Il danno alla persona
di Daniele Calcaterra, Avvocato Scarica in PDFAbstract
Il danno alla persona è una categoria ampia che comprende tutti i danni, patrimoniali e non, che sono cagionati ad un soggetto, tra cui, a titolo esemplificativo, il danno alla salute, il danno biologico, il danno esistenziale, il danno morale, ecc.
L’istituto è stato oggetto di una profonda rivisitazione negli ultimi decenni e, in particolar modo negli ultimi anni, si è assistito a un progressivo mutamento di prospettiva perché l’iniziale fisionomia di tipo prettamente patrimoniale (ove erano considerati eccezionali i risarcimenti per le voci di danno che non fossero stati calcolabili dal punto di vista economico) ha registrato sempre più l’apertura ad un’ottica di tipo non patrimoniale, in forza della quale qualsiasi tipo di lesione, anche non patrimoniale, deve essere risarcita.
Il profilo del danno non patrimoniale è quello che più di ogni altro è stato oggetto di approfondimento, talché vale la pena tracciare per sommi capi l’evoluzione che ha subito.
L’evoluzione del danno non patrimoniale. Gli inizi
In passato, all’alba dell’entrata in vigore del codice civile e così pure per i decenni successivi, gli interpreti ritenevano che il danno alla persona risarcibile potesse essere pressoché esclusivamente di tipo patrimoniale, intenso quest’ultimo come una diminuzione del patrimonio quantificabile e calcolabile.
Il risarcimento del danno non patrimoniale non era invece frequente, perché limitato alle sole ipotesi in cui nella condotta vi fossero gli estremi del reato, tale essendo l’interpretazione corrente dell’art. 2059 c.c. (che limita il risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi previsti dalla legge).
Il sistema, sulla carta, era dunque bipolare, perché il danno poteva essere patrimoniale (risarcibile ex art. 2043 c.c.) o non patrimoniale (risarcibile ex art. 2059 c.c.), ma in quest’ultimo caso risarcibile solo in ipotesi di reato e con un sistema di calcolo sostanzialmente pur sempre legato al patrimonio del danneggiato.
Gli anni ’80
Il sistema appena delineato fu ritenuto progressivamente non in linea con un senso di giustizia sostanziale e con il dettato costituzionale, soprattutto in giurisprudenza, che iniziava in quegli anni, facendo ricorso a una vera e propria fictio iuris, a riconoscere come danni patrimoniali (quindi senz’altro risarcibili) anche quelli che, in teoria, non lo sarebbero stati, come il danno alla vita di relazione, il danno estetico, ecc.
Il fondamento giuridico del ragionamento propugnato dalle Corti era rappresentato dall’art. 32 della Carta Costituzionale, che, prevalendo sull’art. 2059 c.c., avrebbe consentito la configurabilità di ulteriori e diversi ipotesi di danno risarcibile rispetto a quelle in precedenza ritenute sussistere.
Gli argomenti sottesi all’evoluzione che si andava delineando possono essere così riassunti:
- tutelare la vittima solo in caso di reato sarebbe stato anzitutto ingiusto;
- la persona umana non ha prezzo e quindi nessuno potrà mai veramente risarcire la perdita di un braccio, di una gamba o della vita. L’unico modo per riparare questi danni è solo quello economico, ma risarcire per la perdita di una gamba un ricco uomo d’affari e non risarcire un disoccupato solo per la differenza di reddito, si traduce nell’aggiungere un’ingiustizia ulteriore, perché si finisce per non dare alcuna tutela proprio al soggetto più debole (il disoccupato);
- il codice civile del ‘42 tendeva a privilegiare gli aspetti patrimoniali della persona, secondo una concezione non più in linea con le innovazioni introdotte dalla Costituzione, che tendono a rivalutare la persona nei suoi aspetti di vita soprattutto non patrimoniali ed umani;
- le norme della Costituzione devono essere considerate norme precettive, non meramente programmatiche, e quindi di immediata applicazione. Da qui l’applicazione dell’arti. 32 ai rapporti giuridici e quindi il riconoscimento del danno alla salute indipendentemente da quanto dispone l’art. 2059 c.c.
La prima novità fu quella di elaborare la nozione di “danno biologico”, definito come “il danno all’integrità psico-fisica del soggetto”, atto a comprende il risarcimento di tutti i danni che la persona ha subito a seguito dell’illecito, indipendentemente dalle conseguenze sul patrimonio.
Il danno biologico ha avuto il suo riconoscimento giuridico, come autonoma fattispecie di danno risarcibile, con la sentenza n. 184/1986 della Corte Costituzionale che lo ha collocato all’interno dell’art. 2043 c.c. (ex art. 32 Cost.). La Corte Costituzionale, quindi, preso atto del diritto vivente, secondo il quale l’art. 2059 c.c. attiene esclusivamente ai danni morali subiettivi e l’art. 2043 c.c. è la disposizione che disciplina la risarcibilità del danno biologico, aveva previsto il cumulo tra le tre voci di danno: patrimoniale, morale e biologico (quale tertium genus).
Con l’individuazione del danno biologico, il sistema del danno alla persona poteva essere così riassunto:
- danno patrimoniale, risarcibile ex art. 2043 c.c. in caso di comprovata perdita patrimoniale;
- danno non patrimoniale o morale, risarcibile ex art. 2059 c.c. solo in caso di reato;
- danno alla salute, risarcibile in ogni caso in base all’applicazione diretta dell’art. 32 Cost.
Il danno alla persona dal 2000 al 2008
Con il passare degli anni, in giurisprudenza si viene delineando la figura del danno esistenziale, definibile come la perdita della facoltà di godersi la vita, o come “il disagio arrecato all’esistenza e al benessere della vita quotidiana”; danno questo non patrimoniale ma che viene risarcito anche quando non è dimostrato un danno biologico o alla salute.
In particolare, utilizzando il varco offerto dall’art. 2 Cost., la S.C. affermava l’importante principio per cui la tutela risarcitoria andava estesa a “tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana” (Cass. n. 7713/2000), ammettendo l’autonoma risarcibilità del danno esistenziale ex art. 2043 c.c. (Cass. n. 9009/2001). Si affermava ancora che il danno esistenziale dovesse assurgere a categoria ampia entro la quale far rientrare “le sottocategorie del danno biologico di natura psicofisica da un lato e le altre ipotesi risarcitorie diverse dalla tutela del diritto alla salute dall’altro” (Corte Conti, n. 10/2003), facendo, quindi, permanere la tradizionale tripartizione del sistema risarcitorio, ma sostituendo la terza voce (il danno biologico), con quella del danno esistenziale, ovvero ritenendo che lo stesso dovesse costituire un quartum genus, da affiancare al danno biologico, per la tutela dei diritti garantiti costituzionalmente e diversi da quello alla salute.
In questo quadro, in continua evoluzione, si collocano i cambiamenti del 2003.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 233/2003 interpretò, infatti, l’art. 2059 c.c. nel senso che il danno non patrimoniale, in quanto riferito all’astratta fattispecie di reato, è risarcibile anche nell’ipotesi in cui, in sede civile, la colpa dell’autore del fatto risulti da una presunzione di legge. Tale sentenza, richiamando l’orientamento giurisprudenziale contenuto nelle sentenze n. 8827/2003 e n. 8828/2003 della Cassazione, riconduceva il danno alla persona nel quadro di un sistema bipolare del danno patrimoniale e non patrimoniale. Nelle suddette sentenze, la S.C. infatti riteneva che la riserva di legge contenuta nell’art. 2059 c.c. non potesse operare esclusivamente a favore dell’art. 185 c.p., non essendo più, come all’epoca dell’emanazione del codice civile, l’unica previsione espressa del risarcimento del danno non patrimoniale. La conclusione della Corte era quindi quella per cui il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale. Il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili della persona non aventi natura economica, implicitamente esigeva la tutela di tali diritti, per cui la loro lesione avrebbe configurato un caso, determinato dalla legge al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale. Si trattava in buona sostanza di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. e della tutela risarcitoria della persona che andava ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale: quest’ultimo comprensivo del danno biologico in senso stretto, del danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso e dei pregiudizi diversi ed ulteriori (danno esistenziale), purché conseguenti alla lesione di un interesse costituzionalmente protetto.
Il sistema a partire dal 2000 e fino al 2008 era quindi schematizzabile in questo modo:
- danno patrimoniale, risarcibile ex art. 2043 c.c. sempre;
- danno non patrimoniale o morale, risarcibile ex art. 2059 solo in caso di reato;
- danno alla salute, risarcibile in ogni caso ex art. 32 Cost.;
- danno esistenziale, risarcibile nel caso si possa dimostrare una effettiva compromissione della capacità di godere di alcuni aspetti della vita.
Data la difficoltà di inquadrare quest’ultima figura di danno, vista da alcuni come una duplicazione del danno morale, da altri come figura autonoma di tipo patrimoniale, da altri ancora come figura non patrimoniale, si aspettava da più parti l’intervento delle SS.UU., a chiarificazione dei punti più controversi.
Il sistema attuale dopo le SS.UU del 2008: il sistema bipolare
Con le sentenze nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008 le Sezioni Unite della Cassazione intervengono finalmente in argomento, confermando l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., così come proposta dalle sentenze del 2003 e risistemando la materia del danno alla persona.
Questi i principi enucleati dalle SS.UU:
- l’art. 2059 c.c. non limita il risarcimento del danno non patrimoniale al solo danno morale da reato, ma lo limita ai soli casi previsti dalla legge, dovendosi intendere per tale qualsiasi legge, primaria, secondaria, costituzionale o comunitaria, e persino i principi fondamentali dell’ordinamento;
- non esiste una autonoma categoria di danno esistenziale, o di danno alla salute; esiste invece come categoria autonoma solo la categoria del danno patrimoniale, affiancata da quella del danno non patrimoniale. Il sistema è cioè bipolare nel senso che esiste il “danno patrimoniale” e il “danno non patrimoniale”, categorie all’interno delle quali devono essere ricomprese tutte le altre tipologie di danno, che vanno considerate mere sottocategorie, o specificazioni, delle due categorie principali.
Il sistema del danno alla persona può quindi essere, oggi, schematizzabile in questo modo:
- danno patrimoniale, risarcibile ex art. 2043 c.c. sempre;
- danno non patrimoniale, risarcibile ex art. 2059 c.c. nei casi previsti dalla legge (ordinaria, costituzionale, o comunitaria).
Si tratta di un sistema comunque “bipolare”, perché anziché suddividere il danno alla persona in una pluralità di voci di danno, si compone di due sole grandi voci (danno patrimoniale e non patrimoniale) al cui interno rientrano tutte le altre, con la conseguenza che:
- in caso di domanda risarcitoria, è sufficiente che il danneggiato chieda il risarcimento dei soli danni patrimoniale e non patrimoniale per vedersi riconosciute tutte le voci che rientrano in queste due categorie (mentre in precedenza il danneggiato aveva l’onere di indicare espressamente tutti tipi di danno che intendeva ottenere);
- la richiesta in sede di appello o di comparsa conclusionale di una voce di danno non richiesta con l’atto introduttivo (ad esempio il danno esistenziale) non è considerata domanda nuova;
- il giudice può – senza violare il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – riconoscere il danno alla salute o quello esistenziale, anche se non è stato richiesto dal danneggiato, a patto che questi abbia indicato genericamente almeno la voce del “danno non patrimoniale”;
- non hanno più significato le dispute sull’inquadramento delle singole figure di danno, perché vengono ad essere ricompresi nell’ampia categoria del danno non patrimoniale.