21 Gennaio 2025

Il creditore può avviare l’espropriazione immobiliare anche dopo avere ottenuto l’assegnazione del quinto dello stipendio del debitore

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2024, n. 30011 – Pres. De Stefano – Rel. Tatangelo

Esecuzione forzata – Cumulo dei mezzi di espropriazione – Pluralità di espropriazioni – Ammissibilità – Limiti

Massima: “Il cumulo dei mezzi espropriativi è uno strumento consentito dall’ordinamento, tranne in caso di immotivato e abusivo ricorso agli strumenti processuali con finalità vessatorie del debitore e senza alcuna ragione a giustificazione della tutela del credito, sicché la limitazione del cumulo a seguito dell’opposizione del debitore ha carattere eccezionale, potendo essere disposta nel solo caso di abuso, ravvisabile quando il sacrificio del debitore, coinvolto in plurime procedure esecutive, non sia giustificato da un ragionevole interesse del creditore”.

CASO

Un istituto di credito, dopo avere promosso un’espropriazione mobiliare presso terzi ai danni del proprio debitore e avere conseguito, all’esito di essa, l’assegnazione del quinto dello stipendio, eseguiva anche un pignoramento immobiliare per il soddisfacimento del credito residuo.

Radicatasi anche la seconda procedura esecutiva, il giudice, su istanza del debitore presentata ai sensi dell’art. 483 c.p.c., ne dichiarava l’improcedibilità, ordinando la cancellazione della trascrizione del pignoramento.

Il provvedimento così emesso veniva impugnato ai sensi dell’art. 617 c.p.c.

Il Tribunale di Ancona rigettava l’opposizione, con sentenza gravata mediante ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione, in accoglimento del ricorso, ha cassato la sentenza impugnata, ritenendo che l’avvio dell’espropriazione immobiliare dopo avere ottenuto un’ordinanza di assegnazione all’esito di una precedente espropriazione mobiliare presso terzi non configurasse un abusivo ricorso al cumulo dei mezzi di espropriazione da parte del creditore, dal momento che, nei quattro anni trascorsi tra la definizione della prima esecuzione e l’avvio della seconda, il debito si era poco più che dimezzato.

QUESTIONI

[1] L’espropriazione forzata può essere condotta nelle forme dell’espropriazione mobiliare presso il debitore o presso terzi, ovvero dell’espropriazione immobiliare; esistono, inoltre, forme speciali di espropriazione forzata (si pensi al pignoramento di partecipazioni di società a responsabilità limitata, che trova una specifica disciplina nell’art. 2471 c.c.), che si affiancano a quelle tipiche regolate dal codice di procedura civile.

L’art. 483 c.p.c. consente al creditore di promuovere ai danni del debitore più azioni esecutive, non necessariamente in via consecutiva ma anche in via cumulativa, ossia dandovi impulso contemporaneamente, senza imporre alcun ordine di priorità.

Per tutelare la posizione del debitore ed evitare che il suo patrimonio venga aggredito in modo eccessivo, la norma consente di chiedere al giudice dell’esecuzione la limitazione dell’espropriazione al mezzo che il creditore sceglie o a quello determinato dallo stesso giudice; per quanto l’art. 483 c.p.c. parli di opposizione da parte del debitore, si ritiene che l’iniziativa di questi non sia inquadrabile in alcuno dei rimedi contemplati dagli artt. 615 e 617 c.p.c. (perché non ha per oggetto né la contestazione del diritto del creditore di agire esecutivamente, né la pignorabilità dei beni, né la legittimità di un atto esecutivo, visto che il cumulo dei mezzi di espropriazione non determina l’invalidità di quello di cui il creditore si sia avvalso successivamente al primo), trattandosi di un’istanza cui sono sottese ragioni di opportunità e di convenienza.

Il rimedio in parola, che ha natura eccezionale, si distingue da quello previsto dall’art. 496 c.p.c., applicabile quando, nella stessa o in diverse espropriazioni forzate (dello stesso tipo, secondo l’opinione più accreditata), sono assoggettati a pignoramento beni in eccesso, ossia di valore superiore all’importo delle spese e dei crediti vantati dal creditore pignorante e da quelli intervenuti.

Nella fattispecie esaminata dall’ordinanza che si annota, il debitore colpito da pignoramento immobiliare aveva chiesto al giudice dell’esecuzione di provvedere ai sensi dell’art. 483 c.p.c., dal momento che il creditore aveva già ottenuto, all’esito di una precedente espropriazione mobiliare presso terzi già conclusasi, l’assegnazione del quinto dello stipendio, che il datore di lavoro stava regolarmente versando.

L’esecuzione immobiliare, dunque, era stata promossa per ottenere una più rapida soddisfazione del credito che, alla data in cui era stato eseguito il pignoramento, non era stato ancora integralmente soddisfatto grazie ai pagamenti che il debitor debitoris stava effettuando periodicamente in virtù dell’ordinanza di assegnazione conseguita dal creditore ai sensi dell’art. 553 c.p.c.

Il giudice dell’esecuzione, accogliendo l’istanza del debitore, aveva dichiarato improcedibile l’espropriazione immobiliare, ritenendo che la più rapida e certa soddisfazione del credito non giustificasse l’avvio di un’ulteriore esecuzione, a fronte di un incremento di spese a carico dell’esecutato.

La Corte di cassazione ha censurato tale statuizione, che era stata confermata dal Tribunale di Ancona all’esito dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. proposta dal creditore, essendo pacifico, in linea generale, che il creditore è legittimato ad avvalersi del cumulo (anche in via successiva) di diversi mezzi di espropriazione, onde conseguire una più rapida e certa soddisfazione del proprio credito, anche se ne consegue un inevitabile aggravio di spese per il debitore (che, del resto, può sempre evitarlo, semplicemente estinguendo il proprio debito).

Pertanto, poiché l’espropriazione di una pluralità di beni del debitore rende, di regola, certamente più probabile e più rapida l’integrale soddisfazione del creditore, il ricorso abusivo al cumulo di mezzi espropriativi – cui l’art. 483 c.p.c. consente di porre rimedio – è ravvisabile solo quando sussistono specifiche circostanze che inducano con certezza a escludere che, in concreto, sia possibile conseguire, attraverso l’avvio di più azioni esecutive, uno dei suddetti risultati (vale a dire, la più rapida o la più probabile soddisfazione del credito) e a ritenere, in definitiva, che la loro instaurazione si risolva esclusivamente in un aggravio per il debitore, senza alcun effettivo vantaggio per il creditore.

Di converso, né il presumibile aggravio delle spese a carico del debitore, né la mancanza di certezza sulla fruttuosità dei procedimenti esecutivi promossi possono costituire argomenti idonei, di per sé e in astratto, a fondare una valutazione di abusività del cumulo dei mezzi di espropriazione.

Nel caso di specie, come osservato dai giudici di legittimità, l’ordinanza di assegnazione conseguita ai sensi dell’art. 553 c.p.c. aveva per oggetto un credito futuro periodico, inerente a un rapporto contrattuale di durata di natura corrispettiva, che, nelle more dei pagamenti, poteva anche cessare, considerato il notevole lasso di tempo occorrente per l’effettiva estinzione dell’obbligazione azionata dal creditore, essendo noto che, in virtù di quanto stabilito dall’art. 2928 c.c., l’assegnazione non determina l’immediata e integrale soddisfazione del creditore, che si realizza esclusivamente a seguito del pagamento del terzo e nei limiti in cui esso effettivamente avvenga.

Di conseguenza, non costituivano elementi idonei a supportare la tesi dell’abusività del cumulo dei mezzi di espropriazione:

  • né il fatto che l’espropriazione immobiliare fosse stata promossa dopo la definizione di quella presso terzi con l’emissione di un’ordinanza di assegnazione, visto che quest’ultima non era ancora stata ancora integralmente attuata e che, in quattro anni, per effetto dei pagamenti eseguiti dal debitor debitoris, il credito da soddisfare si era poco più che dimezzato;
  • né l’incertezza sull’esito e sulla durata dell’espropriazione immobiliare, quantomeno in assenza di elementi concreti deponenti per la sua sicura infruttuosità, essendo connaturata a qualsiasi azione esecutiva un’alea ineliminabile;
  • né la circostanza per cui l’avvio di una seconda procedura esecutiva avrebbe comportato un aggravio di spese per il debitore, trattandosi di circostanza fisiologica e inevitabile, in ogni caso sempre evitabile dall’esecutato attraverso il pagamento spontaneo di quanto ancora dovuto.

In conclusione, è opportuno svolgere alcune considerazioni in merito all’impugnazione svolta dal creditore procedente, a fronte del provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione, accogliendo l’istanza del debitore, aveva dichiarato l’improcedibilità dell’espropriazione immobiliare.

L’art. 483 c.p.c., infatti, definisce espressamente non impugnabile l’ordinanza con cui viene limitata l’espropriazione.

Ciononostante, la giurisprudenza ritiene che sia il creditore, in caso di accoglimento dell’istanza del debitore, sia quest’ultimo, in caso di rigetto della sua richiesta, siano legittimati a proporre opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c.: come rilevato, rispettivamente, da Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2003, n. 2487 e da Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 1984, n. 5492, poiché l’opposizione menzionata dall’art. 483 c.p.c. è un atto con cui il debitore, di fronte a un reiterato esercizio dell’azione esecutiva da parte del creditore, reagisce chiedendo che lo stesso creditore – o, in sua vece, il giudice – limiti il cumulo ai mezzi ritenuti necessari e sufficienti per realizzare il credito insoddisfatto, l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione provvede viene ad atteggiarsi come atto esecutivo, non impugnabile davanti allo stesso giudice (così dovendosi intendere la non impugnabilità cui fa riferimento l’art. 483 c.p.c.), ma, alla stregua di ogni atto esecutivo, suscettibile di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.

In questo modo, è stato superato l’orientamento più risalente, che individuava nel ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. il rimedio azionabile contro l’ordinanza, non altrimenti impugnabile a mente dell’art. 483 c.p.c., limitativa dei mezzi di espropriazione adottato dal giudice dell’esecuzione.

Nel caso specifico, d’altra parte, il giudice dell’esecuzione aveva emesso un’ordinanza con cui aveva dichiarato l’improcedibilità del processo esecutivo, ossia un provvedimento che ne aveva determinato l’estinzione atipica (cioè non prevista espressamente dalla legge, ma dovuta all’impossibilità del processo esecutivo di conseguire il suo scopo), come tale non impugnabile con lo strumento del reclamo ex art. 630 c.p.c., ma, per l’appunto, con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (così, tra le più recenti, Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2021, n. 26329 e Cass. civ., sez. III, 14 marzo 2024, n. 6873).

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