Datio in solutum e revocatoria fallimentare
di Mario Furno, Avvocato e Professore a contratto di International Business Law presso l'Università degli Sudi di Verona Scarica in PDFCorte d’Appello di Venezia, sentenza n. 2165/2021 del 14.07.2021 (pubbl. 30.07.2021)
Parole chiave: datio in solutum; revocatoria fallimentare.
Massima: “Non è giuridicamente configurabile che l’obbligazione di pagare il prezzo della compravendita avvenga mediante la restituzione del medesimo bene oggetto del contratto, ossia che “la cosa venduta paghi sé stessa“.
Riferimenti normativi: art. 1197 co. 1 cc; art. 67 co. 1 n. 2 LF
CASO
Con sentenza n. 1965/2017 il Tribunale di Venezia accertava e dichiarava inefficacia nei confronti della massa dei creditori del Fallimento e, conseguentemente, revocava ai sensi dell’art. 67 co. 1 n. 2 del R.D. 16.03.1942 n. 267 tutti i pagamenti che la società – anteriormente al fallimento – aveva eseguito in favore del soggetto concedente a mezzo consegna e/o trasferimento di proprietà a quest’ultima di alcune autovetture.
In particolare, il Tribunale veneziano, ritenendo nella specie assente la prova “della esistenza di valido patto di riservato dominio che le ventiquattro autovetture erano di proprietà” della società concessionaria fallita affermava quale conseguenza che “le consegne di dette autovetture” alla concedente “configurano quindi mezzi di pagamento anomali avvenuti in periodo sospetto e come tali da revocarsi con condanna del convenuto alla restituzione delle stesse o a corrisponderne il controvalore oltre interessi dalla data della domanda al saldo effettivo”
La sentenza era quindi oggetto di appello incidentale che veniva accolto dalla Corte d’Appello di Venezia con la sentenza in commento.
SOLUZIONE
La Corte d’Appello di Venezia ha accolto l’appello incidentale affermando che non vi fosse prova che le parti intendessero compiere una datio in solutum respingendo che le modalità prospettate dal Fallimento attore potessero configurare la dazione di pagamento prevista dall’art. 1197 cc.
Afferma la Corte d’Appello che la riconsegna delle vetture non dimostra affatto una datio in solutum la quale presuppone un accordo in base al quale in luogo del pagamento del prezzo il compratore esegue una diversa prestazione. Nel caso di specie, la Corte di Appello, evidenziato che con la riconsegna delle autovetture la concedente aveva emesso note di credito per annullare gli effetti fiscali delle fatture di vendita, ha ribadito che la restituzione della stessa cosa compravenduta non è suscettibile di configurare una dazione di pagamento.
Secondo il ragionamento della Corte d’Appello il prezzo della cosa non può essere pagato con la cosa stessa, con la conseguenza che il compratore nulla rimane e il venditore si ritrova esattamente la stessa cosa che aveva venduto (si che in ultimo il contratto non ha prodotto alcun risultato).
Ini definitiva, la restituzione delle vetture compravendute ha eliminato gli effetti del contratto di compravendita: da un lato il venditore ha recuperato il possesso delle vetture e dall’altro il compratore si è sgravato dell’obbligo di pagare il prezzo senza però ottenere i beni così che “Viene meno la realizzazione della funzione economico sociale del contratto di compravendita, che non può certamente dirsi adempiuto, neppure con modalità inusuali. In definitiva, occorre ribadire che non è giuridicamente configurabile che l’obbligazione di pagare il prezzo della compravendita avvenga mediante la restituzione del medesimo bene oggetto del contratto, ossia che “la cosa venduta paghi sé stessa””.
QUESTIONI
La sentenza in commento affronta il tema della datio in solutum.
Più in particolare, la Corte d’Appello ha ritenuto dirimente ai fini dell’esclusione della datio in solutum il fatto che la fattispecie non si configurerebbe mai allorquando le restituzioni hanno ad oggetto lo stesso bene compravenduto.
Tuttavia, a parere di chi scrive, la conclusione assunta dalla Corte nella sentenza di cui sopra non appare in linea anzitutto con la previsione di cui all’art. 1197 co. 1 cc. la quale recita “Il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta. In questo caso l’obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita”.
Dalla lettura della norma non è dato, infatti, in alcun modo rilevare l’esistenza di limiti e/o restrizioni all’oggetto della diversa prestazione eseguita dal debitore in luogo dell’adempimento originario, ben potendo la datio in solutum sussistere anche in caso di consegna al venditore dei medesimi beni acquistati ove risulti effettuata al fine di estinguere il debito per il prezzo.
Peraltro, la conclusione assunta dalla Corte d’Appello appare non congrua con il costante orientamento di Codesto Supremo Collegio in tema di revocatoria fallimentare secondo il quale “la restituzione al venditore di merci acquistate e non ancora pagate, eseguita dal compratore al fine di estinguere ogni pregresso rapporto, costituisce […] una datio in solutum qualificabile come mezzo anormale di pagamento ai sensi dell’art. 67, comma 1, n. 2 legge fall.” (così Cass. 14.02.2018, n. 3673 che a sua volta richiama Cass. 193/2001, Cass. 9690/2000, Cass. 5356/1999; vedasi pure, tra le altre, Cass. 22.10.2002, n. 14891).
Si aggiunga che, nel caso in esame, la Corte esclude la configurabilità di una datio in solutum – “quale che sia la ragione per cui le vetture sono state restituite” – e quindi per il solo fatto dell’identità tra bene compravenduto e bene restituito.
Infine, si annota che partendo dall’interpretazione dell’art. 1197 c.c. assunta nel caso di specie (secondo la quale in caso di restituzione della medesima cosa acquistata non si potrebbe configurare affatto datio in solutum), la Corte d’Appello non ha neppure applicato il combinato disposto dagli artt. 1523 e 1524 c.c. come integrato dall’art. 11, comma 3 del D.Lgs. 231/2002: ed infatti, le citate norme, disciplinando le formalità per rendere opponibile il patto di riservato dominio ai creditori del compratore, legittimano la restituzione del bene (in caso di mancato pagamento del prezzo) – così escludendo ogni ipotesi di datio in solutum –, solo nel caso di rigoroso rispetto di dette formalità.
E ciò, si segnala, in contrasto con quanto disposto dal Giudice di primo grado, secondo il quale le formalità non erano state osservate nel caso di specie così che la sussistenza della datio in solutum si era concretizzata proprio per aver la concessionaria restituito beni di sua proprietà, a fronte della estinzione del debito per il pagamento del prezzo con emissione delle note di credito.
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