Crediti prededucibili e attivo fallimentare insufficiente
di Redazione Scarica in PDFIn molte occasioni, l’attivo fallimentare è di importo talmente esiguo da non riuscire a soddisfare totalmente i creditori prededucibili, o, addirittura, da non consentire il pagamento del compenso liquidato al curatore fallimentare.
Sul punto si rende preliminarmente opportuno ricordare che possono essere considerati prededucibili, ai sensi dell’articolo 111 L.F., i crediti “così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali”.
Il successivo articolo 111-bis L.F. chiarisce quindi che i crediti prededucibili liquidi, certi e non contestati per collocazione e per ammontare possono essere soddisfatti al di fuori del procedimento di riparto se l’attivo è presumibilmente sufficiente a soddisfare tutti i titolari di detti crediti.
Il successivo comma 4 del medesimo articolo, stabilisce invece che, nel caso in cui l’attivo sia insufficiente, la distribuzione deve avvenire secondo i criteri della graduazione e della proporzionalità, conformemente all’ordine assegnato dalla legge.
In considerazione di quanto appena esposto, pare evidente che il curatore fallimentare, nell’ambito della procedura, sia tenuto a pagare i crediti prededucibili con prudenza, ovvero solo se l’attivo è presumibilmente sufficiente a pagare tutti i detti crediti.
Se, invece, il curatore, non consapevole dell’insufficienza dell’attivo, soddisfa alcuni creditori prededucibili senza tener conto delle loro cause di prelazione, il creditore pretermesso può agire nei confronti del curatore stesso al fine di vedersi riconosciute le ragioni di credito.
Allo stesso modo, il pagamento di creditori prededucibili in corso di procedura potrebbe causare la successiva mancanza di disponibilità per il pagamento delle spese di giustizia, causando così un danno all’Erario.
Pertanto, nel caso in cui le somme disponibili siano di importo esiguo (o, comunque, i crediti prededucibili siano di ammontare rilevante), è opportuno attendere il piano di riparto e distribuire le somme rispettando i già richiamati principi di graduazione e proporzionalità, aprendo il concorso sostanziale tra i crediti prededucibili e seguendo l’ordine legittimo delle cause di prelazione.
Sul punto, tuttavia, la dottrina non ha mancato di sottolineare alcune contraddizioni.
Il curatore fallimentare, infatti, in sede di riparto, dovrà distinguere, tra i crediti prededucibili, quelli ai quali può essere riconosciuto un privilegio, individuando, poi, il grado stesso di privilegio.
Nel farlo dovrà quindi agire in completa autonomia (nell’ovvio rispetto delle disposizioni di legge), non essendo prevista, per i crediti prededucibili, la fase di ammissione allo stato passivo fallimentare: ne consegue che i creditori della massa non saranno tenuti a richiedere e dimostrare il loro grado di privilegio.
Il tutto senza considerare che il curatore potrebbe essere costretto a contrarre dei debiti della massa pur sapendo di non poterli poi onorare, o, comunque, sapendo di poterli soddisfare solo in occasione del riparto finale: si renderebbe in questi casi quantomeno utile un’informativa alla controparte, al fine di comunicare che le spese prededucibili potrebbero non essere soddisfatte per mancanza di attivo fallimentare.
Si pensi, a mero titolo di esempio, ai fallimenti che dispongono di un attivo rappresentato principalmente da crediti incagliati di importo rilevante.
In questo caso il curatore dovrà necessariamente rivolgersi ad un legale per tentare almeno di recuperare il credito, ma il legale stesso, all’esito infruttuoso della procedura di riscossione, potrebbe non essere soddisfatto in alcun modo per mancanza dell’attivo.
Ancor più grave sarebbe poi l’ipotesi in cui l’attivo disponibile sia insufficiente persino per il pagamento integrale del compenso del curatore fallimentare.
Sul punto va sottolineato che, seguendo il già citato criterio della graduazione e proporzionalità, il compenso del curatore fallimentare dovrebbe essere classificato tra le “spese di giustizia” di cui agli articoli 2755 e 2770 cod. civ., e, tra le anzidette spese di giustizia dovrebbero essere ricomprese, tra l’altro, almeno le spese del campione fallimentare, le quali, essendo di pari grado, dovrebbero essere soddisfatte pro-quota.
Con il noto decreto del Tribunale di Milano del 09.01.2014 è stato infatti chiarito che il compenso del curatore fallimentare, rappresentando un “costo” necessario e ineliminabile della procedura, deve essere pagato prima dei debiti della massa, al pari delle spese di giustizia.
Si ricorda, a tal proposito, che il caso oggetto della richiamata pronuncia riguardava il legale di una procedura, che, avendo maturato un compenso pari ad euro 34.756,47, si era visto riconoscere dal Giudice Delegato un importo pari alla differenza tra l’attivo fallimentare residuo (€ 17.451,28) e il compenso liquidato al curatore (€ 13.071,18).
Ebbene, il Tribunale rigettava il reclamo del legale, statuendo che il compenso del curatore e le spese di giustizia devono essere pagate prima dei debiti della massa, e non nell’ambito di un progetto di riparto, trattandosi di liquidazione giudiziale di un ausiliario di giustizia, esecutiva per legge ai sensi dell’articolo 53 disp. att. c.p.c..
D’altra parte, “non senza ragione, … la legge fallimentare impone che la liquidazione del compenso del curatore avvenga subito dopo il rendiconto e prima del riparto finale, rendendo chiaro come quest’ultimo debba attuarsi distribuendo le somme realizzate al netto di quanto spettante al curatore a titolo di compenso.”
Articolo tratto da “Euroconferencenews“