22 Gennaio 2019

Danno non patrimoniale: il decalogo della Cassazione

di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, Ord., 27 marzo 2018, n. 7513 – Pres. Travaglino – Rel. Rossetti

[1] Risarcimento danni – Danno non patrimoniale – Danno biologico – Danno dinamico-relazionale – Personificazione – Criteri di valutazione e di liquidazione

(Cod. assicurazioni artt. 138 e 139; Cod. civ., artt. 1223, 2043, 2056, 2059; Cost. art. 32).

[1] In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del «danno biologico» e del «danno dinamico-relazionale», atteso che con quest’ultimo si individuano pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale); non costituisce invece duplicazione la congiunta attribuzione del «danno biologico» e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione); ne deriva che, ove sia dedotta e provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione.

CASO

[1] Il caso nasce dall’accoglimento di un risarcimento del danno non patrimoniale incrementato del 25% rispetto al valore standard delle tabelle milanesi giustificato dalla sussistenza di un grave e permanente pregiudizio dinamico-relazionale accertato in sede di CTU medico-legale. Tale liquidazione personalizzata in aumento fu, invece, negata dalla Corte d’appello che riformò la sentenza di primo grado ritenendo che il giudice di prime cure avesse errato nel maggiorare del 25% l’importo del danno biologico in quanto così facendo avrebbe causato una duplicazione del risarcimento dal momento che il pregiudizio dinamico-relazionale subito sarebbe stato già incluso nella quantificazione del danno biologico. Il danneggiato ritenendo nulla e contraddittoria la sentenza d’appello propone ricorso per Cassazione affidato a undici motivi.

SOLUZIONE

[1] Con il quinto motivo di ricorso il danneggiato lamenta l’insanabile contraddittorietà della motivazione della sentenza d’appello nella parte in cui nega la maggiorazione del risarcimento a ristoro del danno dinamico-relazionale subito.

La Suprema Corte, nel ritenere tale motivo infondato, sostiene che la Corte d’appello aveva ben motivato la propria decisione affermando che il criterio di liquidazione del danno alla salute, applicato sulla base delle tabelle, già prevedeva una quota di danno morale soggettivo nell’ambito del danno extrapatrimoniale e che le esigenze di personalizzazione del risarcimento del danno devono muovere da circostanze diverse da quelle che sono diretta e naturale conseguenza del danno biologico. Il pregiudizio consistente nell’impossibilità di dedicarsi ad attività ricreative, quindi, era già stato ristorato con l’applicazione del valore tabellare standard e, pertanto, il giudice di prime cure aveva erroneamente duplicato la liquidazione del medesimo pregiudizio.

La Corte, inoltre, dopo aver ripercorso ed analizzato la natura del danno non patrimoniale e i principi fondamentali affermatisi in giurisprudenza sul risarcimento dello stesso, fornisce un elenco di dieci punti che i giudici di merito dovranno rispettare per la verifica della sua sussistenza e per la quantificazione del danno.

QUESTIONI

[1] A distanza di un decennio dalle celebri sentenze San Martino (Cass. civ. Sez. Un. 11 novembre 2008 nn. 26972, 26973, 26974, 26975) la Suprema Corte torna ad occuparsi del danno non patrimoniale e delle sue varie componenti.

Negli ultimi tempi, infatti, con articolate argomentazioni la Cassazione da un lato ha affermato principi di diritto che, formalmente e dichiaratamente, si pongono nel solco delle sentenze San Martino ma, dall’altro, in realtà, ne ha minato le fondamenta logiche e scientifiche.

Ciò è avvenuto, in particolare, con la sentenza n. 901 del 2018 (v. Cass. 17 gennaio 2018, n. 901 in questa newsletter) e con la sentenza in commento (per un’analisi critica di tale pronuncia v. in dottrina A. PALMIERI, La parvenza dell’unitarietà: il danno non patrimoniale nel decalogo (e sue variazioni) della terza sezione, in Foro it. anno 2018, parte I, col. 2053; G. ALFA, Osservazioni sull’ordinanza n. 7513 del 2018 della corte di cassazione in materia di danno biologico, relazionale, morale, in Nuova Giur. Civ., 2018, 9, 1330; P. G. MONATERI, Danno biologico e danni da lesione di altri interessi costituzionalmente protetti, in Nuova Giur. Civ., 2018, 9, 1341; R. PARDOLESI, Danno non patrimoniale, uno e bino, nell’ottica della cassazione, una e terza, in Nuova Giur. Civ., 2018, 9, 1344; G. PONZANELLI, Le sezioni unite di san martino abbandonate progressivamente dalla terza sezione e dal legislatore, in Nuova Giur. Civ., 2018, 9, 1349).

Uno dei capisaldi della ricostruzione del 2008, elaborata dalle SS.UU., è l’unitarietà della categoria del danno non patrimoniale cui si riferisce l’art. 2059 c.c. (per la nozione di danno non patrimoniale v. L. FIANDACA, Il danno non patrimoniale, Milano, 2009).

Si parla di categoria unitaria salvo, tuttavia, precisare che in questa entità, che dovrebbe essere compatta e omogenea, si distinguono più componenti. Le componenti rilevanti sono il danno biologico (forse attualmente da denominare come danno dinamico-relazionale) e il danno morale (cui si aggiunge talvolta la qualifica di interiore).

La terza sezione della Cassazione, con la sentenza in epigrafe, ha proprio certificato questa doppia anima del danno non patrimoniale e ha redatto un decalogo riepilogativo dei tratti salienti e della portata operativa di tale istituto.

La Corte parte dall’assunto che nella materia del danno non patrimoniale la legge contiene pochissime e non esaustive definizioni. Accade, infatti, che “lemmi identici vengano utilizzati dai litiganti per esprimere concetti diversi e, all’opposto, espressioni diverse vengano utilizzate per esprimere il medesimo significato”. Pertanto, ai fini della risoluzione della controversia, muove proprio dall’esigenza di fare chiarezza su cosa debba intendersi per danno dinamico-relazionale.

Ripercorrendo l’evoluzione della normativa che ha introdotto tale termine, con riferimento anche agli approdi della medicina legale, la Corte giunge ad affermare che il danno alla salute non ricomprende il danno dinamico-relazione ma piuttosto “il danno alla salute è un danno “dinamico-relazionale”. Se non avesse conseguenze “dinamico-relazionali”, la lesione della salute non sarebbe nemmeno un danno medico-legalmente apprezzabile e giuridicamente risarcibile.”

Ne consegue che il danno dinamico-relazionale non è affatto diverso dal danno biologico.

Una lesione alla salute, infatti, come afferma la terza sezione, può avere delle conseguenze dannose diverse ma tutte inquadrabili teoricamente in due gruppi: conseguenze necessariamente comuni a tutte le persone che patiscono quel particolare tipo di invalidità e conseguenze peculiari del caso concreto che abbiano reso il pregiudizio patito dalla vittima diverso e maggior rispetto ai casi consimili. Tanto le prime quanto le seconde conseguenze costituiscono un danno non patrimoniale.

La liquidazione delle prime, tuttavia, presuppone una mera dimostrazione dell’esistenza dell’invalidità mentre la liquidazione delle seconde esige la prova concreta dell’effettivo e maggior pregiudizio sofferto.

Pertanto la perduta possibilità di continuare a svolgere una qualsiasi attività, in conseguenza d’una lesione della salute, non può fuoriuscire da una delle due alternative esaminate: o è conseguenza normale del danno (cioè indefettibile per tutti i soggetti che abbiano patito una menomazione identica) ed allora si riterrà pagata con la liquidazione del danno biologico; ovvero è una conseguenza peculiare ed allora dovrà essere risarcita adeguatamente aumentando la stima del danno biologico attraverso la c.d. personalizzazione. (in giurisprudenza v. Cass. civ. 29 luglio 2014 n. 17219).

Secondo la Corte, quindi, le conseguenze della menomazione sul piano della loro incidenza sulla vita quotidiana e sugli aspetti dinamico-relazionali che sono generali ed evitabili, per tutti coloro che abbiano patito il medesimo tipo di lesione, non giustificano alcun aumento del risarcimento di base previsto per il danno patrimoniale.

Al contrario le conseguenze della menomazione che non sono generali ed inevitabili – rispetto a tutti coloro che hanno patito quel tipo di lesione – ma che sono state patite solo dal singolo danneggiato nel caso specifico, a causa della peculiarità del caso concreto, giustificano un aumento del risarcimento di base del danno biologico.

Ai fini della personalizzazione del risarcimento, quindi, non rileva quale aspetto della vita del danneggiato sia stato compromesso ma rilevano le conseguenze straordinarie in quanto solo in questi casi – non essendo tali circostanze ricomprese nel pregiudizio espresso dal grado percentuale di invalidità – è consentito al giudice di procedere alla relativa personalizzazione in sede di liquidazione. (in giurisprudenza si era già affermato tale principio in Cass. civ. 21 settembre 2017 n. 21939; Cass. civ. 13 agosto 2015, n. 16788; Cass. civ. 7 novembre 2014, n. 23778).

Date queste premesse e sulla base dei principi espressi la Suprema Corte ha stabilito che “soltanto in presenza di circostanze “specifiche ed eccezionali”, tempestivamente allegate dal danneggiato, le quali rendano il danno concreto più grave, sotto gli aspetti indicati, rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti dai pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età è consentito al giudice con motivazione autentica e non stereotipata di incrementare le somme dovute a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della liquidazione”. (così anche in Cass. civ. 18 novembre 2014 n. 24471).

La terza sezione, in ultima battuta, attraverso un’articolazione in dieci punti nota come decalogo della Cassazione, riassume i principi di diritto esposti in materia di danno non patrimoniale.

Anzitutto parte dall’assunto che esistono solo due categorie di danno risarcibile: il danno patrimoniale e quello non patrimoniale. Quest’ultimo, poi, costituisce una categoria giuridicamente unitaria, nel senso che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori.

Ne consegue che il giudice, nel liquidare questo tipo di danno, da un lato, deve prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell’illecito e, dall’altro, deve evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici. Da ciò l’importanza dell’istruttoria, dove si dovrà accertare in concreto l’esistenza dei pregiudizi senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio.

La Corte precisa, inoltre, al sesto e settimo punto, che costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico e l’attribuzione di una ulteriore somma a titolo danno dinamico-relazionale. Ciò in quanto la misura standard del risarcimento prevista dalla legge, o dalle tabelle utilizzate nei tribunali, può essere aumentata “solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari”. Invece, le conseguenze dannose che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire, non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

Da ciò l’assenza di duplicazione risarcitoria in presenza dell’attribuzione di una somma di denaro, a titolo di risarcimento del danno biologico, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento “dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione)”.

Si tratta, in altre parole, del c.d. danno morale, che viene tenuto nettamente distinto da quello dinamico-relazionale.

La Cassazione conclude, infine, al decimo punto, affermando che anche il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di altri interessi costituzionalmente tutelati (diversi dal diritto alla salute), va liquidato allo stesso modo tenendo conto, cioè, tanto dei pregiudizi patiti dalla vittima nella relazione con sé stessa (il c.d. danno morale interiore), quanto di quelli relativi alla dimensione dinamico-relazionale della vita del soggetto leso. Nell’uno e nell’altro caso di dovrà procedere senza automatismi risarcitori e dopo un’accurata e approfondita istruttoria.