Danno da lesione del rapporto parentale: il criterio della convivenza
di Daniele Calcaterra, Avvocato Scarica in PDFCass. Civ., 24 marzo 2021, n. 8218, Ord., Pres. Dott.ssa A. Amendola
Danni in materia civile – Danno non patrimoniale – Danno da lesione del rapporto parentale – requisito della convivenza – Esclusione (art. 2059 c.c.)
In relazione al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, se da un lato, occorre certamente evitare il pericolo di una dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati secondari, dall’altro non può tuttavia condividersi l’assunto che il dato esterno ed oggettivo della convivenza possa costituire elemento idoneo di discrimine e giustificare dunque l’aprioristica esclusione, nel caso di non sussistenza della convivenza, della possibilità di provare in concreto l’esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto.
CASO
Tizio e Caia convenivano in giudizio Mevio e Filano – rispettivamente conducente e proprietario del veicolo investitore – e la compagnia Alfa Assicurazioni, chiedendone la condanna al risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale patito dai primi per la morte della zia, verificatesi in seguito al sinistro stradale nel quale quest’ultima veniva investita, mentre attraversava la strada, dal veicolo condotto da Mevio.
Il tribunale rigettava la domanda ritenendo l’esclusiva responsabilità del pedone nella causazione del sinistro, mentre la Corte d’appello la rigettava per l’assorbente ragione che Tizio e Caia non avrebbero avuto la legittimazione a pretendere il risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale perché non conviventi con la loro zia.
Tizio e Caia propongono ricorso per Cassazione denunciando l’erroneità della regola di diritto applicata, in quanto non rispettosa del principio per cui il dato esterno e oggettivo della convivenza non costituisce elemento idoneo a escludere a priori il diritto del non convivente al risarcimento del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, accoglie il ricorso.
QUESTIONI
Il fatto illecito costituito dall’uccisione di un congiunto, quando colpisce soggetti legati da uno stretto vincolo di parentela, dà luogo ad un danno non patrimoniale consistente nella perdita del rapporto parentale, la cui estinzione lede il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della scambievole solidarietà che caratterizza la vita familiare nucleare.
La S.C. nella decisione in commento ribadisce un principio giurisprudenziale oramai costante e secondo cui ai prossimi congiunti della vittima di un sinistro mortale spetta anche il risarcimento di una tale voce di danno. La legittimazione a chiedere il risarcimento è attribuita evidentemente ai prossimi congiunti a causa della sussistenza in capo a costoro di sofferenze e patemi d’animo, cagionati dalla perdita della persona cara e immediatamente ricollegabili all’illecito.
Il problema sta piuttosto nell’individuazione, nell’ampia cerchia dei congiunti, dei soggetti ai quali riconoscere la legittimazione a pretendere il ristoro.
Secondo la S.C. il risarcimento del danno non patrimoniale, derivante dalla morte ex delicto, va riconosciuto in favore dei prossimi congiunti (iure proprio, cioè indipendentemente dalla loro qualità di eredi), quando il rapporto di stretta parentela con la vittima, le condizioni personali ed ogni altra circostanza del caso concreto evidenzino un grave perturbamento del loro animo e della loro vita familiare, per la perdita di un valido sostegno morale. E ciò anche a prescindere dall’eventuale pregressa cessazione della situazione di convivenza con la vittima medesima, la quale di per sé non può configurare elemento indiziario idoneo a sorreggere la congettura del venir meno della comunione spirituale fra congiunti, con conseguente riduzione della sofferenza dei superstiti a un livello giuridicamente irrilevante.
Devono quindi senz’altro considerarsi come aventi diritto anzitutto il coniuge ed i figli e cioè tutti i componenti della cosiddetta famiglia nucleare, per i quali appare irrilevante anche la cessazione della convivenza. In altri termini, per i componenti della famiglia nucleare la legittimazione a chiedere il risarcimento per il danno non richiede altra verifica che quella del rapporto di stretta parentela, salva la prova (che dovrà, secondo le regole generali, fornire il danneggiante) che, nonostante il legame di parentela, il rapporto tra superstite e vittima era deterioralo al punto tale da escludere che il primo abbia sofferto per la morte della seconda.
L’evoluzione giurisprudenziale è però nel senso di spostare l’attenzione dall’aspetto meramente formale, la famiglia nucleare propriamente considerata, a uno sostanziale e cioè l’intensità del rapporto affettivo, dando ulteriore rilievo all’accertamento probatorio. Già in altre occasioni la S.C. ha evidenziato infatti che se la convivenza non può assurgere a connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità dei rapporti parentali ovvero a presupposto dell’esistenza del diritto in parola, la stessa costituisce elemento probatorio utile, unitamente ad altri elementi, a dimostrare l’ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare anche il quantum debeatur. Per evitare la dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiali secondari è sufficiente che sia fornita la prova rigorosa degli elementi idonei a provare la lamentata lesione e l’entità dei danni (Cass. 13/22110; Cass. 13/23917; Cass. 11/21101; Cass. 11/1410) e che tale prova sia correttamente valutata dal giudice (Cass. 16/21230). Con tale ultima pronuncia la S.C. apre dunque le porte a un ampliamento della cerchia dell’ambito parentale quale società naturale, ma al contempo richiede un maggiore e più stringente onere probatorio per quei soggetti non facenti parte della famiglia nucleare.
Si ha quindi un contesto giurisprudenziale in cui, pur potendo ritenersi ammissibile un risarcimento al di fuori della stessa famiglia nucleare, si richiede un maggiore e più circostanziato onere probatorio nel passare dai componenti della famiglia nucleare, in cui l’elemento presuntivo è ritenuto sufficiente potendo altre circostanze incidere sulla maggiore o minore intensità del rapporto affettivo, ad una prova attenuata quale può essere il caso del rapporto nonni – nipoti (Cass. 16/21230).
Per quanto riguarda altri parenti, invece, sembra necessario un onere probatorio più pregnante, tale da dimostrare, con alta probabilità, la sussistenza di un rapporto effettivo particolarmente intenso. Ciò sembrerebbe essere confermato dal fatto che la Suprema Corte è giunta ad ammettere il diritto al risarcimento da perdita parentale anche a favore del coniuge separato, ma solo a condizione che, nonostante la separazione, sussista ancora un vincolo affettivo particolarmente intenso (Cass. 13/1025).
In ogni caso, secondo la S.C. non sarebbe possibile limitare la “società naturale” della famiglia cui fa riferimento l’art. 29 della Costituzione all’ambito ristretto della sola c.d. famiglia nucleare, incentrata su coniuge, genitori e figli, ma dovrebbe farsi riferimento a un complesso più ampio ed esteso. In fin dei conti, si osserva, l’art. 2 della Costituzione impegna lo Stato a garantire i diritti inviolabili dell’uomo anche all’interno delle formazioni sociali di cui la famiglia, ancorché non nucleare, è sicuramente molto importante per l’espletamento della propria personalità (Trib. di Lucca, sent. n. 950/2017).