Il creditore può chiedere la risoluzione del contratto in via surrogatoria
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. II, 31 ottobre 2024, n. 28148 – Pres. Di Virgilio – Rel. Caponi
Parole chiave: Azione surrogatoria – Risoluzione del contratto per inadempimento – Ammissibilità – Fondamento
[1] Massima: Il creditore, nell’ambito dell’azione surrogatoria ai sensi dell’art. 2900 c.c., è legittimato a chiedere la risoluzione per inadempimento del contratto concluso dal proprio debitore, nonostante il carattere personale dell’azione di risoluzione, essendo ciò giustificato dall’inerzia del debitore e dalla necessità di preservare la garanzia patrimoniale del credito.
Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1460, 2900
CASO
La curatela fallimentare proponeva un’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore della società fallita e, all’esito del giudizio, otteneva sentenza di condanna al pagamento dell’importo liquidato.
Alcuni anni dopo, la curatela conveniva in giudizio il medesimo amministratore e la società cui questi aveva promesso in vendita un immobile, chiedendo, in via surrogatoria, la risoluzione per inadempimento del rapporto sorto in virtù della sentenza del Tribunale di Milano che, ai sensi dell’art. 2932 c.c., aveva disposto il trasferimento della proprietà dell’immobile in favore della promissaria acquirente, condizionatamente al pagamento del saldo prezzo, che, secondo quanto sostenuto dalla curatela, non era mai avvenuto.
Il Tribunale di Milano dichiarava il difetto di legittimazione attiva della curatela, ma, all’esito del giudizio di secondo grado, la Corte d’appello di Milano accoglieva la domanda di risoluzione proposta in via surrogatoria.
La sentenza veniva gravata con ricorso per cassazione dalla società che aveva acquistato l’immobile.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione, pur avendo accolto il ricorso, ha confermato la legittimazione della curatela a proporre, in via surrogatoria, l’azione di risoluzione per inadempimento.
QUESTIONI
[1] L’azione surrogatoria, al pari dell’azione revocatoria e del sequestro conservativo, costituisce uno strumento di conservazione della garanzia patrimoniale, attribuendo al creditore il potere di esercitare i diritti o le azioni a contenuto patrimoniale appartenenti al proprio debitore nei confronti dei terzi, ogni volta che il debitore ne trascuri l’esercizio con eventuale danno per la realizzazione futura del credito.
L’azione surrogatoria mira a consentire al creditore di prevenire e neutralizzare gli effetti negativi che possono derivare alle sue ragioni dall’inerzia del debitore che ometta di esercitare le opportune azioni dirette a salvaguardare l’integrità del suo patrimonio o a incrementarlo.
L’art. 2900 c.c., dunque, introduce una deroga alla regola generale contenuta nell’art. 81 c.p.c., in virtù della quale nessuno può fare valere in giudizio in nome proprio un diritto altrui, giacché il creditore, agendo in sostituzione del proprio debitore, svolge un’attività nell’interesse di quest’ultimo, sebbene, in via indiretta, soddisfi anche il proprio (a vedere conservata ovvero accresciuta la garanzia patrimoniale a tutela del proprio credito), visto che gli effetti degli atti così compiuti si producono nella sfera giuridica del debitore.
Di qui il ravvisato carattere eccezionale dell’azione surrogatoria.
Il riconoscimento al creditore della legittimazione straordinaria ad agire in via surrogatoria per la risoluzione del contratto stipulato dal debitore è discusso in dottrina.
L’art. 2900 c.c., infatti, esclude la surrogatoria per l’esercizio di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare.
Chi nega la legittimazione del creditore ad agire in via surrogatoria per la risoluzione del contratto sostiene che la relativa azione ha carattere personale, poiché presuppone una valorizzazione dell’interesse alla cessazione del rapporto contrattuale prevalente sull’interesse alla sua prosecuzione; in quest’ottica, tale valutazione comparativa tra i due interessi contrapposti spetterebbe esclusivamente al debitore, competendo a lui valutare l’eventuale prevalenza di motivi che lo inducono a non risolvere il contratto, nonostante l’altrui inadempimento.
Chi sostiene, al contrario, la legittimazione del creditore fa leva sul carattere eccessivo degli inconvenienti che scaturiscono dall’accoglimento della tesi negativa: poiché il contratto a prestazioni corrispettive è uno dei principali strumenti di trasferimento della ricchezza patrimoniale, negare la legittimazione sostitutiva ad agire per la risoluzione restringe in modo sproporzionato lo strumento di preservazione della garanzia patrimoniale predisposto dall’art. 2900 c.c., favorendo comportamenti omissivi o collusivi del debitore.
La Corte di cassazione, con l’ordinanza che si annota, mostra di preferire la tesi che accorda al creditore la legittimazione ad agire in via surrogatoria per ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento.
In primo luogo, l’azione di risoluzione del contratto non può farsi rientrare fra quelle che non possono essere esercitate da soggetti diversi dal loro titolare per disposizione di legge, sicché non ricorre l’esclusione prevista dall’art. 2900 c.c.
In secondo luogo, l’azione non può qualificarsi come una specie delle azioni che, per loro natura, competono esclusivamente al legittimato ordinario, ossia la parte contrattuale: gli argomenti spesi in senso contrario dall’orientamento che nega la legittimazione sostitutiva del creditore, infatti, non attengono alle caratteristiche strutturali dell’azione, ma ai suoi profili funzionali, in quanto pongono l’accento sulla necessità di preservare in capo al debitore la valutazione circa la prevalenza dell’interesse a mantenere efficace il rapporto contrattuale, nonostante l’inadempimento della controparte.
Tale profilo funzionale, tuttavia, si scontra con la norma di cui all’art. 2900 c.c., che fa riferimento al requisito dell’inerzia del debitore quale presupposto fondamentale dell’azione surrogatoria: come osservato nell’ordinanza annotata, se si nega la legittimazione dei creditori ad agire in via surrogatoria per la risoluzione del contratto facendo leva sull’esigenza di proteggere l’interesse del debitore a mantenere in vita il rapporto contrattuale attraverso il mancato esercizio dell’azione di risoluzione, pur in presenza dell’altrui inadempimento, si finisce con l’attribuire implicitamente all’inerzia del debitore una funzione specifica (di realizzazione del suo interesse al mantenimento del rapporto) che la pura e semplice inerzia, come tale, non può avere.
Da questo punto di vista, in ordine alla nozione di trascuratezza quale presupposto dell’azione surrogatoria ai sensi dell’art. 2900 c.c., si registrano due orientamenti giurisprudenziali: un primo, più tradizionale, che considera l’inerzia come un comportamento omissivo o insufficientemente attivo, al quale non può equipararsi un comportamento positivo, sicché il creditore non può chiedere di sostituirsi al debitore per sindacare le modalità con le quali questi abbia ritenuto di esercitare e fare valere la propria situazione giuridica; un secondo che, invece, valorizza il riferimento che l’art. 2900 c.c. opera al concetto di trascuratezza, che non necessariamente coincide con una totale inattività del debitore, ma può consistere anche in un esercizio incompleto e quantitativamente insufficiente del diritto, ravvisabile quando il debitore non esplichi nella tutela dei suoi diritti la necessaria diligenza rispetto a quanto avrebbe potuto fare per perseguire correttamente e proficuamente le proprie ragioni, sempre che non si interferisca con atti di disposizione dei diritti, che, se compiuti dal debitore, vanno eventualmente contrastati attraverso l’azione revocatoria ordinaria o con l’opposizione di terzo.
In ogni caso, come sottolineato dai giudici di legittimità, l’inerzia o il silenzio di un soggetto rispetto a un’iniziativa di tutela di un interesse proprio – con riguardo ai quali non assumo rilievo i profili della colpa, dei motivi, della durata, della gravità – ha un significato equivoco, potendo essere ricondotti a semplice trascuratezza o a decisione consapevole; ma, proprio a tale riguardo, l’art. 2900 c.c. risolve nel senso della trascuratezza l’equivocità del comportamento inerte del debitore, attribuendogli un significato univoco.
Opinando diversamente, si sostituirebbe alla valutazione operata una volta per tutte dal legislatore quella che vede nell’astensione del debitore una sua decisione consapevole, configurandosi così un’indebita sovrapposizione che collide con i principi che informano il nostro ordinamento.
Peraltro, poiché, ai sensi dell’art. 2900, comma 2, c.c., il debitore è litisconsorte necessario nell’azione surrogatoria (art. 102 c.p.c.), egli potrà fare valere in sede processuale il suo eventuale interesse a mantenere in vita il rapporto contrattuale, a fronte dell’iniziativa del creditore per farne dichiarare l’inefficacia.
Di conseguenza, se il debitore non manifesta alcuna volontà di gestire il rapporto e rimane inerte, viene a essere integrato il presupposto fondamentale perché a lui possa sostituirsi il creditore, il quale può così sindacare l’astensione del debitore dall’esercizio dei suoi diritti nell’ambito del rapporto; resta, tuttavia, salva la facoltà del debitore – chiamato a partecipare necessariamente al processo avviato dal creditore – di giustificare in corso di causa le ragioni della sua inerzia, onde dimostrare l’interesse a mantenere in vita il rapporto contrattuale pur in presenza dell’inadempimento della controparte che lo ha indotto ad astenersi dal promuovere l’azione di risoluzione.
D’altro canto, qualora il debitore non sia più inerte, avendo posto in essere comportamenti idonei e sufficienti per fare ritenere utilmente espressa la sua volontà in ordine alla gestione del rapporto, viene a mancare il presupposto che legittima il creditore a sostituirsi a lui, non potendo essere sindacate le modalità con le quali abbia ritenuto di esercitare i propri diritti nell’ambito del rapporto, né essere contestate le scelte e l’idoneità delle manifestazioni di volontà poste in essere, salvo che l’attività del debitore sia qualitativamente e quantitativamente insufficiente per la tutela della sua situazione giuridica all’interno del rapporto con il terzo (in questi termini, Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2022, n. 34297).
Così, secondo un’impostazione giurisprudenziale, qualora il debitore titolare dell’azione non possa più considerarsi inerte, viene automaticamente a mancare il presupposto perché a lui si sostituisca il creditore e, così, una delle condizioni dell’azione, vale a dire l’interesse ad agire.
Recentemente, tuttavia, tale orientamento è stato messo in discussione da Cass. civ., sez. II, 2 gennaio 2025, n. 23, perlomeno nel caso di azioni giudiziali costitutive (nella fattispecie che ha originato la rimessione della questione alle Sezioni Unite, si trattava dell’azione di riduzione per lesione di legittima).
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