21 Novembre 2023

I criteri di chiarezza e sinteticità nella redazione degli atti processuali

di Giuseppe Vitrani, Avvocato Scarica in PDF

Come noto, la riforma del processo civile ha codificato il principio di chiarezza e sinteticità degli atti processuali intervenendo sull’art. 121, la cui rubrica recita ora: “Libertà di forme. Chiarezza e sinteticità degli atti”. In chiusura dell’unico comma del suddetto articolo è stata poi inserita la previsione secondo cui “tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico”.

Va subito detto che non si tratta di disposizione rivoluzionaria posto che questi principi, seppur non espressamente codificati, sono da tempo considerati applicabili agli atti processuali, in particolare perché giustamente considerati come una delle modalità di concreta attuazione del giusto processo ex art. 111 Cost. Inoltre, prima dell’introduzione della norma in commento, esistevano già indici normativi e giurisprudenziali che facevano propendere per la loro operatività nel processo civile.

Innanzitutto occorre ricordare che l’art. 16-bis, comma 9-octies (ora abrogato) prescriveva che gli atti e i provvedimenti depositati telematicamente dovessero essere redatti in maniera sintetica. Inoltre, la Corte di Cassazione affermava correntemente che il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali, fissato dall’art. 3, comma 2, del c.p.a., esprimeva un principio generale del diritto processuale, destinato a operare anche nel processo civile, ed esponeva il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto pregiudica l’adeguata intellegibilità delle questioni, qualora renda effettivamente oscura l’esposizione dei fatti di causa e così confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 cod. proc. civ., assistite – queste sì – da una sanzione testuale di inammissibilità” (v. ad esempio Cass. 13 febbraio ’23, n. 4300).

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