Il decreto di fissazione dell’udienza per la fase sommaria non è soggetto a comunicazione da parte della cancelleria: mancando la notifica, l’opposizione è inammissibile
di Alberto TedoldiCecilia Vantaggiato Scarica in PDFCass., Sez. III civ., Sent. 12-06-2020, n. 11291 – Pres. Vivaldi – Rel. D’Arrigo
In tema di opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, il decreto con il quale – ai sensi rispettivamente dell’art. 615 c.p.c., comma 2 e art. 618 c.p.c., comma 1 – il giudice dell’esecuzione fissa davanti a sé l’udienza per la fase sommaria, assegnando un termine perentorio per la notificazione del ricorso e dello stesso decreto all’opposto, non è soggetto a comunicazione a cura della cancelleria al ricorrente. Pertanto, il ricorrente che, non attivandosi per prendere cognizione dell’esito del proprio ricorso, lasci scadere il termine perentorio fissato con tale decreto incorre nella declaratoria di inammissibilità dell’opposizione proposta.
CASO
La Curatela del fallimento (omissis) s.r.l. proponeva opposizione agli atti esecutivi avverso il provvedimento del Tribunale di Nola con cui veniva negata all’istante l’assegnazione in prededuzione delle somme necessarie al pagamento dell’ICI e dell’IMU.
Il giudice dell’esecuzione, rigettata inaudita altera parte l’istanza di sospensione, fissava l’udienza camerale di comparizione delle parti, assegnando termine alla Curatela per provvedere alla notifica del ricorso e del pedissequo decreto alle controparti e ordinando alla cancelleria di provvedere alla comunicazione del decreto all’opponente.
All’udienza fissata non compariva nessuno e il G.E. pronunciava l’inammissibilità dell’opposizione.
La Curatela, deducendo la mancata comunicazione da parte della cancelleria del decreto faceva istanza al giudice dell’esecuzione per essere rimessa in termini e per l’assegnazione di un termine per introdurre il giudizio nel merito. Il giudice, pur rigettando l’istanza di rimessione in termini, integrava il proprio provvedimento, assegnando all’opponente termine di novanta giorni per instaurare il giudizio di merito.
A seguito dell’introduzione di tale giudizio, il Tribunale di Nola dichiarava inammissibile l’opposizione, ritenendo che la mancata notificazione del ricorso nei termini fissati nel decreto di comparizione delle parti relativo alla fase sommaria valesse quale rinuncia alla domanda.
Avverso tale sentenza la Curatela del fallimento (omissis) s.r.l. ha proposto ricorso straordinario per cassazione, articolato in tre motivi. IC.R. s.r.l. ha resistito con controricorso.
SOLUZIONE
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.
QUESTIONI
La sentenza in esame offre lo spunto per analizzare le questioni relative alla sussistenza, in capo alla cancelleria, di un onere di comunicazione al ricorrente del decreto di fissazione dell’udienza camerale nella fase sommaria delle opposizioni successive all’inizio dell’esecuzione forzata, ai sensi degli art. 615, comma 2, e 617, comma 2, c.p.c. e alle conseguenze della mancata o tardiva notifica del ricorso in opposizione entro il termine perentorio assegnato dal giudice dell’esecuzione.
Secondo un orientamento, formatosi però sull’ante vigente procedimento camerale per la liquidazione degli onorari degli avvocati ai sensi dell’art. 29 l. 794/1942, la mancata notifica del ricorso e del decreto non darebbe luogo, in difetto di espressa comminatoria, all’inammissibilità dell’opposizione, posto che “il rapporto cittadino-giudice si instaura con il tempestivo deposito del ricorso, con cui si realizza l’editio actionis, laddove la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza costituisce momento esterno e successivo alla fattispecie processuale introduttiva del giudizio di opposizione, diretta ad instaurare il contraddittorio” (Cass., 2 febbraio 2011, n. 2442). Nel caso in cui il ricorrente non ottemperi alla notifica nei termini assegnati e in difetto di spontanea costituzione del resistente, sorge il potere-dovere del giudice dell’esecuzione di disporre la rinnovazione della notifica, ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ., assegnando un nuovo termine, al fine di assicurare l’effettiva instaurazione del contraddittorio.
Con riguardo agli artt. 615, comma 2, e 617, comma 2, c.p.c., stante la struttura bifasica delle opposizioni successive all’inizio dell’esecuzione forzata – la prima sommaria dinanzi al giudice dell’esecuzione e la seconda, eventuale, per il cosiddetto giudizio di merito – si è nondimeno ritenuto che, “in caso di inosservanza del termine per la notificazione del ricorso e del decreto, il giudice dell’esecuzione, ove non sussistano i presupposti per una rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., non può fissare una nuova udienza di comparizione per la fase sommaria, stante la perentorietà del termine di cui all’art. 618, 1º comma, c.p.c., né può pronunciare l’inammissibilità dell’opposizione, ma, dichiarata definita la fase sommaria, deve assegnare «in ogni caso» un termine perentorio per l’inizio del giudizio di merito, in quanto l’inosservanza del primo termine è rilevante solo ai fini della fase sommaria, non potendo precludere che sull’azione di opposizione agli atti debba aver luogo lo svolgimento della cognizione piena con il giudizio di merito.” (Cass., Sez. III, Sent. 06-10-2016, n. 20018).
È principio riconosciuto dalla Corte di cassazione che nei procedimenti camerali il giudice sia tenuto esclusivamente al deposito del decreto con cui fissa l’udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la notifica del ricorso e dello stesso decreto: non è, quindi, tenuto a disporne la comunicazione. Non risulta, d’altronde, esservi alcun obbligo normativamente previsto in capo al giudice che imponga la comunicazione: anzi, incombe sempre sul ricorrente l’onere di attivarsi per prendere cognizione dell’esito del proprio ricorso in cancelleria (ex multis, Cass., Sez. Un., Sent., 12-03-2014, n. 5700, la quale peraltro ritiene che, “in materia di equa riparazione per durata irragionevole del processo, il termine per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza alla controparte non è perentorio, non essendo previsto espressamente dalla legge; ne consegue che il giudice, nell’ipotesi di omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, può, in difetto di spontanea costituzione del resistente, concedere al ricorrente un nuovo termine, avente carattere perentorio, entro il quale rinnovare la notifica”).
A sostegno di quanto detto, si riporta l’argomento di carattere normativo legato alla differenza testuale tra gli artt. 134 e 135 c.p.c.: mentre l’art. 134 c.p.c., comma 2, prevede espressamente che la cancelleria debba provvedere alla comunicazione dell’ordinanza (come risulta pure dalla rubrica della disposizione), l’art. 135 c.p.c., nel regolare la forma e il contenuto del decreto, non contiene un’analoga previsione di comunicazione dello stesso alle parti. Argomento letterale, per vero, oramai assai debole, a fronte delle ampie e crescenti deroghe apportate dal legislatore alle forme processuali dei provvedimenti, anche a contenuto decisorio.
Quanto alle conseguenze in merito alla mancanza della notificazione, la giurisprudenza ha mostrato di giungere a soluzioni assai variegate. Ad esempio, ove il ricorso in opposizione agli atti esecutivi, con il pedissequo decreto che fissa l’udienza in camera di consiglio, non sia stato notificato nel termine perentorio fissato dal giudice a tutti i legittimi contraddittori, il giudice è ovviamente tenuto ad ordinare l’integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c. (Cass., 29-2-2016, n. 3890). Ove il ricorrente non riesca tempestivamente a conformarsi al decreto adottato dal giudice, potrà esperire le iniziative necessarie per l’ottenimento del possibile differimento dell’udienza e del termine per gli adempimenti notificatori, a condizione che tale attività sia compiuta prima della celebrazione dell’udienza già predeterminata e dell’adozione definitiva dei relativi provvedimenti. Quando nessuna delle due parti sia comparsa in udienza, si applicherà l’art. 181 c.p.c. anche al procedimento camerale (contra, Cass. civ. Sez. III, Ord., 31-08-2011, n. 17860 “Qualora nell’opposizione in materia esecutiva ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, dell’art. 617 c.p.c., comma 2, e dell’art. 619 c.p.c. all’udienza di comparizione fissata per la fase sommaria del giudizio si verifichi la mancata comparizione delle parti, il giudice dell’esecuzione deve dichiarare estinto il procedimento subordinatamente alla scadenza del termine per l’eventuale inizio del giudizio nel merito, che dev’essere comunque fissato. L’inutile decorso di tale termine comporterà l’efficacia dell’estinzione del procedimento. Nel caso di mancata fissazione del termine la parte interessata può chiedere l’integrazione del provvedimento ai sensi dell’art. 289 c.p.c. con la fissazione del termine per iniziare il giudizio di merito ovvero può senz’altro iniziare tale giudizio”).
Nel caso in cui la notificazione sia nulla, il giudice dovrà concedere un termine per rinnovarla; rinnovazione cui, invece, non si potrà fare luogo nell’ipotesi in cui la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza sia mancata del tutto ovvero sia giuridicamente inesistente (Cass., 16-12-2015, n. 25308; in dottrina, cfr. C. Mancuso, Le notifiche nei processi di esecuzione forzata, in Esec. Forz, 2019, 980). In tale ultimo caso, infatti, come specificato dalla Corte nella sentenza in commento, la sanzione sarà l’inammissibilità del ricorso in opposizione e l’improponibilità del giudizio di merito. Infatti, la preliminare fase sommaria delle opposizioni esecutive (successive all’inizio dell’esecuzione) davanti al giudice dell’esecuzione, è necessaria ed inderogabile, in quanto prevista non solo per la tutela degli interessi delle parti del giudizio di opposizione ma anche di tutte le parti del processo esecutivo e, soprattutto, in funzione di esigenze pubblicistiche, di economia processuale, di efficienza e regolarità del processo esecutivo e di deflazione del contenzioso ordinario; la sua omissione, come il suo irregolare svolgimento, laddove abbia impedito la regolare instaurazione del contraddittorio nell’ambito del processo esecutivo ed il preventivo esame dell’opposizione da parte del giudice dell’esecuzione determina l’improponibilità della domanda di merito e l’improcedibilità del giudizio di opposizione a cognizione piena (Cass., 11-10-2018, n. 25170).
L’indirizzo rigorista così abbracciato pare eccessivo, onerando sempre e soltanto le parti e i loro difensori al compimento di attività di controllo e monitoraggio del fascicolo, senza l’indispensabile collaborazione degli uffici, tanto più agevole al cospetto del PCT, dove la comunicazione di cancelleria viene eseguita mediante un semplice messaggio di posta elettronica certificata, che ben potrebbe essere reso automatico dal sistema informatico. Richiamare disposizioni del 1940, come l’art. 135 c.p.c. è quantomeno obsoleto rispetto al PCT, come sarebbe ed è evocare la necessità dell’elezione del domicilio fisico, in presenza del domicilio digitale attribuito per legge.
Anche la perentorietà del termine per la notifica di ricorso e decreto relativi alla fase camerale non persuade e appare irragionevole, ancorché prevista ex littera dalle disposizioni procedurali (artt. 615, comma 2, 617, comma 2, e 619, comma 2, c.p.c.) per zelo eccessivo del legislatore (recte, del giudice-legislatore, ché le disposizioni di legge vengono scritte da magistrati fuori ruolo, che siedono negli uffici legislativi dei ministeri per delibere del CSM), sospetto di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. L’opposizione esecutiva, dopo l’inizio dell’esecuzione forzata, s’introduce mediante deposito del ricorso, laddove la notificazione di ricorso e decreto sono adempimenti necessari a garantire il contraddittorio, che ben possono essere rinnovati o compiuti ex novo, differendo l’udienza camerale, allorché il ricorrente non abbia ricevuto la comunicazione dalla cancelleria del decreto di fissazione dell’udienza, come riteneva precedente giurisprudenza, sopra richiamata, proprio con riguardo ad altri procedimenti camerali.
Appare altresì eccessivo rendere non solo improcedibile la fase sommaria dell’opposizione, ma persino e definitivamente anche il giudizio di merito, pur essendo stata tempestivamente proposta l’opposizione all’esecuzione prima che fosse disposta la vendita ex art. 615, comma 2, c.p.c. o l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, comma 2, c.p.c. nel termine perentorio di venti giorni dalla conoscenza legale dell’atto esecutivo impugnato: la fase sommaria davanti al giudice dell’esecuzione, quando l’opponente non necessiti di provvedimenti indilazionabili e urgenti o non chieda la sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c., è mero passaggio procedurale, in cui il giudice dell’esecuzione ha solo il compito di fissare il termine per proseguire l’eventuale giudizio di merito, dove il contraddittorio è garantito dalla notifica dell’atto di citazione (o del ricorso e del pedissequo decreto nel rito del lavoro). Tanto più nell’opposizione agli atti esecutivi, in cui l’eventuale giudizio di merito dovrà necessariamente essere affidato a un magistrato diverso dal giudice dell’esecuzione, a norma dell’art. 186 bis disp. att. c.p.c.
Sicché anche la struttura necessariamente bifasica delle opposizioni successive non va enfatizzata, essendo davvero necessaria soltanto allorché l’opponente intenda ottenere la sospensione dell’esecuzione o altri provvedimenti indilazionabili, senza ostacoli alla successiva prosecuzione del giudizio di merito nel termine, questo sì logicamente e razionalmente perentorio, assegnato dal giudice dell’esecuzione, che altro non fa che “smistare” il fascicolo, quando non debba provvedere sulle istanze interinali, fermo ovviamente il generale potere dello stesso giudice dell’esecuzione di revocare o modificare il proprio provvedimento, ai sensi dell’art. 487 c.p.c.: per il che basta una semplice istanza, non occorrendo certo l’apparato procedurale dell’opposizione.
Vero è che vigilantibus non dormientibus iura succurunt, ma il difetto di collaborazione degli uffici giudiziari, che possono serenamente omettere ogni onere, anche il più semplice e banale, per poi sanzionare con inammissibilità, improcedibilità e improponibilità ogni inadempienza, anche minima, dei difensori, è oramai divenuto peso greve e intollerabile nel moltiplicarsi degli adempimenti telematici: una fatica di Sisifo, insomma, dove la pietra rotola sempre al punto di partenza.
Soprattutto, è vana speranza quella di sveltire in tal modo i processi, con metodica “esternalizzazione” di ogni e qualsiasi adempimento: crescono infatti, in progressione geometrica, le azioni di responsabilità contro gli avvocati per inadempienze procedurali anche minime e, al postutto, neppure davvero imputabili, senza che mai gli uffici siano chiamati a rispondere, invece, di assai gravi errori di merito, sempre più diffusi e frequenti, essendo la fretta, come noto, assai cattiva consigliera e oramai prevalendo di gran lunga il “far presto” sul “far bene”, che Piero Calamandrei pur raccomandava di porre sempre in posizione primaria. È certo più semplice e rapido risolvere tutto grazie ai formalismi della procedura, anziché sforzarsi di esaminare il merito delle doglianze e assumersi la responsabilità della decisione.
Soffre insomma, il nostro tempo, di “procedurite” acuta: un male endemico che dura da molti anni e si è aggravato viepiù dopo il 1999, allorché l’art. 111, comma 2, Cost. ha previsto la durata ragionevole del processo, che peraltro esisteva già nell’art. 6 CEDU a far tempo dagli anni Cinquanta del secolo scorso ed è sempre esistita, da che il processo è stato creato (basta leggere le disposizioni impartite dall’imperatore Giustiniano nel VI secolo d.C o quelle della decretale pontificia Clementina Saepe, durante la cattività avignonese del papato agli inizi del XIII secolo).
È però malattia ormai incurabile, per la quale non esiste né mai verrà scoperto un vaccino o altro farmaco, ancor meno nell’agitata e frettolosa epoca nostra.
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