20 Aprile 2022

Danno da premorienza: per la liquidazione deve tenersi conto della vita effettivamente vissuta

di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. III, ord. 29.12.2021 n. 41933 – Pres. Sestini – Rel. Cirillo

Risarcimento del danno – Morte del danneggiato sopravvenuta nel corso del giudizio – Liquidazione del danno biologico – Criterio di proporzionalità – Durata effettiva della vita – Criteri equitativi.

[1] Qualora la vittima di un danno alla salute sia deceduta prima della conclusione del giudizio, per causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi del defunto iure successionis va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile. Il giudice di merito è tenuto a liquidare tale danno seguendo il criterio della proporzionalità, cioè assumendo come punto di partenza il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino al termine del giudizio e diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti.

CASO

Una donna, nell’atto di attraversare la strada, veniva travolta da un centauro mai identificato, cadendo rovinosamente a terra e riportando un grave danno cerebrale, dal quale derivava uno stato semi-vegetativo.

Il marito della vittima, in qualità di tutore della moglie, medio tempore interdetta a causa delle gravi condizioni di salute, citava in giudizio la compagnia assicurativa, di cui chiedeva la condanna al risarcimento dei danni subìti dalla consorte.

La compagnia assicurativa si costitutiva in giudizio, contestando l’esclusiva responsabilità del motociclista.

Nel corso del giudizio la danneggiata veniva a mancare a causa di un’infezione ed il giudizio veniva proseguito dagli eredi.

In esito alla consulenza tecnica d’ufficio, con cui veniva accertata una invalidità totale del 62%, un’invalidità temporanea totale al 100% di 40 giorni, un’invalidità temporanea parziale al 75% di 50 giorni ed un’invalidità temporanea parziale al 50% di 100 giorni, il Giudice di prime cure condannava la compagnia assicurativa al risarcimento del danno non patrimoniale e del danno biologico.

La compagnia assicurativa proponeva appello e gli eredi della vittima appello incidentale.

La Corte di merito rigettava il gravame incidentale, affermando che il relativo accoglimento presupponeva l’accertamento della positiva esistenza del nesso causale tra le lesioni subìte dalla danneggiata e la morte, ed accoglieva parzialmente l’appello principale proposto dalla compagnia assicurativa, riconoscendo la responsabilità esclusiva del ciclomotore ma diminuendo l’importo liquidato dal Giudice di prime cure, sul presupposto che la morte della danneggiata non poteva essere posta in collegamento di causalità con l’incidente in cui era rimasta coinvolta.

Secondo la Corte territoriale, la liquidazione del danno doveva essere parametrata alla durata effettiva della vita del danneggiato e non alla durata statisticamente probabile ed in applicazione delle tabelle milanesi allora vigenti (2018) aveva ritenuto che l’intensità del danno subìto doveva considerarsi maggiore nei primi due anni e decrescente a partire dal terzo.

Gli eredi della vittima proponevano ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi di doglianza.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, pur ribadendo il ruolo guida delle tabelle milanesi nella liquidazione del danno non patrimoniale, ha, tuttavia, rilevato l’oggettiva iniquità delle stesse con riferimento all’ipotesi del danno c.d. da premorienza, ossia la determinazione del danno non patrimoniale in caso di decesso del danneggiato prima della conclusione del giudizio risarcitorio, per causa diversa dalla lesione.

QUESTIONI

Con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in tema di risarcimento del danno non patrimoniale e, più specificamente, sull’attitudine delle tabelle del Tribunale di Milano a fungere da parametro di riferimento per la liquidazione di tale danno, concludendone nel senso della iniquità dei criteri delle tabelle milanesi per la liquidazione del danno c.d. da premorienza, determinando le stesse effetti palesemente distorsivi.

Respinti i primi tre motivi di doglianza, in particolare quello con cui si insisteva sulla presunta erroneità della valutazione sull’esistenza del nesso causale tra lesioni patite dalla danneggiata e morte, la Suprema Corte accoglieva il quarto, con cui i ricorrenti lamentavano violazione e falsa applicazione dell’art. 3 Cost. e degli artt. 2043 e 2059 c.c., contestando le modalità di liquidazione del danno, non rispondenti ai criteri tabellari che la stessa Corte d’appello aveva dichiarato di voler applicare. Secondo i ricorrenti, la liquidazione del Giudice di secondo grado era iniqua, in quanto determinava un’ingiustificata disparità di trattamento a favore di chi sopravvive fino alla fine del giudizio risarcitorio rispetto a chi viene a mancare nel corso del giudizio, giacché la medesima sofferenza verrebbe valutata in modo diverso.

Tale iniquità non poteva essere corretta neppure con l’aumento per la personalizzazione, essendo esso previsto sia per la tabella principale che per quella della premorienza.

Ne conseguiva, secondo i ricorrenti, che la gravata sentenza violava il principio fondamentale in base al quale a danno uguale deve corrispondere risarcimento uguale.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, dava atto della corretta impostazione della sentenza impugnata, sotto il profilo della liquidazione del danno iure ereditatis, nel caso in cui il danneggiato fosse deceduto per cause non ricollegabili alle menomazioni cagionate dal fatto illecito.

In questi casi, infatti, la quantificazione del risarcimento spettante agli eredi deve essere parametrata all’effettiva durata della vita del defunto, posto che la durata della vita, dopo il verificarsi del fatto illecito e delle sue conseguenze lesive, è un dato noto e non più ancorato alla mera probabilità statistica. Del resto, non sarebbe ammissibile l’ipotesi di un risarcimento del danno per il tempo successivo alla morte dello stesso danneggiato (in tal senso, tra le altre, Cass. civ., 12913/2020; Cass. civ., 10897/2016). Tale principio, infatti, opera solo nel caso in cui la morte sia avvenuta in età precoce, rispetto all’ordinaria aspettativa di vita, dato che, in caso contrario, i normali criteri di liquidazione del danno (punto-base) già tengono conto delle ridottissime aspettative di vita del danneggiato, escludendo ulteriori riduzioni (Cass. civ., 25257/2018).

La Corte territoriale si era mossa, dunque, da una premessa giuridica corretta e parimenti corretta era stata l’applicazione delle tabelle milanesi del 2018 (quelle vigenti all’epoca dei fatti), le quali “nel dettare i criteri di liquidazione del c.d. danno da premorienza, vale a dire il danno alla salute sofferto da persona che venga a mancare, per cause non dipendenti dal fatto illecito, prima che il suo credito risarcitorio sia stato soddisfatto, stabiliscono che per esso spetti una liquidazione maggiore se la morte si verifica entro il primo anno o i primi due anni dalla data del sinistro, per poi riconoscere una somma fissa per ogni ulteriore anno successivo, cioè per ogni anno a partire dal terzo fino al momento della morte”.

Posta la conformità dell’operato della Corte d’appello alle tabelle milanesi, la vera questione, secondo gli Ermellini, era quella di stabilire seper la liquidazione del danno da premorienzale tabelle meneghine, cui era stato affidato il ruolo di guida per la liquidazione del danno non patrimoniale al fine di garantire l’equità della valutazione dei singoli casi concreti e l’uniformità di giudizio in tutto il territorio nazionale, rispettassero il criterio dell’equità.

La tabella relativa al danno c.d. da premorienza muove da due premesse.

La prima è che “un criterio liquidativo diversificato per fasce di età sia inidoneo ad esprimere la peculiarità della fattispecie”, giacché si tratta di un criterio utilizzato per calcolare l’aspettativa di vita, concetto che diviene irrilevante nel momento in cui la persona decede.

La seconda premessa è quella secondo cui il danno non è una funzione costante nel tempo, ma esso è ragionevolmente maggiore in prossimità dell’evento per poi decrescere progressivamente fino a stabilizzarsi.

In altri termini, il criterio di calcolo dettato dalle tabelle milanesi per la premorienza muove dal presupposto per cui se una persona decede a distanza di anni dal sinistro, per cause da esso indipendenti, l’età di questa non ha alcun rilievo ai fini della liquidazione del danno, in quanto esso diminuisce progressivamente con il passare del tempo.

Tale assunto è però errato sia dal punto di vista medico-legale, in quanto i postumi della malattia si definiscono permanenti proprio perché stabili nel tempo, sia sotto un profilo logico-giuridico, poiché applica al danno biologico l’indimostrato presupposto che esso si riduca con il passare del tempo, mentre tale danno si configura piuttosto come una rinuncia forzata ed irreversibile ad una serie di attività, da parte del danneggiato, dovuta alla perdita di alcune abilità, che egli non potrà più recuperare (Cass. civ. 7513/2018).

Secondo l’ordinanza in commento “la seconda premessa dalla quale prende avvio la tabella milanese qui in esame, dunque, finisce con l’applicare al danno biologico, che è lesione permanente e irreversibile del diritto alla salute, un presupposto non dimostrato, e cioè che quel danno si riduca col passare del tempo. Un simile criterio è accettabile in relazione al danno morale inteso come sofferenza giuridicamente rilevante, perché appartiene alla natura dell’essere umano la capacità di adattarsi (entro certo limiti) anche alle più gravi perdite; per cui si può dire che il dolore diminuisce a mano a mano che l’evento dannoso si allontana nel tempo. Il danno biologico, invece, è per sua natura destinato a permanere e si calcola, col sistema del punto, proprio come invalidità permanente”.

Il criterio di liquidazione del danno da premorienza definito dalle tabelle milanesi è, quindi, basato su un presupposto illogico, talché da esso derivano conseguenze inique.

L’iniquità delle tabelle meneghine sta proprio nell’ingiustificata disparità nella liquidazione del danno, secondo che la vittima sia oppure no sopravvissuta almeno fino al termine del giudizio. Nel primo caso, la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, tenuto conto del grado di invalidità e dell’età del danneggiato, sarà decisamente maggiore rispetto a quella spettante al soggetto deceduto prima della fine del giudizio, anche nell’ipotesi in cui entrambi abbiano subìto i medesimi danni e per il medesimo arco temporale.

Per il danno biologico da premorienza non può, quindi, trovare applicazione il criterio risarcitorio normalmente utilizzato per la liquidazione del danno alla persona nell’ipotesi in cui il danneggiato sia ancora in vita, in quanto esso si basa sulla astratta previsione della vita media del soggetto, mentre ove il danneggiato, come nel caso di specie, sia deceduto per causa indipendente dalla lesione, deve adottarsi un criterio che circoscriva la liquidazione al lasso di tempo trascorso tra la lesione e la morte.

La difficoltà di utilizzare il sistema tabellare ordinario per la liquidazione del danno c.d. da premorienza sta nel fatto che tale criterio di liquidazione ritiene il fattore anagrafico come elemento rilevante e significativo per calcolare l’aspettativa di vita, la quale è messa in relazione ad un evento (la morte) ancora incerto (il punto percentuale di invalidità tabellare viene calcolato sul presupposto che la persona danneggiata sia ancora in vita).

Quando, però, il danneggiato venga a mancare, prima che gli sia stato liquidato il risarcimento, la durata della vita è nota, non costituendo più un dato incerto e presunto (basato cioè sulla mortalità media della popolazione) ma un dato reale: ne deriva che il giudice, nel liquidare il danno da premorienza, deve tenere conto non della vita media futura presumibile della vittima ma della vita effettivamente vissuta.

Superati, quindi, i criteri delle tabelle milanesi, la Suprema Corte indica quale criterio da seguire, per non incorrere in iniquità, quello della proporzionalità, secondo cui, ove la vittima di un danno alla salute, conseguenza di un fatto illecito, sia deceduta prima della conclusione del relativo giudizio, per cause non ricollegabili alla menomazione sofferta, l’ammontare del risarcimento spettante agli eredi va parametrato alla durata effettiva della vita del danneggiato e non a quella statisticamente probabile. Va assunto, quindi, quale punto di partenza, il risarcimento spettante, a parità di età e di percentuale di invalidità permanente, alla persona offesa che sia rimasta in vita fino alla fine del giudizio, diminuendo quella somma in proporzione agli anni di vita residua effettivamente vissuti.

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