13 Settembre 2022

Decadenza dall’impugnazione e limiti alla rimessione in termini

di Valentina Baroncini, Avvocato e Ricercatore di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. V, 7 luglio 2022, n. 21649, Pres. Crucitti – Est. Cortesi

[1] Impugnazioni civili – Decadenza – Rimessione in termini – Art. 153, comma 2, c.p.c. – Decadenza dall’impugnazione – Causa non imputabile collegata alla violazione di obblighi informativi da parte del difensore – Rilevanza – Esclusione – Fondamento – Fattispecie (art. 153 c.p.c.)

Massima: “L’istituto della rimessione in termini ex art. 153, comma 2, c.p.c. non può trovare applicazione alla decadenza dall’impugnazione laddove la causa non imputabile dedotta a sostegno della relativa istanza sia collegata a violazioni commesse da parte del difensore, di obblighi informativi caratteristici del rapporto di mandato, trattandosi di profili attinenti ad una patologia di quest’ultimo, e come tali destinati ad assumere rilevanza esclusivamente nei relativi confini”.

CASO

[1] Due contribuenti proponevano ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Ragusa avverso le cartelle di pagamento con le quali veniva loro irrogata, quali coobbligati in solido, la sanzione amministrativa di € 5.789,82 per carente versamento IRPEF relativo all’anno di imposta 2005.

La C.T.P. accoglieva il ricorso, annullando le cartelle impugnate, con sentenza che veniva però integralmente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale di Palermo – sezione distaccata di Catania, adita con gravame dell’Agenzia delle entrate.

Avverso tale pronuncia, i contribuenti proponevano ricorso per cassazione, articolato in due motivi.

Per quanto di interesse ai fini del presente commento, occorre evidenziare che la sentenza d’appello veniva depositata il giorno 8 maggio 2014; il termine “lungo” per impugnarla – della durata di un anno, in quanto il giudizio di primo grado veniva instaurato nel 2008 – scadeva pertanto martedì 23 giugno 2015, considerata l’applicazione della sospensione feriale dei termini (all’epoca decorrente dal 1° agosto al 15 settembre).

Il ricorso per cassazione risultava però spedito per la notificazione a mezzo posta il giorno 24 giugno 2015. I ricorrenti formulavano pertanto istanza di rimessione in termini, assumendo di essersi rivolti, per l’assistenza nei giudizi di merito, a un difensore sprovvisto del patrocinio avanti le giurisdizioni superiori, cosicché – una volta resi edotti dell’esito sfavorevole del giudizio di appello – essi «non erano stati in grado di comprendere bene i termini di decadenza entro cui rivolgersi ad un nuovo professionista per incoare il giudizio di legittimità».

SOLUZIONE

[1] La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile per tardività, non ritenendo di poter accogliere l’istanza di rimessione in termini avanzata dai contribuenti.

Secondo i giudici di legittimità, i ricorrenti avrebbero infatti invocato una fattispecie che non consente di ritenere che la decadenza sia dipesa da causa a loro non imputabile, in quanto cagionata da un fattore estraneo alla loro volontà.

In particolare, non avrebbero alcun rilievo, al fine sperato, eventuali violazioni, commesse da parte del precedente difensore dei ricorrenti, degli obblighi informativi caratteristici del rapporto di mandato, trattandosi di profili attinenti esclusivamente a una patologia di quest’ultimo, e come tali destinati ad assumere rilevanza esclusivamente nei relativi confini (in tal senso, il provvedimento richiama il precedente di cui a Cass. 24 aprile 2019, n. 11229).

QUESTIONI

[1] Il provvedimento in commento affronta il delicato tema dei requisiti per la concessione della rimessione in termini, oggi disciplinata dall’art. 153, 2°co., c.p.c.

Tale disposizione, come noto, accorda alla «parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile» la facoltà di chiedere al giudice di essere rimessa in termini.

Essa è frutto della riforma operata dalla l. n. 69/2009 la quale, in una con l’abrogazione dell’art. 184-bis c.p.c., ha generalizzato l’istituto della rimessione in termini, rendendolo applicabile a ogni decadenza verificatasi nel corso del processo, ossia a ogni ipotesi di perdita di un potere processuale per mancato esercizio nei limiti temporali previsti dalla legge: tra tali ipotesi, ovviamente, rientrano anche i termini di impugnazione, sia brevi sia lunghi (sul punto, S. Boccagna, sub art. 153, in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile. Commentario, I, Milano, 2018, 1760).

Condizione per ottenere la rimessione in termini è che il tempestivo esercizio del potere sia stato ostacolato da un impedimento di fatto derivante da causa non imputabile alla parte: si tratta, evidentemente, di un concetto elastico, la cui concretizzazione è rimessa all’opera della giurisprudenza. In via di principio, si può affermare che la garanzia costituzionale del contraddittorio imponga di attribuire un fondamento soggettivo all’autoresponsabilità processuale da decadenza, ricollegando effetti pregiudizievoli all’inattività della parte solo laddove questa sia riconducibile a sua colpa (ovvero a colpa del suo difensore: ancora, S. Boccagna, op. cit., 1763 ss.). In altri termini, il concetto di causa non imputabile coinciderà con il criterio della diligenza o dell’assenza di colpa, identificandosi con quell’impedimento all’esercizio del potere processuale non evitabile mediante un comportamento diligente (in argomento, R. Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano, 1996, 195 ss.).

I concetti espressi trovano rispondenza nella casistica giurisprudenziale rinvenibile in materia.

Infatti, è stata affermata l’esistenza della causa non imputabile (con conseguente rimessione in termini della parte), in un caso di omesso deposito in cancelleria, in un procedimento introdotto da ricorso, del fascicolo contenente il provvedimento di fissazione dell’udienza con l’indicazione del termine per la notifica alla controparte (Trib. Roma, 4 gennaio 2000). Viceversa, si è esclusa l’esistenza della causa non imputabile (con rigetto dell’istanza di rimessione in termini) in una fattispecie in cui la parte aveva omesso di proporre nei termini l’eccezione di prescrizione, per una scelta della parte medesima di attendere l’esito delle trattative in corso con la controparte (Cass., 25 marzo 2011, n. 7003).

Avvicinandoci alla questione decisa con il provvedimento in commento, è altrettanto pacifico che la parte costituita a mezzo di difensore risponda delle negligenze di quest’ultimo, che le sono imputate oggettivamente in virtù del rapporto di mandato. Di conseguenza, se la negligente attività del difensore ha causato una decadenza, non sarà possibile chiedere la rimessione in termini, ma solo agire per il risarcimento dei danni da responsabilità professionale (ancora, R. Caponi, op. cit., 215 ss.).

La pronuncia in esame si situa, evidentemente, in piena continuità con tali principi: anche nel caso deciso, infatti, la decadenza (dal potere di proporre ricorso per cassazione) era addebitabile a una negligenza del difensore, il quale, cessato il mandato, ha omesso di informare le parti di quanto necessario per non pregiudicarne la difesa. Da qui, la correttezza del provvedimento della Cassazione, che ha ritenuto di negare la richiesta rimessione in termini ai ricorrenti, ai quali residuerà comunque la strada dell’azione per risarcimento dei danni da responsabilità professionale.

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