi il cui accesso richiede l’esibizione del Green Pass e l’individuazione dei soggetti privati preposti ai controlli.
I destinatari dell’obbligo di Green Pass
Il co. 1 dell’art. 3 del Decreto Legge del 21 settembre 2021, n.127, c.d. Decreto Green Pass bis), dedicato all’ambito di lavoro privato, stabilisce che a “chiunque svolge una attività lavorativa nel settore privato è fatto obbligo, ai fini dell’accesso ai luoghi in cui la predetta attività è svolta, di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde COVID-19”. La ratio sembrerebbe chiara: l’obbligo di “possedere” il Green Pass pare posto in capo ad ogni tipologia di lavoratore, indipendentemente dalla tipologia contrattuale che lo pone in un ambiente lavorativo, tant’è che si estende a “tutti i soggetti che svolgono, a qualsiasi titolo, la propria attività lavorativa o di formazione o di volontariato nei luoghi di cui al comma 1, anche sulla base di contratti esterni” (co. 2, art. 3). Ma è il curioso concetto di “contratto esterno” che genera problemi. Categoria sconosciuta nel nostro ordinamento, richiede uno sforzo ermeneutico ispirato dalla finalità dichiarata dalla norma: imporre il Green Pass per l’accesso ai luoghi in cui si svolge attività lavorativa. In questa direzione si sono mosse del resto le FAQ del Governo e i primi tentativi di inquadramento normativo degli interpreti: la lettura spesso oggi proposta suggerisce di includere ogni lavoratore (anche autonomo o dipendente da azienda diversa) che offre la propria prestazione in un ambiente lavorativo, ancorchè diverso dalla propria sede aziendale. Nel comparto del Real Estate questa impostazione comporterebbe che il Green Pass dovrebbe essere “posseduto” ed esibito, su richiesta, da tutti i fornitori, trasportatori, appaltatori e consulenti: artigiani, dunque, come elettricisti o idraulici, ma anche addetti alle pulizie o alla sicurezza dell’edificio così come professionisti (architetti, geometri e ingegneri), trasportatori che consegnano materiali, agenti immobiliari e property manager che accompagnano gli inquilini negli alloggi e comunque chiunque altro lavori dietro compenso per un soggetto (e nell’ambiente lavorativo di questo soggetto) in virtù di contratti di collaborazione continuativa o consulenza, appalto o contratti d’opera o altra tipologia contrattuale assimilabile. Contro questa impostazione, al momento largamente condivisa, si impongono però alcuni rilievi. Per esempio, al di là delle sanzioni comminabile dall’autorità, le altre conseguenze sono tipiche del lavoro subordinato: divieto di accesso al luogo di lavoro senza Green Pass, ogni giorno di assenza è considerato ingiustificato mentre la retribuzione è sospesa (co. 6 art. 3). Strumenti sanzionatori che hanno un significato solo nell’ambito del lavoro subordinato.
Il luogo in cui è svolta l’attività lavorativa
Qualche dubbio nasce anche intorno al concetto di “luogo in cui l’attività lavorativa è svolta”: qualsiasi luogo fisico in cui un soggetto offre la propria prestazione lavorativa. Non solo la sede aziendale del lavoratore, dunque, ma anche gli ambienti lavorativi gestiti da un soggetto terzo, che può essere un esercizio aperto al pubblico come un negozio, o un ufficio, un cantiere, una struttura ricettiva o un appartamento privato. Tale interpretazione sembra essere confermata dalle FAQ pubblicate dal sito del Governo relativamente alla “certificazione verde Covid-19 – Green Pass” che in riferimento esplicito al “libero professionista” (espressione proposta dalle FAQ ma assente nel Decreto de quo) suggeriscono l’interpretazione secondo cui quando tale soggetto “accede nei luoghi di lavoro pubblici o privati per lo svolgimento della propria attività lavorativa viene controllato dai soggetti previsti dal decreto-legge n. 127 del 2021.” Con riferimento ai “lavoratori autonomi” e all’obbligo di verifica del Green Pass, le FAQ riportano il termine “azienda”. In realtà, il co. 1 dell’art. 3 non sembra richiedere questo requisito: sembra quindi che si debba prescindere dalla destinazione – abitativa privata, oppure commerciale o altro – dell’unità immobiliare.
I soggetti privati addetti ai controlli
Ma la difficoltà più seria, in questo esercizio ermeneutico, è l’enucleazione dei soggetti preposti al controllo del Green Pass in alcune situazioni ricorrenti nel Real Estate. L’art. 3 co. 4 del DL 127/2021 stabilisce che sono i datori di lavoro “di cui al comma 1”, e quindi i datori di lavoro che gestiscono l’ambiente in cui si svolge l’attività lavorativa –“sono tenuti a verificare il rispetto delle prescrizioni di cui ai commi 1 e 2”: e questo sia per i propri dipendenti sia per i soggetti che operano con “contratti esterni”. Con il concetto di “datore di lavoro”, nel nostro ordinamento, si indica la controparte contrattuale del lavoratore dipendente, da cui si distingue ontologicamente il lavoratore autonomo proprio in quanto non ha per controparte un datore di lavoro ma un soggetto committente, o, più genericamente e gergalmente, un cliente (si veda anche la definizione D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 che definisce il datore di lavoro come “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore”). Sarebbe pertanto solo l’effettivo datore di lavoro che potrebbe e dovrebbe chiedere l’esibizione del Green Pass del proprio dipendente prima che acceda all’ambiente lavorativo, il che costituisce un problema se tale ambiente è gestito da un diverso soggetto rispetto al datore di lavoro. Nel dubbio interpretativo, c’è chi dice che, alla luce della ratio della norma, potrà e dovrà essere richiesta l’esibizione del Green Pass da due soggetti (l’imprenditore datore di lavoro e l’imprenditore gestore dello spazio lavorativo). L’interpretazione opposta invece sostiene che nessuno ha alcun dovere o diritto in tal senso. Si attendono gli indispensabili chiarimenti.
Alcune criticità specifiche: il coworking e il ricettivo
Il nuovo Decreto non si occupa invece dei rapporti giuridici tipici del Real Estate ma diversi da quelli di lavoro: per esempio, la locazione. Nessun obbligo nuovo è imposto all’ inquilino che accede a un immobile locato a uso abitativo a qualsiasi titolo: per breve periodo, per finalità turistica, per uso transitorio, con contratto 4+4. Conseguentemente, alcun obbligo di verifica è posto in capo al proprietario locatore, sia esso privato o azienda. Anche i gestori di alberghi e strutture ricettive non sono coinvolti dagli obblighi di verifica del Green Pass rispetto ai propri clienti, se non in virtù delle regole generali previste per l’accesso a servizi eventualmente offerti dalle strutture, come SPA, piscine e palestre (art. 3 DL 23 luglio 2021 n. 105). Criticità specifica invece per l’accesso agli spazi in coworking. Al di là del nome e dell’oggetto sociale dei gestori di questi spazi, l’ingresso a questi ambienti è offerto a soggetti che, in veste di conduttori (degli spazi) e clienti/fruitori (dei servizi) intendono occupare un ambiente fisico condiviso per svolgere un’attività che può essere lavorativa, di studio o di svago per se stessi. Il coworker, pertanto, non solo non è un dipendente del gestore dello spazio ma nemmeno un suo fornitore di servizi, un suo appaltatore o un suo consulente. Il DL 127 sul Green Pass ai lavoratori è quindi di base in questi casi inapplicabile.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia