6 Dicembre 2022

I criteri di individuazione della “soccombenza reciproca” nella liquidazione delle spese di giudizio

di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDF

Cass. sez. un., 31 ottobre 2022, n. 32061 – Pres. De Chiara e Rel. Mercolino

Spese di giudizio – Art. 92 cpc – Domanda articolata in un unico capo – Accoglimento in misura ridotta – Reciproca soccombenza – Esclusione – Condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali – Non sussiste – Compensazione totale o parziale – Giustificazione

(art. 92, 360, co. I, n. 3, c.p.c.)

Massima: “In tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, secondo comma cod. proc. civ.”.

CASO

Una disputa tra fratelli portava alla notifica di un atto di precetto nei confronti di uno di essi per il pagamento di competenze legali liquidate in una sentenza. In sostanza, gli intimanti chiedevano il pagamento delle spese di lite e quelle per il precetto (per una totale di € 5.982,08)

Il debitore formulava opposizione al precetto, principalmente, perché l’importo richiesto per le spese del giudizio d’appello non era corretto, al pari del compenso dovuto per l’atto di precetto.

I creditori riconoscevano di aver erroneamente indicato l’importo delle spese di lite del giudizio d’appello e delle spese per il precetto, ma per il resto confermavano l’esistenza del credito.

Il Tribunale accoglieva parzialmente le ragioni del debitore, riconoscendo, per il resto, il diritto dei creditori a procedere ad esecuzione limitatamente alla somma di € 5.740,85. I Giudice dell’opposizione compensava per la metà le spese processuali, che poneva, per il residuo, a carico dei creditori.

La sentenza veniva impugnata e la corte d’appello accertava che l’opposizione era parzialmente fondata, dichiarando sussistente il diritto degli appellanti a procedere ad esecuzione forzata, limitatamente all’importo di Euro 5.872,08, compensando per un decimo le spese di entrambi i gradi e  ponendo i restanti nove decimi a carico del debitore opponente.

A fondamento della decisione, la Corte riconosceva, anzitutto, l’ammissibilità delle censure riguardanti la determinazione della somma dovuta. Nel merito, riteneva sussistente l’interesse ad agire, nonostante l’esiguità dell’importo contestato, rilevando che l’opposizione aveva ad oggetto anche altri profili dell’atto di precetto, e dichiarando, invece, inammissibile, per difetto d’interesse, la questione concernente la cessazione della materia del contendere.

Avverso la suddetta sentenza l’opponente proponeva ricorso per cassazione, basato su un solo motivo, in cui lamentava la violazione di legge di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. sia il vizio di omesso esame di un fatto decisivo. In particolare, deduceva che la corte d’appello avrebbe violato l’art. 91 c.p.c., avendolo condannato alla rifusione delle spese di lite, in favore delle controparti, nonostante questi dovesse ritenersi la parte vittoriosa: all’esito del doppio grado di giudizio, la sua opposizione a precetto era stata accolta, sia pure in misura inferiore al richiesto.

QUESTIONI

La terza sezione della Cassazione rimetteva gli atti la Primo Presidente, per l’assegnazione alle Sezioni Unite, dando atto della presenza di diversi orientamenti in ordine alla condanna alle spese della parte vittoriosa in giudizio, anche se parzialmente.

Secondo un primo orientamento, l’attore che, all’esito finale della lite, risulti vittorioso per effetto dell’accoglimento anche non integrale della sua domanda, non può subire la condanna al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte soccombente.

In base a tale impostazione, la riduzione, sia pure sensibile, della somma richiesta con la domanda giudiziale non determina la soccombenza reciproca. Inoltre, la soccombenza costituisce il presupposto della condanna alle spese solamente se si sostanzia nel rigetto integrale della domanda. La mera resistenza del convenuto alla pretesa dell’attore, in quanto eccessiva o solo parzialmente fondata,  non si trasforma in domanda riconvenzionale (Cass. 15 dicembre 2017, n. 30210; Cass., 19 ottobre 2015, n. 21083; Cass. 23 gennaio 2012, n. 901; Cass. 23 giugno 2000, n. 8532; Cass. 17 marzo 1997, n. 2337; Cass.. 3 marzo 1994, n. 2124; Cass. 24 aprile 1987, n. 4012; Cass. 30 aprile 1979, n. 2513; Cass. 8 gennaio 1968, n. 46; Cass. 20 dicembre 1962, n. 3388).

Più di recente, si è andato affermando un secondo orientamento, secondo cui la soccombenza reciproca, che, ai sensi dell’art. 92, secondo comma, c.p.c., giustifica la compensazione totale o parziale delle spese processuali, può essere ravvisata, non solo in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti, ma anche nell’ipotesi di accoglimento parziale dell’unica domanda proposta.  Il principio vale sia ove la pretesa attorea sia articolata in più capi, alcuni dei quali siano stati accolti, sia nel caso in cui essa sia stata formulata in un unico capo e sia stata accolta parzialmente.

Quindi, per tale orientamento, l’attore/ricorrente può essere condannato alle spese di lite anche se è risultato parzialmente vittorioso. Ciò può accadere quando la sua pretesa è stata accolta per un valore molto limitato rispetto all’oggetto della domanda, o quando la parte, con il suo comportamento processuale, ha determinato un aumento delle spese (Cass. 22 agosto 2018, n. 20888; Cass. 24 aprile 2018, n. 10113; Cass. 22 febbraio 2016, n. 3438; Cass. 23 settembre 2013, n. 21684; Cass. 30 marzo 2011, n. 7307).

Ai fini dell’identificazione della parte alla quale sono imputabili in misura prevalente gli oneri processuali, il giudice di merito deve effettuare una valutazione discrezionale, imputando idealmente a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver resistito a pretese fondate ovvero per aver avanzato pretese infondate.

Vi sono opinioni intermedie, secondo cui, in caso di accoglimento parziale della domanda, il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa. Quest’ultima, comunque, non può essere condannata, anche parzialmente, a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca, poiché la condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionali di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa. (Cass. 24 ottobre 2018, n. 26918; Cass. 23 gennaio 2018, n. 1572).

Nel sollecitare la rimessione della questione all’esame delle Sezioni Unite, la Terza Sezione civile svolge alcune considerazioni, contrastanti con l’orientamento che ritiene ammissibile la condanna della parte parzialmente vittoriosa alla rifusione delle spese di lite:

a) sul piano dell’interpretazione letterale, il rapporto tra la condanna alle spese e la compensazione delle stesse si configura come la relazione che sussiste tra “regola” ed “eccezione”. La prima è prevista in via generale dall’art. 91 c.p.c. e la seconda è contemplata nell’art. 92, qualora ricorrano determinate condizioni (violazione del dovere di correttezza, soccombenza reciproca o sussistenza di gravi motivi), in assenza delle quali torna ad operare la regola “victus victori” (Cordopatri, Un principio in crisi: victus victori, in dir. proc., 2011, 265);

b) sul piano dell’interpretazione logica, l’affermazione secondo cui la proposizione di una domanda di condanna eccedente la reale entità del credito costringe il convenuto a sostenere maggiori costi per la difesa, non considera il fatto che il diritto al rimborso delle spese non preesiste alla sentenza, ma sorge con essa, e prescinde dalla considerazione delle spese che la parte soccombente ha dovuto sostenere per contrastare l’iniziativa giudiziaria avversa,

c) nel caso in cui la domanda risulti eccessiva, il soccombente è tutelato dal principio, stabilito dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 5, comma 1, per cui le spese dovute alla parte vittoriosa vanno liquidate in base al decisum;

d) sotto il profilo pratico, distinguere i maggiori oneri che il convenuto ha dovuto affrontare a causa dell’esosità della pretesa dell’attore da quelli che avrebbe dovuto comunque sostenere per la propria difesa potrebbe risultare velleitario, oltre che incompatibile con le esigenze di semplificazione ricollegabili al principio di ragionevole durata di cui all’art. 111 Cost., comma 2,

e) qualificare la vittoria parziale come soccombenza parziale significa equiparare la posizione dell’attore a quella del convenuto, trascurando il fatto che solo il primo è costretto a ricorrere al giudice per far valere il proprio diritto, ed inducendolo pertanto indirettamente ad astenersi dal suo esercizio, in tutti i casi in cui il costo della lite possa superare il valore della stessa, in contrasto con l’art. 24 Cost.,

f) l’orientamento in questione allarga eccessivamente l’area della discrezionalità del giudicante, attribuendogli poteri valutativi assai ampi ed insindacabili in sede di legittimità.

SOLUZIONE

La suprema Corte risolve il contrasto giurisprudenziale segnalato dall’ordinanza interlocutoria,  statuendo che “in tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92 c.p.c., comma 2“.

Nello specifico, la Cassazione ritiene non del tutto corretto l’orientamento che consente la condanna della parte “parzialmente vittoriosa” alla rifusione delle spese di lite,  accogliendo, invece, la tesi del primo orientamento sintetizzato. Tale impostazione, oltre a risultare maggiormente conforme alla disciplina delineata dal Codice di procedura civile, orientata in senso favorevole a una limitazione della discrezionalità dell’autorità giudiziaria sulla materia della regolamentazione delle spese processuali, ha voluto circoscrivere la fattispecie di soccombenza reciproca, prospettando una regola di facile applicazione, che garantisce il pieno diritto alla tutela davanti al giudice e, nel contempo, evita incertezze operative.

In conclusione, a parere di chi scrive, la decisione in commento pare corretta: si tratta di una lettura in linea con il principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), che impone di preferire, per quanto possibile, soluzioni indirizzate al contenimento delle fasi e dei tempi del giudizio.

Tuttavia, se si volesse fare un appunto alla pronuncia, quest’ultima non sembra prendere in considerazione il caso limite di un accoglimento così parziale da potersi definire soccombenza.

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