Il debitore può provare il mancato superamento delle soglie di fallibilità anche con scritture contabili non depositate
di Gian Luca Grossi - Studio Pirola Pennuto Zei & AssociatiMarcello Guerzoni - Studio Pirola Pennuto Zei & Associati Scarica in PDFParole chiave: Fallimento – onere della prova – soglie di non fallibilità – bilanci non depositati – valore indiziario del mancato deposito.
Massima: “La Srl non può essere dichiarata fallita solo perché i bilanci non sono depositati alla camera di commercio. La mancanza potrà rilevare solo come eventuale indizio di una non particolare attendibilità delle scritture contabili presentate. Nessuna norma prevede, infatti, che la dimostrazione dei requisiti per evitare il default debba essere effettuata mediante presentazione di documentazione depositata nel registro delle imprese.”
Disposizioni applicate: art. 1 co. 2 l.f – art. 2435 c.c. – art. 15 l.f.
La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 4245, pubblicata il 13 febbraio 2019, si è nuovamente pronunciata sul tema relativo alla prova del mancato superamento delle così dette soglie di non fallibilità (si confronti anche il nostro precedente contributo intitolato: “Soglie di non fallibilità. L’onere della prova “torna” sull’imprenditore quando i bilanci sono inattendibili” reperibile al seguente indirizzo: https://www.eclegal.it/soglie-non-fallibilita-lonere-della-prova-torna-sullimprenditore-bilanci-inattendibili/).
Nel caso di specie, una società (una S.r.l.), proponeva reclamo ex art. 18 L.F. alla Corte d’Appello nei confronti della sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata dal Tribunale di primo grado.
Nel proprio atto di reclamo la fallita eccepiva invero la “mancata sussistenza dei requisiti ex art. 1 comma 2 L.F.”. La Corte territoriale, dal canto suo, motivava il rigetto osservando come la Legge fallimentare ponga a carico del debitore l’onere di provare la sussistenza dei fatti impeditivi della sua fallibilità (art. 1 comma 2 L.F.), ed esso “non può che essere assolto documentalmente attraverso la produzione dei bilanci degli ultimi tre esercizi ovvero … mediante altra certificazione idonea alla prova dei limiti dimensionali (copia del libro inventari relativo agli ultimi tre esercizi o “modello unico” degli ultimi tre anni) … la reclamante non ha assolto l’onere probatorio a suo carico, poiché i due bilanci relativi gli anni 2013 e 2014 da essa prodotti in giudizio … non risultano depositati presso la CCIA”.
La società ricorreva pertanto per Cassazione, con un unico motivo: la violazione dell’art. 1 comma 2 L.F., in quanto “Nessuna norma prevede che la dimostrazione dei requisiti ex art. 1 comma 2 legge fall. debba essere effettuata mediante l’allegazione dei bilanci formalmente depositati ex art. 2435 cod. civ. in Camera di Commercio” e in secondo luogo “i bilanci … non sono in alcun modo stati contestati”.
La Suprema Corte dimostra di condividere l’unico motivo di doglianza della ricorrente tanto da precisare sin da subito come tale motivo debba essere oggetto di accoglimento.
Infatti, osserva la Prima Sezione, non può essere condiviso l’orientamento della Corte territoriale secondo il quale, ai fini della verifica dei requisiti di non fallibilità “sarebbero utilizzabili unicamente i bilanci depositati presso il registro delle imprese”.
A ben vedere, ricorda la Suprema Corte, né le diposizioni della Legge fallimentare (art.1 comma 2 e art. 15 comma 4 L.F.) né quelle societarie (artt. 2435 e 2478 bis c.c.) prescrivono il detto deposito in funzione, lato sensu, “probatoria”. Com’è noto infatti il deposito presso il Registro Imprese dei documenti contabili della società, assolve a una mera funzione pubblicitaria e informativa posta a tutela dei terzi e, più in generale, del mercato; in particolar modo di quei soggetti che, entrati in contatto con l’imprenditore fallendo, possono fare affidamento sui bilanci depositati nel Registro Imprese per conoscere lo stato di salute della società.
E’ appena il caso di precisare come il Legislatore parli correttamente di “deposito” (e non invece di iscrizione) del bilancio, posto che con il primo il documento contabile è solo reso conoscibile (pubblicità notizia), mentre con la seconda esso diverrebbe invece “opponibile” (pubblicità dichiarativa). Mediante il deposito il bilancio diviene quindi pubblico e viene messo a disposizione dei terzi che intendano prenderne visione.
Prosegue a questo punto la Corte osservando come ratio dell’art. 1 comma 2 L.F. vi sia “un’ottica deflattiva al fine di esentare del concorso la crisi di impresa di modeste dimensioni oggettive” (in senso conforme cfr. anche Cassazione 25 giugno 2018 n. 16683); resta pertanto del tutto estranea da tale logica una funzione sanzionatoria dell’imprenditore che non ha redatto e depositato i bilanci.
Logico corollario di quanto sopra è, ad avviso della Prima Sezione, che “il mancato deposito dei bilanci potrà semmai rilevare come indizio di una non particolare attendibilità dei bilanci presentati in quanto frutto espresso di un certo indice di disordine organizzativo dell’imprese che pure li viene a produrre”. Derivandone che “il giudice potrà non tener conto dei bilanci prodotti, rimanendo l’imprenditore diversamente onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità” (cfr. in proposito, recentemente, anche Cassazione 23 novembre 2018 n. 30516).
Orbene, si rammenta come per insegnamento costante in seno alla stessa Corte “ai fini della prova, da parte dell’imprenditore, della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui all’art. 1, comma 2, l.fall., i bilanci degli ultimi tre esercizi costituiscono la base documentale imprescindibile, ma non anche una prova legale” (Cfr. Cass., civ Sez I, 25 giugno 2018, n. 16683 e Cass. Civ. Sez. I, 1 dicembre 2016n. 24548).
Conseguentemente, laddove il giudice ritenga i bilanci inattendibili, l’imprenditore dovrà provare la sussistenza dei requisiti mediante diversi documenti, altrettanto significativi, quali, i conti di mastro, le situazioni contabili di fine anno, i partitari clienti e fornitori, il libro giornale, i registri iva, e le dichiarazioni fiscali, tutti da valutarsi tenendo conto dell’assenza di circostanze di fatto che ne mettano in dubbio l’attendibilità e dell’assenza di altri elementi di giudizio eventualmente contrastanti con le risultanze di tale documentazione (cfr. Cass. civ, Sez I, 18 giugno 2018, n. 16067; Cass. civ, Sez I, 23 novembre 2018, n.30516).
La Corte ha così accolto il ricorso, cassando con rinvio alla Corte di Appello.